06 Dicembre 2010
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13° Thessaloniki Documentary Film Festival 2011 |
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E’ naturale che quanti lavorino nel campo del documentario s’interessino ai problemi sociali. Ecco allora due registi greci che affrontano temi attuali con grande forza e lucidità. Stelios Kpuloglou ha costruito Welcome to Europe (Benvenuti in Europa) con immagini e volti di rifugiati politici e migranti rinchiusi nei campi di accoglienza ellenici o costretti a vivere un’esistenza primitiva nei boschi, dopo essere penetrati illegalmente in territorio di quella nazione. Sono immagini forti, che denunciano condizioni orribili, alcune delle quali abbiamo già visto, spesso fuggevolmente, nei telegiornali o negli speciali televisivi, ma che qui acquistano un valore del tutto particolare per essere accostate, senza commenti e montate con ritmo lucido e concentrato in meno di undici minuti. Un'altra regista greca, Katerina Pratini, si è spinta ancora avanti raccontando la crisi attraversata dal paeseo guardando alle vicende di due donne normali.
Lo fa con Docville – 99 via Laskareos – Atene, la strada su cui si affacciano i negozi di Zoe e Athena, due piccole commercianti, l’una gestisce un emporio di cose per animali, l’altra una lavanderia – stireria ove fa anche piccoli lavori di sartoria. La prima vive sola con l’amato gatto, la seconda è vedova da poco. Entrambe non hanno di che vivere, non possono pagare le fatture e l’affitto, i loro esercizi sono desolatamente vuoti, mentre i creditori sono alle porte. Entrambe decidono di chiudere le rispettive attività e mettersi sul mercato come lavascale o collaboratrici domestiche. E’ il ritratto di una discesa sociale e un annuncio di caduta nella povertà che la regista propone senza toni reboanti, ma affidando a due splendide donne il compito di mostrare per intero la sofferenza e il terrore che le travolgono. Il film è il primo capitolo di una serie, intitolata Docville, tesa a testimoniare, con i canoni del cinema – verità, le condizioni di vita urbana in Grecia e gli effetti che le difficoltà economiche stanno causando sia sulla struttura sociale, sia sulla psicologia di quanti sono travolti. Una bella idea, il cui primo passo merita grande attenzione. Sempre restando nel campo della politica e il presente, da ricordare anche The Tillman Story (La storia di Tillman) in cui Anmir Bar-Lev, un produttore e regista americano dìorigini israeliane, ricostruisce la vicenda del giocatore di football americano, Pat Tillman, che, nel 2002, lasciò una brillante carriera da professionista per arruolarsi con i Ranger mandati a combattere la guerra afgana. Fu il secondo caduto statunitense in quella tragica spedizione e divenne subito un eroe, esaltato e utilizzato in continuazione dalla propaganda del Pentagono. Sennonché gli stessi militari furono costretti a varare, qualche tempo dopo, una commissione d’inchiesta che accertò come il giovane non fosse stato ucciso dagli odiati talebani, ma da altri soldati americani, vittima di una confusione di ordini per cui la sua pattuglia fu scambiata per una banda nemica. Grazie agli sforzi e la costanza dei suoi familiari, la verità emerse in tutta la sua gravità davanti ad una commissione d’inchiesta del parlamento. Il film segue lo svolgersi degli eventi, allinea numerose interviste, brani di cinegiornali, testimonianze di altri militari. Ne emerge un quadro intessuto di menzogne, opportunismi – tutti attribuiscono ad altri gli errori commessi – come dire l’altra faccia di quel patriottismo che, come disse un grande studioso è l’ultimo rifugio dei cialtroni.
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