47° Festival Internazionale del Film di Salonicco

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47° Festival Internazionale del Film di Salonicco
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Image Da un paio d’edizioni il Festival del Cinema di Salonicco, la più importante manifestazione greca del settore, ha imboccato una strada segnata da due costanti: il gigantismo e un’attenzione particolare verso il commercio e la produzione cinematografiche. Quest’anno le due cose si sono espresse in un nuovo padiglione, non lontanissimo, ma separato dal centro tradizionale della manifestazione e in una massa di titoli spropositata: più di trecento. Omaggi e retrospettive si sono moltiplicate e lo spazio riservato al cinema nazionale è stato dilatato includendo, non solo lungo e corto metraggi, ma anche materiali video.
Il risultato di un tale accumulo, in cui è apparso difficile ritrovare un filo conduttore unitario, è stato, uno spiazzamento dovuto a sovraccarico di suggestioni perciò, come ha acutamente osservato un assiduo frequentatore della manifestazione, molti hanno preferito lasciar andare e passare buona parte del tempo al bar con gli amici piuttosto che rompersi la testa scegliendo fra decine di proposte offerte in contemporanea. In una simile situazione al cronista resta sola la possibilità di segnalare alcune impressioni, più intuitive che documentate dalla pratica, per tentare di cogliere i dati essenziali della manifestazione. La prima riguarda la corposa retrospettiva del cinema cinese contemporaneo che ha consentito di vedere, accanto a titoli già noti, opere poco o per nulla viste. La quantità dei titoli presentati e l’ampiezza dei criteri adottati nella selezione hanno consentito di cogliere, indipendentemente dal valore delle singole opere, il senso di una cinematografia che sa farsi specchio dei mutamenti di costume. Così è, ad esempio, per l’insieme delle relazioni familiari e interpersonali che passano da concezioni moralistiche dei rapporti uomo – donna, ad una visione più aperta con punte moderatamente libertine. Spesso film il punto di rottura si colloca nell’esplosione della rivoluzione culturale, con le sue ossessioni sessofobiche: in Fangxianng zhi lü (La strada) uno studente di medicina, mandato in un campo di lavoro in campagna per imparare dai contadini i veri valori rivoluzionari, rischia la pena di morte solo per aver abbracciato con eccessivo calore la donna che ama. Quando quella follia di massa crolla, ecco affacciarsi, assieme ad una nuova classe dirigente – non meno autoritaria e dittatoriale della precedente – anche nuove, più aperte relazioni fra uomini e donne.Un altro elemento emerso dalla programmazione di quest’anno è il costante interesse del cinema ellenico per i temi dell’emigrazione d’origine albanese.

