20 Ottobre 2008
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Antalya Film Festival 2008 |
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Vicdan (Coscienza) di Erden Kiral è un melodramma a forti tinte in cui ritroviamo molti fra i personaggi che hanno reso famoso il genere: il ben maliardo che perde la testa per amore, la moglie che si vendica dei ripetuti adulteri del marito, lambiente torbido dei locali notturni, i colpi di scena a ripetizione, le scene madri, gli atteggiamenti gridati. Ci sono amatori di questo tipo di film, ma noi non siamo fra questi, anche perché ci aspettiamo sempre un distacco netto fra la direzione e il ribollire della materia. In questo caso, invece, si ha la netta sensazione di unadesione pressoché totale del sentire del cineasta ai materiali che ha per le mani, un processo didentificazione che inquina la lucidità della regia marcando una forte distanza dalla lucidità politica che arricchisce i suoi primi film. Ci riferiamo, in modo particolare, allo splendido Hakkaide bir mevsim (Una stagione nellHakkari, 1983) in cui, anche grazie alla forte sceneggiatura di Onat Kutlar e della lucidità del racconto di Ferit Edgü da cui il film prendeva le mosse, si è potuto parlare a ragione di nuovo cinema turco. La storia raccontata questa volta mette assieme luoghi comuni del genere: la moglie tradita che intreccia una relazione con la rivale, il bel tenebroso che perde la testa per la bella di turno sino a giungere allomicidio, il mondo ambiguo dei locali notturni si second'ordine. Il tutto raccontato, recitato e costruito in modo volutamente sopra le righe, senza un filo dironia. E questa mancanza di una qualsiasi forma di distacco dal narrato a costituire il maggiore, imperdonabile, difetto del film.
Gitmek (titolo internazionale: Il mio Marlon e Brando), primo lungometraggio di Hüseyin Karabey è un film profondamente politico basato su una storia vera che racconta una bella storia damore inserendola armoniosamente in un contesto tragico: lo scoppio della seconda guerra irakena, vista nei territori curdi di confine fra Turchia, Iran e Iraq. Una donna corpulenta, simpatica e umanissima, ama un irakeno e tenta di raggiungerlo passando per il territorio iraniano. Arriverà allappuntamento, ma rimarrà sola perché lamato è morto nel tentativo di fuggire dal paese in fiamme. Il tema personale la storia damore sintreccia con il terrore della guerra, la repressione della polizia, la scomparsa di ogni speranza. Le sequenze in Iran, con la protagonista guardata dagli uomini come un animale strano perché viaggia da sola, valgono più che un intero saggio sulloppressione della donna. Un film intelligente, forte e coraggioso che grava quasi per intero sulle spalle di Ayça Damgaci che dimostra come una vera attrice non abbia bisogno dellavvenenza fisica per mostrare la sua arte.
Fra i titoli non premiati, ma che hanno molto interessato vale la pena citare almeno Tatil kitabi (Il libro dei compiti per le vacanze), primo lungometraggio del trentunenne Seyfi Teoman. Vi si sente linfluenza del cinema di Reha Erdem sia per i tempi distesi del racconto, sia per locchio complice e sentimentale con cui guarda al mondo della campagna, ai suoi riti, alla dura fatica che impone a chi vi abita. La storia raccontata è semplice: nel corso di una calda estate un piccolo imprenditore è colpito da emorragia celebrare e muore, il fratello ne prende in mano gli affari e, con molta ragionevolezza, mette a posto le cose. Convince il figlio maggiore a continuare a frequentare la scuola militare, difende il più piccolo dalla sopraffazione dei compagni, tranquillizza la moglie sulla fedeltà del defunto, rimette in moto l'azienda. E' un tipo di cinema che sembrerebbe fatto di niente, ma che, in realtà, dovrebbe essere ricco di piccole, importantissime lezioni di vita. E proprio su questo versante che la regia mostra preoccupanti cigolii. Il ritratto dei personaggi, infatti, è spesso affidato più al bozzetto che al disegno sapiente ed accurato, allo stesso modo il dolore e le gioie legate a questa vita difficile sono più suggerite che realmente espresse. In altre parole il film promette assai più di quanto in realtà non conceda, lasciando lo spettatore perplesso e, in parte, deluso.