Festival di Setubal 2008 - Pagina 6

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Festival di Setubal 2008
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I premi
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Polaroid urbane
Polaroid urbane
Ci sono stati, poi, due titoli che vanno segnalati solo al fine di evitarne la visione. Polaróides Urbanas (Polaroid urbane, 2008) del brasiliano Miguel Falabella è tratto dalla commedia di successo da lui stesso scritta e messa in scena, Como Encher um Biquíni Selvagem (Come indossare un bikini selvaggio). E’ una serie di scene, siparietti e storielle assurde che dovrebbe dare uno sguardo, lucido e cinico sulla vita dei nostri giorni. Gran parte del pubblico di lingua portoghese ha apprezzato battute e situazioni che sono risultate quasi incomprensibili per gli altri spettatori. In ogni caso poco più che la messa in film di un testo pensato per il palcoscenico, senza eccessiva fantasia stilistica o inventiva realmente cinematografica. Megalopolis, della russa Ella Arkhangelaskaya è un film falso e sbagliato. Falso perché affronta un tema grave e difficile come quello delle bande di ragazzini che scorrazzano per le strade di Mosca rubando e rapinando adulti e coetanei, ma lo fa rappresentando questi piccoli delinquenti come degli indossatori appena scesi da una qualche sfilata di moda infantile con tanto di visi puliti pettinature impeccabili, abiti casual, ma di confezione sfacciatamente modaiola. E’ un film sbagliato perché mette questo mondo, orribile e tragico, al servizio di una storia d’amore materno – una giovane cui hanno sottratto il figlio lo cerca disperatamente con l’aiuto di un compagno occasionale, virile e risoluto – senza preoccuparsi minimamente di inquadrare il discorso in un ambito appena più ampio del melodramma convenzionale.
Katyn
Katyn
Chiudiamo con qualche riflessione sul film che ha aperto il festival: Katyn di Andrzej Wajda, un’opera che ha suscitato accese discussioni e che ha ricevuto molti premi in patria. L’opera rievoca il massacro, compiuto fra il marzo e il maggio del 1940, quando i sovietici giustiziarono, con un colpo alla nuca, più di 22 mila prigionieri di guerra, in prevalenza ufficiali in una foresta non lontana dalla cittadina russa di Smolensk. La prima notizia del massacro fu data, nella primavera del 1943, dalla radio nazista suscitando le ire del Cremlino che ribaltò l’accusa sui tedeschi. Finita la guerra, passata la Polonia nell’area d’influenza sovietica, la versione ufficiale continuò ad essere quella di un crimine nazista, questo sino alla dissoluzione dell’URSS e all’apertura degli archivi segreti del regime da cui emerse, senza ombra di dubbio, la volontà di Stalin di annientare ogni possibile rinascita dell’armata polacca in funzione antirussa. La strage era stata resa possibile dalla stipula del famigerato patto, stretto il 23 agosto 1939, fra i due regimi, accordo formalmente definito di non aggressione e passato alla storia con il nome dei due ministri degli esteri che lo avevano firmato: il tedesco Joachin von Ribbentrop e il soviético Vjačeslav Michajlovič Molotov. Pochi mesi dopo, nel settembre, le truppe tedesche attaccarono la Polonia da occidente, mentre quelle sovietiche vi entravano da oriente, dando vita ad una spartizione destinata a finire solo con lo scoppio, nel 1940, della seconda guerra mondiale e con l’alleanza fra l’URSS e i paesi occidentali.
Katyn
Katyn
Andrzej Wajda, classe 1926, sì e ricordato della sua antica sensibilità storico – civile, quella che lo aveva portato a firmare Czlowiek z marmuru (L’uomo di marmo, 1977) e Czlowiek z zelaza (L’uomo di ferro, 1981) in pieno travaglio del regime realsocialista, pochi mesi prima della rivoluzione di Solidarnosc (fondata nel settembre 1980), nel ricostruire la strage dei prigionieri polacchi con un racconto a mosaico che parte dall’attesa e dalle sofferenze della moglie di uno dei prigionieri, alternandole con il calvario del marito, dalla prigionia alla morte. Un grande disegno in cui trova posto anche la tragica esperienza di un altro ufficiale, compagno d’armi dell’ucciso, che è risparmiato dai sovietici per farne un quadro della polizia politica che sorreggerà il regime postbellico. Dilaniato dai rimorsi finirà col suicidarsi dopo aver tentato di annegare nell’alcol i sensi di colpa. E’ il classico film a grande schermo, anche se la mano della produzione televisiva pesa in non pochi momenti con il privilegio di immagini di primi e primissimi piani. Questo taglio obbliga la regia, che ha preso spunto dal libro Post mortem di Andrzej Mularczyk, a prese di posizione nette, prive di qualsiasi sfumatura analitica. La decisione sovietica, ad esempio, è presentata quasi come un piano criminale ordito da un gruppo di pazzi, laddove si è trattato di un disegno, orribile e criminoso, ma ispirato ad una precisa scelta politica volta alla cancellazione di una qualsiasi forma di pericolo futuro. Questa circostanza rende ancor più feroce e odioso l’operato degli uomini della polizia politica, ma ne motiva anche l’agire in termini di crudele, disumana razionalità.
Fografia delle salme esumate dalle fosse comuni scoperte nella foresta di Katyn
Le salme esumate
Un dato efficacemente positivo, anche da un punto di vista narrativo, è l’abilità con cui il regista inserisce, nel racconto, agghiaccianti brani di cineattualità sulle esumazioni delle salme, volta a volta da parte di nazisti e sovietici, con reciproca attribuzione scientifica delle responsabilità dell’eccidio agli uni o agli altri. In ogni caso un film da vedere per ricordare quanto è affollata e terribile la lista dei crimini che abbiamo alle spalle e quanto debba essere ferma la volontà che si cancelli ogni possibilità che possano ripetersi.