Antalya Film Festival 2008 - Pagina 6

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Antalya Film Festival 2008
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I premi
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Mukha
Mukha

Mukha è il film d’esordio del giovane russo Vladimir Kott che, con quest’opera, ha già vinto due premi prestigiosi: quello del festival di Shanghai e quello della rassegna del cinema per ragazzi di Zlín. E’ difficile concordare con i giurati di quelle manifestazioni, in quanto il testo appare inesorabilmente prevedibile nel racconto e vecchiotto nello stile. E’ la storia dell’incontro fra un camionista e una ragazza ribelle, che l’adulto accetta come figlia, anche se la relazione che ha avuto anni addietro con la madre è stata del tutto platonica. Dovrebbe essere il ritratto sia di una gioventù insoddisfatta e ribelle sia quello di un rapporto difficile che finisce per restituire a due esseri umani un nuovo senso della vita. Dovrebbe, ma tutto rimane a livello di superficie, di facile prevedibilità, mentre il suggestivo paesaggio della provincia russa, con le sua miseria e arretratezze, non è sfruttato neppure per un momento. Ciò che resta è una buona professionalità cui, tuttavia, mancano completamente idee originali. Il solo dato veramente positivo è nell’interpretazione della ventiduenne Alexandra Tyufey i cui scatti d’umore esemplificano bene il carattere del personaggio. Il suo partner, Alexey Kravchenko, precipita, invece, nella maniera più convenzionale e si fa notare solo per il ricordo di, quando, ancora bambino, esordì nello straordinario Idi i smotri (Va e guarda, 1985) di Elem Klimov.
Roman Polanski: ricercato e desiderato
Roman Polanski: ricercato e desiderato
Con Roman Polanski: Wanted and Desired (Roman Polanski: ricercato e desiderato) la documentarista Marina Zenovich ha realizzato un’approfondita inchiesta sulla vicenda che ha coinvolto, nel 1977, il famoso regista franco - polacco, quando fu accusato di ogni turpitudine nei confronti di una tredicenne che stava fotografando per conto della rivista Vogue. Il cineasta ha dato risposte contraddittorie a chi gli chiedeva come erano andate realmente le cose: ha ammesso un rapporto sessuale, ma ha sempre negato stupro e violenza. Fatto sta che, dopo molti mesi di iter giudiziari, compreso il soggiorno forzato in un centro d’esame mentale, decide di fuggire a Parigi, ove fu accolto con ogni onore. Non è mai più ritornato negli Stati Uniti, ove pende tutt’ora un processo nei suoi riguardi, neppure nel 2003, in occasione dell’assegnazione del Premio Oscar al suo film Il pianista (The Pianist, 2002). La regista ricostruisce queste complesse vicende facendo ricorso a testimonianze e materiali d’epoca e disegnando un quadro complesso e intrigante che non prende apertamente parte per il regista, ma svela i tortuosi meccanismi della giustizia americana, con tanto di decisioni prese più per soddisfare la sete dei media che non quella della legge. Un bel documentario intelligentemente costruito e obiettivo, quanto può esserlo qualsiasi presa di posizione umana.
Fiamma & Limone
Fiamma & Limone

