Festival Internazionale del Film di Cannes 2015 - Pagina 3

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2015
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Il racconto dei raccontiSin dalle prime proiezioni è stato presentato un film italiano particolarmente atteso: Il racconto dei racconti di Matteo Garrone. Un’opera in cui il regista fa sfoggio delle sua qualità pittoriche raccontando e intrecciando tre storie delle cinquanta contenute ne Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille (Il racconto dei racconti ovvero il divertimento dei piccini) scritte in napoletano dal nobile Giambattista Basile (1570 – 1632). Il volume è stato pubblicato postumo fra il 1634 e il 1636 e risente dell’influenza di Giovanni Boccaccio (1313 – 1375]) e del suo Decameron (1348-1353). Fra i molti racconti il regista ne ha scelto tre. Si inizia con la storia della regina che vuole diventare madre ad ogni costo per cui, seguendo i vaticini di un santone, spinge il marito a calarsi in fondo al mare per uccidere un mostro il cui cuore dovrà essere cotto, ancora pulsante, da una vergine e mangiato dalla sovrana. Il monarca muore nell’impresa e la cuciniera rimane incinta come la regina. Entrambe daranno alla luce due figli albini dall’aspetto identico, destinati a diventare amici inseparabili e simili al punto che la stessa sovrana li scambierà l’uno per l’altro. La seconda storia ha al centro un altro monarca affascinato dalla pulce che ha addestrato al punto di nutrirla con cibi succulenti che la trasformano in essere dalle dimensioni di un bue. Quando il mostruoso insetto muore il monarca mette in palio la mano della figlia fra quanti riusciranno a riconoscere a che animale appartiene la pelle esposta nella sala del trono. Vince un orco mostruoso che ottiene in premio la principessa e la relega nell’antro in cui vive fra ossa dispolpate e sporcizia. L’infelice troverà la forza di ribellersi, tentare la fuga, uccidere lo sgradito consorte e far ritorno a corte in pompa magna. La terza favola ha al centro un altro monarca che, irretito dalla voce celestiale di una donna che ha sentito cantare ma non visto, decisd di farla sua sposa. Purtroppo la cantante è una vecchia rugosa e decadente che diventerà nuovamente giovane, per un tempo limitato, grazie a un sortilegio. Sua sorella, ugualmente decrepita, si rode d’invidia e arriva a farsi scorticare viva nella speranza di ritornare anche lei giovane. Il film è segnato da un formidabile gusto pittorico (il regista alterna all’attività filmica quella figurativa) e contraddice in parte i precedenti a sua firma, fra i quali ricordiamo almeno L’imbalsamatore (2002), Primo amore (2004) e Gomorra (2008). Questa volta non ci sono riferimenti sociali, né diretti né di scorcio, e la stessa descrizione psicologica è superata dal gusto per l’immagine e il piacere del racconto. Due caratteristiche che soddisfano pienamente anche lo spettatore più esigente.
son-of-saul-01La sezione competitiva ha presentato anche Saul Fia (Il figlio di Saul) che segna l’esordio nel lungometraggio narrativo dell’ungherese Làszló Nemes. Il film ha una struttura abbastanza originale anche se ricorda da vicino quella adottata da Jan Němec per Démanty noci (Diamanti nella notte, 1964) uno dei capolavori di quella Nová Vlna che ha segnato il rinnovamento del cinema cecoslovacco negli anni sessanta. La somiglianza riguarda il modo in cui la macchina da presa è costantemente sul protagonista lasciando gli altri personaggi e il panorama sullo sfondo, spesso colto in modo indistinto o decisamente sfuocato. La storia è quella, terribile di un appartenente ai sonderkommandos (unità speciali di deportati, in gran parte ebrei, che furono scelti dalla SS per collaborare al processo di sterminio degli altri prigionieri nei lager nazisti) che, un giorno si vede passare sotto gli occhi il cadavere del suo giovane figlio. Il suo unico scopo diventa quello di dare alla salma una sepoltura degna, assistito da un rabbino. Non ci riuscirà e sarà travolto anche dalla repressione tedesca quando si troverà a partecipare, quasi per caso, a una rivolta dei deportati. La forza del film è nella capacità di ricreare l’angoscia e lo spirito incubico che regna nel campo di Auschwitz – Birkenau nell’ottobre del 1944, pochi mesi prima dell’arrivo dei soldati dell’Armata Rossa. Il film è positivamente cupo, disperato e ha il merito di ricordare a settantun anni di distanza una delle più grandi tragedie del novecento.
540500.jpg-r 160 240-b 1 D6D6D6-f jpg-q x-xxyxxHa aperto la sua competizione anche la sezione Un Certain Regard e lo ha fatto con An della regista e produttrice giapponese Naomi Kawase. Il titolo fa riferimento a una sorta di frittella doppia farcita con marmellata di fagioli rossi detti, appunto, An. Santaro, reduce dal trauma di aver causato un grave handicap a un uomo con cui si è scontrato in una rissa da bar, gestisce malamente un chiosco in cui cucina frittele. Tuttavia non è mai riuscito a realizzarne di debitamente quelle farcite di marmellata di fagioli. Un giorno gli si offre come assistente un’anziana capace di cucinare una marmellata sublime. La donna è affetta dalla lebbra e ha vissuto sino a pochi anni prima in un sanatorio interdetto ai non ammalati. La presenza della donna causa una vero e proprio rilancio dell’attività del piccolo esercizio ora affollato da estimatori di quel tipo di dolce. La donna, che ha la dote di parlare con le piante e gli uccelli, è costretta a ritirarsi e andare a morire in quasi solitudine causa i pettegolezzi della moglie del proprietario del piccolo esercizio. La donna avanza mire sul chiosco a favore di un suo giovane protetto. La scomparsa dell’ammalata funzionerà come una sorta di catarsi per Santaro che recupererà il gusto del lavoro ben fatto secondo le regole dalla tradizione culinaria. E’ un film molto delicato, che racconta una storia moralmente ineccepibile contro l’emarginazione dei lebbrosi e che vive soprattutto grazie alla straordinaria bravura dell'attrice Kiki Kirin.
mad-max-fury-road-tom-hary-nicholas-houltNel quadro del festival si è visto, a poche ore dall’uscita in tutta Europa, anche Mad Max: Fury Road dell’australiano George Miller che ha proseguito nella serie con protagonista un altro australiano, l’attore Mel Gibson: Interceptor (Mad Max, 1979). Questo primo titolo ebbe due seguiti: Interceptor - Il guerriero della strada (Mad Max 2: The Road Warrior, 1981) e Mad Max - Oltre la sfera del tuono (Mad Max Beyond Thunderdome, 1985). C’è veramente poco da dire su questo videogioco trasferito su grande schermo se non che in quest’ultimo episodio prevalgono le citazioni western e il ritmo forsennato di scontri e inseguimenti debitamente enfatizzati dall’uso abilissimo del computer. Non le abbiamo contati, ma a memoria possiamo dire che in tutto il film non ci siano più di una cinquantina di veri dialoghi, tutto il resto è inseguimenti, esplosioni, immagini roboanti di auto che s'incendiano o si capovolgono. Il tutto sulla sfondo di un mondo postatomico in cui petrolio e acqua sono utilizzati da pseudo profeti quali ingredienti utili a sottomettere le masse. Davvero molto poco dal punto di vista del racconto cinematografico.