Bari International Film Festival - 2015

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Bari International Film Festival 2015

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manifesto Bifest RosiIl Bari International Film Festival (BIF&ST) è un esempio di come sia possibile realizzare una manifestazione cinematografica con risorse contenute (meno di un milione e mezzo di euro), ma con una forte idea identitaria, un progetto culturalmente preciso e, soprattutto, un forte legame con il territorio. L’edizione di quest’anno, ad esempio, ha offerto una corposa retrospettiva dedicata a Fritz Lang che ha attirato, sin dalle prime ore del mattino, folle di giovani ansiosi di vedere sul grande schermo opere altrimenti fruibili solo in televisione, quasi sempre a notte fonda, o attraverso complessi percorsi elettronici che solo raramente consentono la visione nelle condizioni di colore e formato volute dall’autore. Non minore successo di pubblico è andato alle master class in cui autori prestigiosi (Alan Parker, Jean-Jacques Annaud, Costa-Gavras, Ettore Scola, Andrzej Wajda, Edgar Reitz, Margarethe Von Trotta, Nanni Moretti) hanno discusso con alcuni critici del loro modo di fare cinema.

1-UK Ava-AW  Close-Crop 28198-Ex MachinaSono stati presentati anche molti film, la maggior parte in anteprima italiana. Fra questi ha destato interesse Ex_Machina, opera prima dell’inglese Alex Garland che affronta un tema di fantascienza già sfruttato altre volte, ma lo fa con un gusto per le immagini e una precisione nei caratteri degni di nota. Un programmatore di computer, giovane e geniale, è scelto da una sorta di inventore alcolizzato e, quantomeno, eccentrico per partecipare ad un esperimento in cui si verificherà la reattività sentimentale di alcune donne androidi da lui create. La cosa avviene in un edificio fantascientifico, immerso nella natura e praticamente inaccessibile sia per volontà del proprietario, sia perché del tutto isolato dal resto del mondo. L’esperimento ha un esito tragico in quanto l l’esemplare più avanzato delle donne meccaniche reclama un’esistenza piena, si ribella al creatore e allo sperimentatore, uccide il primo e rinchiude il secondo no nel maniero per avviarsi liberamente alla vita. Dicevamo che il tema non è nuovo, basti pensare alle storie del Golem e di Frankenstein, ma a fare la differenza è l’umanissima partecipazione del regista al destino di queste macchine desiderose di emozioni e vita. Potremmo dire che la forza del film è nel rovesciamento del canone tradizionale che vuole l’automa sfuggire al controllo del suo creatore per desiderio di potenza e non per scelta vitalistica. Un elemento di pregio aggiuntivo è nella precisione e purezza fotografica dei paesaggi e delle scenografie che contrappongono e alternano la bellezza incontaminata dei luighi naturali all’algida e disumana perfezione degli interni avveniristici.

locandina aJamais de la vie (traduzione letterale: Mai nella vita; titolo italiano: Il guardiano notturno) del regista e sceneggiatore francese Pierre Jolivet (1952) è un bel noir strutturato con abilità e incentrato su un ex – sindacalista, licenziato a causa della chiusura dell’azienda in cui lavorava, che campa malamente facendo il guardiano notturno di un centro acquisti. L’interprete è Olivier Gourmet, uno degli attori - feticcio dei fratelli Dardenne. Le passioni di questo poveraccio sono i modellini di auto da corsa e la riparazione di oggetti che altri hanno gettato via credendoli non aggiustabili. Un giorno, insospettito dagli andirivieni di alcuni personaggi poco raccomandabili e dall’immotivata richiesta di un collega di sostituirlo una certa notte, decide di allargare il suo raggio di lavoro anche al giorno. Scopre così che si sta progettando una rapina ad un centro di raccolta di denaro ubicato nel complesso. Si apposta, ferma i ladri a costo della sua stessa vita, anche se gli resta tanto spirito da recuperare il denaro per darlo, a sua insaputa, all’addetta del centro per l’impiego che frequenta e che ha scoperto versare in condizioni non migliori delle sue. È una storia popolata di personaggi usciti da una lunga tradizione del cinema transalpino, irregolari che disprezzano l’ordine incarnato da tribunali e polizia, ma rispondono a una precisa, ferrea morale personale. In questo l’ex – sindacalista diventa qualche cosa di più che un marginale fedele a una propria etica, per incarnare una condizione umana travolta da una modernità che venera solo il denaro e macina gli esseri umani come fossero materiali di lavorazione privi di diritti e sentimenti. Un film non originalissimo, ma ricco di spunti di riflessione.
101433L’olandese Paula Van Der Oest (1965), sperimentata regista di cinema e televisione, ha scelto un controverso vaso giuridico per Lucia De B. Protagonista del film è un’infermiera che passerà più di sei anni in carcere con l’accusa di aver ucciso un neonato e il sospetto di averne ammazzati vari altri, fra infanti e vegliardi, prima che la Corte Suprema riconosca la sua totale innocenza. La cosa avverrà grazie ai documenti che una giovane assistente procuratrice sottrarrà al suo stesso ufficio e per questo sarà licenziata, materiale che la Procura aveva criminalmente nascosto per non inficiare la tesi accusatoria e, soprattutto, per non far emergere le molte irregolarità e inefficienze che segnavano la quotidianità dell’ospedale in cui l’accusata lavorava. E’ un classico film giudiziario, condotto con sperimentata abilità di denuncia civile, ma più vicino ad un ottimo servizio televisivo che non ad un film vero e proprio. Questo nonostante la grande abilità attoriale di Ariane Schluter che dà alla protagonista un giusto mix di alterigia e disperazione. Anche in questo caso un film non particolarmente originale, ma apprezzabile per il coraggio civile e la capacità di tradurre in racconto a suspense una vicenda di ordinaria ingiustizia.
Ho-ucciso-Napoleone-il-trailer-del-film-con-Micaela-RamazzottiChi, invece, ha sbandato paurosamente è stata Giorgia Farina che, al suo secondo film: Ho ucciso Napoleone, ha portato al festival una commedia insulsa e banale che non strappa neppure un sorriso. E’ la storia della manager di un’industria farmaceutica, amante di uno fra i massimi dirigenti, che, degli stessi giorni, si scopre incinta e riceve una lettera di licenziamento. Inizia così una sorta di percorso di vendetta e recupero del lavoro, complice un avvocato che lavora nella stessa azienda ma che si rivelerà infido e interessato. Meglio la banda di donne marginalizzate e disoccupate che aiutano la protagonista e che, alla fine, lei, ritornata in auge, farà assumere come sue principali collaboratrici. Una straccia senza capo né coda, prevedibile dalla prima all’ultima sequenza, banale nella direzione degli attori, inconsistente nello sviluppo. In poche parole un film da dimenticare, meglio ancora da ignorare completamente.