43º Sitges Festival Internacional de Cinema de Catalunya 2010 - Pagina 4

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43º Sitges Festival Internacional de Cinema de Catalunya 2010
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Per dirlo in maniera semplice: la pittura è morta; l’arte, in qualche maniera, deve sopravvivere. Parlo del film spagnolo in concorso, 14 days with Victor (14 giorni con Victor) , girato a Londra da Román Parrado. Adolescente latino con madre sbandata, Victor (Fernando Tielve) accetta di posare come modello per Martin, (Joe Dixon), pittore in crisi. L’artista gli spiega che soltanto col dolore fisico si puó curare quello spirituale. Gli chiede di posare per un ritratto di San Sebastiano in pose ardue e stancanti, quindi gli brucia la pelle con una spatola rovente, poi gli procura tagli. Alla fine all’adolescente non resterá che morire con le frecce che uccisero il santo. Apologo sull’arte all’inizio del terzo millennio, il film ha origine da una performance semiclandestina della quale Ibón Cormenzana, cosceneggiatore e produttore del film, fu spettatore a Londra. Se per Victor è una discesa all’inferno, le cose non vanno meglio per gli altri: il fratello del pittore, ex pugile, torna sul ring e quasi ci resta. La donna dell’artista (Margo Stilley), ha smesso di mangiare perché suo padre sta morendo di cancro. La madre di Victor perde l’amante e il figlio. In parte specchio dei nostri tempi dove all’opera d’arte si preferisce l’elaborazione del processo creativo, e dove l’evento sostituisce l’opera, il film celebra tuttavia il trionfo del nichilismo dove è proibito persino un sorriso.

Nero anche il panorama di un altro film spagnolo, Secuestrados (Sequestrati) di Miguel Ángel Vivas. Premiato al Festival di Austin, Texas, il film si svolge in un interno dove madre, padre e figlia vengono sequestrati da tre balordi albanesi. Violento e claustrofobico, descrive il comportamento selvaggio degli intrusi e le reazioni delle vittime giocando su alcuni ribaltamenti di situazioni. Quello del padre contro colui che lo porta al Bancomat per prelevare denaro, e quello della figlia contro chi l’ha appena violentata. Funziona come thriller, e non manca di suspense, ma resta nondimeno la cronaca (non richiesta) di una carneficina.  Gli attori: Fernando Cayo, Manuela Vellés, Ana Wagener.

Per restare nell’abisso profondo, vale citare il film messicano Somos lo que hay (Siamo quello che c’è) di Jorge Michel Grau. Una famiglia di un quartiere periferico della capitale pratica il cannibalismo. Quando il padre muore, il figlio piú grande ne assume il ruolo: sequestra giovani prostitute, le porta in cantina, le sacrifica e tutta la famiglia se ne nutre. Non c’è molto accordo col fratello, né con la sorella infida, ma la madre vigila con molta determinazione.

Ciononostante non potranno evitare scontri con la polizia. Il film si chiude con una carneficina dalla quale si salva il personaggio piú infido. Ne sono interpreti Francisco Barreiro, Alan Chávez, Paulina Gaitán.

Per restare nell’ambito della lingua spagnola, l’esordio del regista argentino Nicolás Goldbart con Fase 7, una commedia intessuta su una drammatica emergenza, la diffusione di un virus che spinge le autoritá a isolare un caseggiato. Interpretato, tra gli altri, da Daniel Hendler e Federico Luppi, il film mette a fuoco la nevrosi che spinge gli inquilini a scontri armati. Una giovane coppia, lei è incinta, tenta di sdrammatizzare una situazione che altri inquilini spingono all’estremo. Inevitabile la strage in questo apologo sull’eccesso di preoccupazioni determinate dall’annuncio di una pandemia che provoca nevrosi incontrollabili.

Il 43 Festival, tuttavia, non presenta soltanto cinema ispanico, ma anche quello di maestri internazionali. Tra i più attesi, The Ward (La guardia) di John Carpenter, visto in prima europea. Da nove anni il regista non girava per il grande schermo. Questa sua ultima fatica non è stata particolarmente applaudita al Festival di Toronto, ma ribadisce l’autorevolezza di un maestro che con pochi mezzi realizza un thriller calibrato  e appassionante. Situato negli anni sessanta, narra una vicenda molto sfruttata dal cinema, anche se la utilizza per mettere in scena un meccanismo narrativo che funziona come un orologio svizzero creando atmosfere inquietanti senza ricorrere a manipolazioni. Sapremo alla fine che si tratta di sdoppiamento della personalitá, un caso di schizofrenia provocato da schock infantile, ma il film si gode come un thriller che nasce dalle vicende di una ragazza che ha dato fuoco a una vecchia casa di campagna e, per questo, viene internata in manicomio. A contatto di altre quattro recluse, ascolta storie inquietanti. Poi le ragazze, una per volta, scompaiono. Lei scopre qualcosa. Non fidandosi dei medici, tenta di salvarsi.

In concorso anche Zhang Yimou con un piccolo capolavoro già presentato alla Berlinale: San qiang pai an jing qi (Una donna, una pistola e un negozio di spaghetti). Perfetta commedia nera, ispirata da Blood simple - Sangue facile (Blood simple, 1984) dei fratelli Coen, parla di una giovane donna maltrattata dal marito anziano e avaro. La simpatia per il timido cuoco è considerata tradimento dal marito tiranno che paga un poliziotto per eliminare la coppia. Siamo nel deserto, in epoca feudale: il gendarme tenta di farsi dare piú soldi dal vecchio e si trova in concorrenza con un dipendente che non è stato pagato. Giocando con un continuo ribaltamento di situazioni, innestando il dramma su spunti grotteschi, il regista condensa scontri mortali in un’opera comica che è stata lungamente e calorosamente applaudita.