Festival Internazionale del Film di Cannes 2015 - Pagina 9

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2015
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GiovinezzaPaolo Sorrentino ha ambientato Youth (Giovinezza) in una albergo svizzero ai piedi delle Alpi, lo stesso in cui Thomas Mann (1875 – 1955) ha collocato il suo capolavoro La montagna incantata (Der Zauberberg, 1924). Qui si ritrovano - assieme ad una variegata clientela internazionale che comprende nobili, giocatori un tempo famosi, attori sulla cresta dell’onda - due artisti amici da tempo immemorabile e che hanno superato l’ottantina. Fred (Michael Caine) è stato un famoso compositore e direttore d’orchestra che ha rinunciato definitivamente alla bacchetta e allo spartito dopo la scomparsa della moglie, una soprano con cui ha passato la vita. In realtà scopriremo, quasi alla fine del film, che la donna è ancora viva ed è ricoverata a Venezia colpita da demenza senile. Il musicista non vuole più sentire parlare di concerti, rifiuta un lucroso contratto per le sue memorie e rimanda a casa delusi, per ben due volte, gli emissari della regina d’Inghilterra che vorrebbero ritornasse a dirigere in occasione del compleanno del principe consorte. Mick (Harvey Keitel) è un noto regista di cinema che non ha perso la speranza di riprendere in mano la macchina da presa per filmare quello che lui stesso definisce il suo capolavoro. Due atteggiamenti opposti davanti alla vecchiaia che ritrovano una scintilla comune nella contemplazione del corpo nudo della modella rumena Maladina Ghenea, qui nel ruolo di Miss Universo. I giorni passano uguali e monotoni nel sontuoso albergo - sanatorio e i due amici hanno modo di punzecchiarsi sul passato (un tempo hanno ambito alle grazie della stessa donna e la figlia del musicista ha sposato il rampollo del cineasta) e riflettere sullo scorrere del tempo. Il finale è tragico e beffardo a un tempo: quello dei due dotato di maggior ottimismo si suicida, l’altro accetta di dirigere, nonostante i precedenti rifiuti, alla presenza della sovrana inglese. E’ una profonda, bella e toccante riflessione sulla vecchiaia, non priva di ironia – la stessa che accompagna la scelta del titolo – in cui si scandagliano sia la decadenza causata dallo scorrere degli anni, sia la forza vitale che accompagna l’esistenza di qualunque essere umano indipendentemente della primavere che ha alle spalle. Con questo titolo e con i precedente Mia Madre di Nanni Moretti e Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, la selezione italiana si è presentata ad altissimo livello, anche se è una forza che maschera la reale debolezza della nostra cinematografia.
Mountains may departL’altro film in concorso è stato Shan He Gu Ren (Le montagne possono andarsene) del cinese Jia Zhang-ke autore, nel 2000, di un pregevole ritratto generazionale: Zhantai (Piattaforma). Anche questo nuovo film ha un andamento simile, solo che i personaggi e gli anni che mette in scena appartengono ad una fase successiva. L’epoca è il quarto di secolo che va del 2000 al 2025, in un futuro ormai prossimo. I personaggi sono tipici: il lavoratore che si sacrifica senza accettare compromessi e finisce coll’ammalarsi nella miniera di carbone comperata da un amico affarista che finirà col fuggire in Australia per sottrarsi alla giustizia che ha scoperto le sue malefatte finanziarie. E’ il quadro di una società complessa e in costante movimento dove la caccia al denaro sembra giustificare qualsiasi cosa, ma che, per lo stesso motivo, travolge anche alcuni sani valori del passato. Tutto questo è visto attraverso un triangolo amoroso, quello che si sviluppa attorno alla bella Tao contesa dall’intraprendente e arrogante Zang e il modesto e corretto Lianzi, che marcherà i destini di tutti e tre. La donna finirà divorziata e sola, privata del figlio che il marito faccendiere ha ottenuto in custodia, mentre l’altro contendente contrarrà in miniera una grave malattia che lo porterà vicino alla morte. Nel finale futuribile incontriamo in Australia il figlio del fuggitivo e assistiamo al suo amore per una matura insegnate di cinese che lo convince a ritornare dalla madre in patria. E’ un film meno compatto e significativo dei precedenti di questo regista, ma è anche un’opera di valore e uno sguardo privo di paraocchi sulla realtà del paese.
MadonnaMeno interessante Madonna della sudcoreana Shin Su-Won presentato a Un Certain Regard. La storia ruota attorno all’erede del proprietario di una clinica di lusso che vuole mantenere in vita ad ogni costo il padre, gravemente ammalato di cuore, ben sapendo che alla morte del genitore tutte le ricchezze andranno ad enti benefici. Arriva a far sequestrare una poveraccia incinta che si prostituisce dopo essere stata violentata da un autista della fabbrica di cosmetici in cui lavora, lo fa per farne trapiantare il cuore nel corpo del padre. Un’onesta addetta alle cure del vecchio ammalato, cui il figlio avido commissiona la ricerca dei parenti della prigioniera per carpirne l’autorizzazione al trapianto, manderà all’aria il piano e lo farà anche per scacciare il senso di colpa che porta in se per aver ucciso il neonato cui aveva dato vita in solitudine in una prato. In poche parole una storia decisamente melodrammatica per un film in cui non mancano i momenti patetici.