Festival di Setubal 2008 - Pagina 3

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Festival di Setubal 2008
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I premi
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Sirena
Sirena
La fotografia di Rusalka (Sirena) della russa Anna Melikyan è stata giudicata la migliore fra quelle dei film in concorso. Riconoscimento difficilmente condivisibile che, per giunta premia un testo dai tratti piuttosto grossolani che rimastica un mondo poetico consunto e ripetitivo. La storia ha al centro l’infanzia e la giovinezza di una giovane che ha la dote di far realizzare i sogni, suoi e di altri. Si parte da, quando ancora bambina, sogna di rivedere il padre, di cui la madre neppure ricorda il nome, sino al compimento della maggiore età e alla storia d’amore con un imbroglione di successo - vende lotti fabbricabili sulla luna – di cui si innamora e che lui tratta come una domestica, sino al finale favolistico – surreale in cui lei muore per, forse, ritornare in vita sotto altra forma. Un pasticcio pseudopoetico.
Estrellita
Estrellita
Agli spettatori della manifestazione è molto piaciuto Estrellita (2007) dello sloveno Metod Pevec, un melodrammone decisamente grezzo che ruota attorno ad un costoso violino, chiamato Estrellita, che la vedova di un musicista morto nel fiore degli anni presta ad un giovane bosniaco del quale ha colto le straordinarie qualità musicali. Il film e’ costellato di personaggi presi di peso da altri film, come il padre zingaro ubriacone e violento, la giovanissima pianista solidale con il genio precoce, la scoperta, da parte della vedova, dell’infedeltà del marito. Anche le immagini sembrano uscire, per qualità del colore e piazzamento della macchina da presa, da film di trenta anni or sono. Senza contare i numerosi buchi di cui e’ costellata la sceneggiatura, il forzato lieto fine e la modéstia degli interpreti. In poche parole un’opera da dimenticare.
ImageDa passare rapidamente all’archivio anche Rezerwat (Preservare) del polacco Lukasz Palkowski, premiato quale migliore opera prima e Mirush del norvegese Marius Holst scelto dalla giuria dei critici dedicanti dalla FIPRESCI (Federation  Internationale de la Presse Cinématographique). Il primo racconta il rapporto, difficile sin dall’inizio, fra un ragazzino di strada e un fotoFédération Internationale de la Presse grafo chiamato a fare un servizio su un vecchio e diruto quartiere di Varsavia. Lo scopo del committente, un costruttore che ha acquistato vari immobili in quella parte della città, è dimostrare il degrado di queste vecchie case e delle persone che le abitano, in modo da giustificare sfratti e abbattimenti. In realtà il ragazzino, rubando la macchina fotográfica del professionista, realizzerà una serie d’immagini che, presentate come se fossero state fatte dal fotografo, convinceranno l’affarista a restaurare le vecchie case anziché abbatterle. Un film pieno di buone intenzioni e di sentimenti melensi che si piazza a mezza strada fra l’opera edificante destinata ad un pubblico giovanile e il film di (blanda) denuncia sociale. Qualche sequenza di taglio moderno, quasi videoclipparo, non salvano l’opera da un senso di già visto.
Mirush
Mirush
Mirush è il nome di un quindicenne kossovaro che abbandona la madre per andare a cercare il padre che, emigrato in Norvegia molti anni prima, non ha più dato notizia di sé. Lo incontra che gestisce un ristorante, succube e in combutta con la mafia albanese. Quando il genitore scoprirà chi è il ragazzino che ha assunto per fare le pulizie, si stabilirà fra i due un legame che sembra promettente e che porta l’adulto, molto ben interpretato dal nostro Enrico Lo Verso, ad uccidere uno dei malavitosi per proteggere il ragazzo dalle conseguenze di un furto. Per tutta ricompensa il giovane lo denuncia ai banditi che lo uccidono. L’ultima immagine ci mostra Mirush che ritorna fra le braccia della madre. Difficile capire il senso dell’intera operazione, tenuto conto, anche, della modestia stilistica che segna l’intero racconto.