Flammen & Citronen (Fiamma & Limone) del danese Ole Cristian Madsen è un polpettone hollywoodiano – televisivo in cui si raccontano le gesta e la morte di due eroi della Resistenza danese che, nel 1944, tennero in sacco per molti mesi i nazisti, giustiziando collaborazionisti, spie e ufficiali dei servizi investigativi dell’esercito occupante. Presi in giochi più grandi di loro, fra interessi dei fuorusciti di Londra, agenti doppiogiochisti e ambigui politicanti furono uccisi nel corso di due cruente incursioni naziste che misero a ferro e fuoco le case in cui si erano rifugiati. In verità uno solo di loro morì per il piombo tedesco, l’altro riuscì a suicidarsi prima di essere catturato. Il film è un grande spettacolo pieno di botti e colpi di scena, qualche sequenza blandamente erotica e molti momenti d’azione. Un prodotto destinato sia al consumo meno esigente, sia ad un facile uso televisivo. In ogni caso poco a che fare con un grande Festival di Cinema.
Genova
Genova
L’inglese Michael Winterbottom è autore prolifico e molto discontinuo. La sua filmografia conta ben trenta titoli, fra film per il grande schermo e lavori televisivi, in meno di vent’anni. Una massa tanto imponente, cui si aggiunge, in alcuni casi, anche l’impegno nella produzione e nel montaggio, non poteva sfuggire al rischio dell’andamento a singhiozzo. Infatti, in questo elenco vi sono titoli importanti, come Butterly Kiss - Il bacio della farfalla (Butterfly Kiss, 1995) e Cose di questo mondo (In This World, 2002), testi interessanti per la sperimentazione linguistica che contengono (24 Hour Party People, 2002 - 9 Songs, 2004) e opere decisamente minori se non trascurabili. Genova appartiene a queste ultime, sia per la superficialità con cui tratteggia la psicologia dei personaggi, sia per lo sguardo, fra il turistico e il coloniale, con cui osserva la grande città mediterranea. Un padre e le due figlie, colpiti da poco da un grave lutto: la madre è morta in un incidente d’auto causato – in parte – dalla più giovane delle ragazze, decidono di passare un’estate a Genova ove il vedovo ha l’occasione di tenere un corso di letteratura inglese. I caldi mesi estivi serviranno per elaborare adeguatamente il lutto da parte di tutti e per consentire alla maggiore delle ragazze di scoprire la propria sessualità. In opere di questo tipo le cose che contano maggiormente sono il tratteggio delle psicologie e lo stile con cui la storia è narrata. Sono proprio questi due elementi che fanno difetto al film, con personaggi disegnati con l’accetta e con una raffigurazione visiva che oscilla fra il turistico e banale. In poche parole un film mancato sotto molti punti di vista.
Dean Spanley
Dean Spanley
Toa Fraser, inglese di famiglia originaria delle isole Fiji, ha tratto Dean Spanley da un libro di Lord Dunsany, ne è nato un film pesante, dal greve andamento teatrale, pieno di dialoghi e povero di cose da guardare, ricco di trovarobato e del tutto scollegato al clima, l’Inghilterra edoardiana del 1904. Un anziano bislacco disprezza il figlio, causa del ricordo che ha del gemello, morto nella guerra con i boeri. Un giorno i due incontrano uno strano religioso che parla loro della metempsicosi e dichiara di esserne un testimone diretto, avendo vissuto una precedente esistenza come cane. La cosa commuove l’anziano e lo riconcilia con il figlio superstite. Come già detto molte parole, sfoggio di gigioneria da parte di Peter O’Toole un mare di noia.
Il canto del passero
Il canto del passero

Avaze gonjeshk-ha (Il canto del passero) di Majid Madidi ha vinto l’Orso d’Argento all’ultimo Festival di Berlino e la cosa ha suscitato interesse in quanto da molto tempo il cinema iraniano non presentava opere di rilievo. Infatti, sono note le dure condizioni cui devono sottostare gli artisti in quel paese, ove i dettami integralisti religiosi la fanno da padroni, soprattutto in attività come il cinema che, per vivere, hanno bisogno di un diretto rapporto con il potere e la finanza pubblici. Visto il film, si capisce perché lo si è lasciato produrre e le ragioni della giuria berlinese. La storia che scorre sullo schermo è quella, intrisa di toni neorealisti filtrati attraverso l’esperienza del cinema popolare di Yilmaz Güney, della vita grama di un padre di famiglia che lavora in una fattoria in cui si allevano struzzi e che è licenziano perché se n’è lasciato scappare uno. In cerca di lavoro scopre di guadagnare assai di più facendo il guidatore di moto taxi. Nello stesso tempo suo figlio ha deciso di impiantare, con alcuni amichetti, un allevamento di pesci in una vecchia cisterna. La sete del successo economico spingerà genitore e figlio a impegnarsi appassionatamente nelle nuove attività che si riveleranno assai meno facili di quanto immaginato da entrambi. La parte migliore è nella descrizione del lavoro del guidatore di motocicletta nel traffico della grande città, in lite continua con gli altri motociclisti, e nella descrizione dei rapporti con clienti spesso arroganti. Ciò che suscita non poche perplessità è la filosofia di fondo, che sembra persa di peso da quella cattolica (il denaro è lo sterco del Diavolo) unita ad uno sguardo eccessivamente consolatorio - rassegnato sulla sorte degli umili. Il bilancio complessivo, tuttavia, segnala un’opera interessante e, in molti momenti, appassionante, girata con grande abilità e con un interprete, Mohammad Amir Naji, di grande intensità.