Festival di Cannes 2006 - Pagina 5

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Festival di Cannes 2006
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Martedì 23 maggio – Settimo giorno.
Bruno Dumont è uno di quegli autori che suscitano grand’avversione o amore senza limiti. I suoi film si rifanno, spesso, ad una lettura originalissima dei testi sacri, con un linguaggio che preferisce i tempi lenti, l’uso di paesaggi raffinatamente espressivi, l’impiego d’attori non professionali, l’uso di pochi dialoghi. Con Flanders (Fiandre) mette a confronto due scenari, speculari l’uno all’altro. Il primo è ambientato nella campagna delle Fiandre, con il lavoro duro, la povertà diffusa, la fatica della terra. Qui la giovane Barbe rompe il silenzio che la circonda usando il sesso per comunicare con gli altri. Un sesso meccanico, algido, percorso da un senso di morte. Si dà, senza problemi e apertamente, sia a Demester sia a Blondel, verso il quale finisce con il provare qualche cosa che assomiglia vagamente all’amore. I due ragazzi partono per il servizio militare, che li scaglia in una guerra lontana e ferocissima, nel corso della quale stuprano, uccidono civili e bambini e, a loro volta, sono uccisi, castrati, picchiati. Solo Demester ritornerà da quest’inferno e troverà un momento di pace fra le braccia di Barbe che supera, a sua volta e in questo modo, il dolore per la morte di Blondel. Il film è del genere: amami o odiami. Violento e idealistico, crudele nelle immagini e raffinato nella loro costruzione. E’ meno espressivo delle opere precedenti di quest’autore, in particolare de L’Humanité (L’umanità, 1999), ma rimane pur sempre un film importante che chiede uno sforzo per superare il primo senso di gelo, ma ripaga con osservazioni ed emozioni tutt’altro che banali.
Babel del messicano Alejandro Gonzáles Inƒgárritu racconta tre storie che s’intrecciano casualmente. La prima è quella di una turista americana, in gita in Marocco con il marito dopo aver lasciato i figli a casa, affidati alla fedele tata messicana. La donna è ferita gravemente da un colpo di fucile sparato, quasi per gioco, da un pastorello locale. La seconda coinvolge un giapponese, proprietario dell’arma, e la figlia sordomuta. La terza riguarda la domestica messicana che, dovendo partecipare al matrimonio del figlio, ha la bell’idea di portarsi dietro i due ragazzini che le sono stati affidati. La Babele del titolo è sintetizzata nel drammatico sviluppo di queste storie: la donna ferita sarà salvata a stento, per colpa delle ragioni diplomatiche che impediscono l’arrivo puntuale di un’eliambulanza. La messicana finisce coinvolta nella forzatura della frontiera, rischia di far morire i piccoli americani ed è espulsa dl paese. Il ricco giapponese, la cui moglie si è uccisa, deve fronteggiare i problemi della figlia che, credendosi disprezzata dai coetanei, non trova di meglio che usare il corpo come mezzo di comunicazione. Il film è ambizioso, ma approda a poco. Nella sostanza non va oltre alla riaffermazione del detto biblico secondo cui sono i figli a pagare i peccati dei padri (i figli hanno mal di pancia perché i genitori hanno mangiato frutti acerbi). E' un po’ poco per un’opera pesante (quasi due ore e mezzo di proiezione) ricca di divi (Brad Pitt, Cate Blanchett, Gael Carcia Bernal) e dall’impianto costoso. Come dire: la montagna ha partorito il topolino.