51° SITGES Festival Internacional de Cinema Fantàstic de Catalunya - Pagina 7

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51° SITGES Festival Internacional de Cinema Fantàstic de Catalunya
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MV5BOThjYjhhZjMtNDQ1Ny00ZWZiLWJjOGYtNzAyZDU3NGRmMjQyXkEyXkFqcGdeQXVyNTcwNTE0MDE. V1 UY268 CR60182268 AL Il manifesto del Festival e tutti i gadget di questa edizione sono dedicati ai cinquant’anni di 2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick che sarà anche il film di chiusura del Festival. E nello spazio vaga Aniara, stazione spaziale e titolo del film d’esordio degli svedesi Pella Kågerman e Hugo Lilja, adattato dal poema del connazionale Harry Martinson che lo scrisse nel 1956 e nel 1974 gli venne assegnato il Premio Nobel. Al di là del valore letterario, il film, già presentato al Festival di Toronto, e ancora inedito, è un’opera matura e avvincente. Narra di una nave spaziale autosufficiente, delle dimensioni di una piccola città, che trasporta passeggeri dalla Terra a Marte. Il nostro pianeta è esausto, tuttavia Marte si raggiunge in tre settimane e qualcuno ha deciso di andare e tornare, ma nessuno si preoccupa del viaggio perché la struttura offre di tutto, dalle piscine ai centri commerciali, dai cinema alle sale da ballo. C’è anche un centro speciale, dove Mimarobe, (Emelie Jonsson) è responsabile della catarsi di passeggeri depressi o in preda al panico ai quali proietta immagini idilliche della natura terrestre. Senonché spazzatura spaziale intasa i motori, e per liberarli i piloti fanno defluire il carburante che riesce nell’intento, ma lascia il mezzo senza alimentazione e spostato dalla sua orbita. È l’inizio di un’odissea che viene scandita ai passeggeri in giorni, poi in settimane, mesi, anni. A differenza del sensazionalismo di molti film americani, Aniara descrive la quotidianità della vita nello spazio e le ferree regole imposte all’equipaggio. Anche quando non ci sono più speranze di salvezza e l’astronave sta per diventare un sarcofago che vaga nel cosmo, ciò che vige è il rispetto delle regole al di là delle morti e dei suicidi sempre più frequenti. Interpretato da Arvi Kananian e Bianca Cruzeiro, il film dura 106 minuti ed è stato accolto da calorosi applausi.
TumbardEntriamo nel mito, invece, col film che esce venerdì 12, in India. Tumbbad, diretto da Rahi Anil Barve, Anand Gandhi e Adesh Prasad celebra la leggenda della dea che avrebbe creato l’intero universo. Nel decrepito villaggio di Tumbbad una madre di due figli si reca tra le rovine di un tempio per nutrire una vecchia dea dormiente. Il film si svolge attraverso le prime decadi del Novecento. Uno dei due bambini cade da un albero e muore. L’altro, Vinayak, sedici anni più tardi, sostituisce la madre e scende in profondità per portare il cibo a un essere diabolico che potrebbe ucciderlo. Corre però voce che nella cavità si nasconda un tesoro, e in effetti Vinayak conserva alcune monete. Il dramma ha inizio quando decide di portare con sé un suo figlio non ancora quindicenne e il ragazzo è abbagliato dalle monete d’oro. Poi, con la dichiarazione d’indipendenza del 1947, le rovine sono tutelate dallo Stato, e niente è più come prima. Favola sulfurea e oscura che mette in risalto l’avidità e l’ostinazione di povera gente mentre scava in una mitologia nazionale che a noi sfugge totalmente, ma che diventa un’occasione per un film dell’orrore. Interpretato da Cameron Anderson, Ronjini Chakaborty e Deepak Damle, dura 109 minuti.
MV5BY2U2ODkxYzEtNWI0MC00NDFhLWIxNGMtZGRmZGZmMTBlMWY2XkEyXkFqcGdeQXVyNzMzMjU5NDY. V1 Agnieszka Smoczynska ci porta ai nostri giorni, a Varsavia con Fuga, prodotto da Polonia, Repubblica Ceca e Svezia. In una stazione della metropolitana, una donna esce dal tunnel e orina davanti ai passeggeri. Non ha documenti, crede di chiamarsi Alicia, e soltanto due anni dopo, chiamata in TV è riconosciuta dal padre. Ha anche un marito e un bambino. Tornata a casa, non da segno di riconoscere nessuno. Il film descrive giorno per giorno il comportamento della donna in attesa del documento d’identità senza precisare se ha realmente perso la memoria o se rifiuta di riconoscere i congiunti. Interpretato da Gabriela Muskala, mette in risalto la fragilità dei rapporti coniugali, l’alienazione e la solitudine di chi non sa o non riesce a esprimersi e, soprattutto, il trauma che può derivare da un senso di colpa o da una situazione che sfugge. Dura 103 minuti ed era a Cannes tra i film della Settimana della Critica.