Festival di Setubal 2008 - Pagina 2

Stampa
PDF
Indice
Festival di Setubal 2008
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
I premi
Tutte le pagine
L'ate del pensiero negativo
L'arte del pensiero negativo
Sempre in tema di opere premiate al festival ceco, edizione 2007, c’è da ricordare anche Kunsten å tenke negativt (L’arte del pensiero negativo) lungometraggio d’esordio del norvegese Bard Breien, la cui verve pencola verso la commedia nera. In questo caso il lacerante dramma di tre persone costrette in carrozzella, due delle quali affidate ad una psicoterapeuta convinta che tutte le difficoltà possano essere superate con l’ottimismo e il pensiero positivo. Quando il gruppo incontra un trentacinquenne, handicappato a seguito di un incidente d’auto, che riesce a sopravvivere solo facendo ricorso ad una rabbia, profonda e inarrestabile, le cose precipitano, sin quasi a sfiorare nuove tragedie. In altre parole siamo davanti ad uno sberleffo che mira a far emergere il grottesco anche dalle situazioni più tragiche. L’invito di fondo è all’accettazione della realtà, indipendentemente da qualsiasi mascheramento lieto. Meglio la consapevolezza di ciò che si è che la falsa coscienza indotta da forme di autoconsolazione. Sicuramente l’intento è lodevole, anche se il film eccede in una verbosità falsamente irriverente che ne compromette parte delle possibilità di riuscita.
La trappola
La trappola
Anche il riconoscimento alla migliore regia, assegnato al belgradese Srdan Golubovic che ha firmato Klopka (La trappola), non ha molto convinto. Il film ci riporta alla tragica transizione dalla Jugoslavia alla Serbia di oggi. Un capocantiere, che lavora per un’azienda pubblica sull’orlo del fallimento, ha un figlio affetto da una grave disfunzione cardiaca che può essere operata solo in Germania. Per l’intervento servono 26 mila euro che lui non ha. Fallite tutte le strade possibili - prestito bancário, vendita delle cose di un minimo valore possedute da lui e dalla moglie, richiesta di soldi ad amici e parenti – una possibile soluzione si presenta nei panni di un misterioso e mefistofelico signore che offre l’intera somma in cambio dell’uccisione di un concorrente in non meglio precisati loschi affari. Concluso il contratto ed eseguito l’omicidio, il mandante scompare senza saldare quanto promesso. Inizia cosi la disperata corsa alla ricerca del committente che si rivelerà, a sua volta, un miserabile privo di risorse. Al padre infelice non rimarrà altra strada che esporsi alla vendetta degli amici dell’ucciso, la cui vedova si fará carico del denaro necessário a far operare il piccolo. Il film segue il filone, molto frequentato del cinema serbo, di denuncia dei guasti della liberalizzazione forzata e della presa del potere dell’affarismo più losco. Non ci sono molte novità di linguaggio o costruzione drammaturgiaca, ma le intenzioni sono lodevoli e il racconto riesce a mantenere una sua efficacia per l’intero scorrere del film.

Ghiaccio neroIl premio riservato alla migliore interpretazione femminile è andato ex–aequo, alle finlandesi Outi Maenpaa e Ria Kataja interpreti di Musta jää (Ghiaccio Nero) di Petri Kotwica che prosegue la radiografia dei rapporti familiari complessi avviata, positivamente, in Koti-ikävä (Malessere familiare, 2005) in cui si analizzavano i rapporti fra un giovane introverso sino all’autismo e la madre eccessivamente protettiva. In questo caso sono di scena due professionisti benestanti - lei e’ una ginecologa, lui un architetto di successo – la cui unione entra in crisi, quando la moglie scopre che il marito ha una relazione con una praticante dello studio di cui è proprietario. Si separano, ma lei cova la vendetta: senza farsi riconoscere diventa amica della rivale e la induce a comportamenti che spingono l’uomo, che nel frattempo ha iniziato un’altra relazione, ad abbandonarla per ritornare fra le braccia della moglie. Il destino, cinico e baro, macchinerà affinché sia lei a salvare la vita all’altra, quando questa, incinta, rischierà di morire per un parto prematuro. Il film è assai meno interessante di quanto promette, la regia batte vecchie strade, offre soluzioni scarsamente convincenti, taglia le psicologie con l’accetta, ma l’interpretazione femminile è davvero di prim’ordine.
Va tutto beneSul versante della recitazione maschile è stato coronato il polacco Tomasz Wiszniewski interprete di Wszystko bedzie dobrze (Va tutto bene) in cui Tomasz Wiszviewski racconta la storia edificante di un ragazzino, bravo maratoneta, che decide di correre dal villaggio in cui abita sino al santuario della Madonna Nera di Czestochowa per implorare la grazia per la madre, ammalata terminale di cancro. Gli è compagno e guida il suo professore di educazione fisica, interpretato dal premiato, un ubriacone inveterato che alla fine del tragitto sembra momentaneamente incline ad una momentanea redenzione. Il tutto ritorna daccapo con la morte dell’ammalata e il ritorno dell’insegnante all’amore per la bottiglia. E’ un film edificante, molto ripetitivo, moraleggiante anche se non privo di un certo spirito nero nei confronti dei miracoli invocati con tanta passione, ma non realizzati.
Inquieto
Inquieto
L’israeliano Amos Kollek ha ricevuto il premio riservato alla migliore sceneggiatura per Hasar menuha (Inquieto) ed è un peccato perché si tratta di un’opera che meritava molto di più. Il regista, che è uno dei cineasti più noti del suo paese, costruisce un ritratto preciso e doloroso di un poeta che vive a New York campando con piccoli commerci, qualche truffa e molta miséria. E’ un bel ritratto della diaspora ebraica e del conflitto fra chi è rimasto – il figlio tiratore scelto dell’esercito israeliano e responsabile della morte di numerosi terroristi palestinesi – e chi se n’è andato non riuscendo più a sopportare le laceranti contraddizioni in cui è immerso il suo popolo. Poeta maledetto, odiato e ammirato da una parte dello stesso pubblico ebraico – americano, Moshe vive in un’atmosfera notturna, buona parte del film è ambientato nel fumoso bar in cui recita alternandosi a musicisti jazz, che ben simboleggia il baratro in cui è precipitata la sua vita. Persino il finale - con la riconciliazione, forse provvisoria, forse reale con il figlio - ha un tono più funereo che liberatorio. Un film forte e molto bello.