Plus Camerimage 2010 - Pagina 6

Stampa
PDF
Indice
Plus Camerimage 2010
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Tutte le pagine
Last Night (L’altra notte) dell’iraniana residente in California Massy Tadjedin appartiene al tipo di cinema vicino a quello che, in teatro, si definisce: da camera. Un genere in cui dominano i dialoghi, le introspezioni psicologiche, i caratteri dei personaggi, mentre i fatti rimangono sullo sfondo e hanno poca o scarsa influenza. Una coppia di newyorkese vive una vita modestamente agiata e di successo. Lui ha un buon posto in un’agenzia pubblicitaria, lei cura libri d’arte, vivono in una bella casa, spaziosa e moderna, piena di mobili disegnati da stilisti. Apparentemente sono felici e passano sorridendo da una festa a un’inaugurazione. In realtà sono entrambi rosi da insoddisfazione e gelosia, insoddisfazione per ciò che potrebbero fare e non hanno fatto, gelosia per il sospetto che entrambi abbiano qualche pulsione nascosta verso altri partner. L’occasione che farà esplodere tutto è legata a una sola notte in cui lui parte in viaggio di lavoro a Filadelfia con altri colleghi fra cui un’avvenente e disponibile bellezza latina. Lei, invece, incontra un ex amore che la invita a cena e con cui, complice un piccolo intoppo, deve passare la notte. Il marito ha un’avventura con la bellona, lei si limita a dormire accanto all’ex. Quando si ritrovano, nessuno dice all’altro che cosa è veramente successo, ma un dettaglio rivela al marito che non tutto è stato così tranquillo come la moglie vorrebbe fargli credere. Il film è ben confezionato e potrebbe girare profittevolmente al versante della commedia di coppia, se la regista non prendesse troppo sul serio i suoi personaggi e non antonioneggiasse oltre il sopportabile. Il film, così com’è, non va oltre all’opera diligente, ma del tutto ovvia.
All’inizio degli anni sessanta un regista italiano, Gualtiero Jacopetti, ebbe un certo successo con alcuni documentari - Mondo cane (1962), Mondo cane 2 (1963), La donna nel mondo (1963), Africa addio (1966) – di discutibile verità la cui tesi era, più o mento, vi faccio vedere di quali orribili efferatezze siano capaci gli uomini al fine di condannarle. In realtà, non solo in questo caso, le immagini schioccanti erano utilizzate solo per sollecitare i peggiori istinti del pubblico e guadagnare spettatori, un po’ come avviene oggi con la morbosa attenzione dei media verso i delitti più efferati. L’episodio c’è ritornato alla mente vedendo Megan is Missing (Megan è scomparsa) esordio dietro la macchina da presa di Michael Goi, fotografo di moda, regista di spot pubblicitari e presidente dell’associazione dei cineoperatori americani (ASC). Partendo dal rapimento, abuso e uccisione di un paio di quattordicenni il regista inanella una collana d’immagini oscillanti fra il banale e l'orrido. Si pensi che la sequenza finale racconta, quasi in tempo reale, l'umiliazione, la violenza sessuale e il seppellimento da viva di una delle due giovani. Il film è costruito come se quelli che scorrono sullo schermo fossero materiali autentici (chat fra le giovani, immagini sgranate di party a base di droga e alcol, riprese di una misteriosa cinepresa nel luogo in cui sono detenute e seviziate le ragazzine) il tutto per denunciare il mostro, in realtà per utilizzare l’orrore al fine di colpire il pubblico. In poche parole è un film ad altissimo tasso d’opportunismo. Infine, anche superando questo sospetto veramente scostante, la struttura del racconto appare ovvia e ambigua, percorsa da un’originalità proclamata solo a parole.