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Edoardo
In questo senso un film come Eduart (Edoardo) d’Angeliki Antoniou, candidato al prossimo Festival di Berlino, appare indicativo. La storia nasce da una vicenda vera e racconta di un albanese che emigra clandestinamente in Grecia con la speranza di diventare una rock star. Il nuovo paese si rivela più simile ad un inferno che ad un paradiso e lui precipita nella miseria e finisce col prostituirsi ad un omosessuale facoltoso che tenta di derubare. La vittima lo scopre e lui l’uccide. Arrestato nel corso di una retata, è espulso verso il paese d’origine dove il padre lo denuncia per un vecchio furto da lui commesso e di cui è stata incolpata sua madre. Subisce una condanna a cinque anni di prigione che lo obbliga a sperimentare la ferocia e il degrado delle galere albanesi. Nel corso di una rissa con i membri del clan che controlla il carcere, riceve una pugnalata, ma è salvato da un medico tedesco che sta scontando una lunga pena detentiva per aver venduto medicinali scaduti che hanno causato la morte di decine d’ammalati. Riacquista la libertà grazie ai tumulti che accompagnano la caduta di Sali Berisha in seguito, nel 1996, allo scandalo delle società a piramide che hanno saccheggiato i risparmi di milioni di poveracci. Una volta ritrovala la libertà, preferisce riprendere la via della Grecia, confessare il delitto e scontare la pena in un carcere ellenico dove il vero protagonista della storia, si trova tuttora. Il film è un bel documento sociale, metà del quale dedicato alla vita carceraria. In questo ha punti in comune con altre opere che hanno trattato lo stesso argomento. La seconda parte, invece, è segnata da un taglio mistico – espiatorio, non banale. Il pregio maggiore è nella costruzione della storia in cui la regista esprime al meglio una capacità di misurare la drammaticità degli eventi e rendere avvincenti anche passaggi di cui lo spettatore avveduto coglie facilmente sviluppi e conclusioni. Già che siamo in argomento segnaliamo altri due film greci che sono emersi da un panorama, in verità, non molto buono.
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Falso allarme
Ores kinis isyhias (Falso allarme) di Katerina Evangelakou utilizza il classico stratagemma del luogo unico quale microcosmo della società, in questo caso un condominio ateniese che, in una notte d’estate, vede svilupparsi varie storie. Si va dal taxista abbandonato dalla moglie che non riesce a rassegnarsi, alla coppia di ladri che cerca di svaligiare l’appartamento di una vecchia signora e si trovano a dover fare i conti con il cadavere dell’anziana fulminata da un infarto, dalla coppia d’amiche in continua competizione per strapparsi gli amanti, al medico che tradisce la moglie, ma non riesce a rompere con un matrimonio ormai usurato. Nulla di molto originale e i riferimenti al cinema di commedia dolce - amara italiana, si pensi a L’ultimo capodanno (1998) che Marco Risi ha tratto dal libro di Niccolò Ammaniti, solo che in questo caso a dominare sono le note ottimistiche e mentre l’inquietudine per un mondo sempre meno umano è relegata ai margini.
La professionalità è alta, ma l’originalità manca. Roz (Rosa) d’Alexander Voulgaris, figlio del più noto Pantelis, e con già alle spalle una corposa carriera di produttore, sceneggiatore, attore, montatore e compositore. Il film inanella un catalogo, non sempre comprensibile, di ricordi d’infanzia e sensazioni, moderatamente erotiche, che legano un giovane introverso ad una ragazzina. A questo si aggiungono le inquietudini di un’attrice e quelle di una ragazza irlandese. E’ un film sulla memoria, composto in modo rapsodico e in cui non tutti i passaggi appaiono chiari. La ricerca d’originalità stilistica appare persino eccessiva e non del tutto funzionale al bilancio complessivo dell’opera. Altre inquietudini e atmosfere cupe in I pisyhi sto stoma (Anima sopraffatta) di Yannis Economidis, presentato anche alla Semaine de La Critique di Cannes 2006. Un povero cristo è angariato dalla moglie, che lo tradisce apertamente, e vessato da un capo, con connotati mafiosi, che gli infligge continue umiliazioni. La pressione su di lui cresce sino ad esplodere in un atto di sanguinosa violenza. Non ci vuole molta fantasia per ricordare un testo ben più famoso a cui il regista sembra essersi ispirato senza, peraltro, citarlo: Woyzeck di Georg Büchner. Se la fonte non è nuova, non lo è neppure il registro stilistico che gioca su materiali abbastanza usurati: primi pini in colori marci, atmosfere notturne, recitazione gridata oltre ogni necessità. Akamas del neoregista cipriota Panicos Chrysanthou è più apprezzabile per lo spirito pacifista che lo anima che non che per i risultati a cui approda. La storia è quella di un giovane pastore d’origine turca, vissuto in una famiglia greca e, per questo, esposto ai colpi dell’una e dell’altra fazione che si fronteggiano sull’isola. Il racconto ha passaggi assai poco risolti e mette in scena una storia d’amore impossibile, fra il turco e la figlia della famiglia che lo ospita, dagli sviluppi prevedibili e banali. Osservazioni simili valgono per Pandora di George Stanboulopoulos, ambientato negli anni cinquanta, nei mesi che seguono la guerra civile e nel pieno dell’espandersi dell’influenza americana sul paese. L’intero film ruota attorno alle passioni suscitate da una spregiudicata americana, d’origine greca, che ritorna nel paese natio per svolgervi loschi traffici e sconvolge, con i suoi costumi moderni, i rituali moralistici dei locali. Tutto questo è rivissuto, ad anni di distanza, da un uomo che, ragazzino, ha assistito all’esplodere di quelle passioni alla tragica conclusione della storia. Il film è banale nella costruzione e privo d’interesse.

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Rapporti di famiglia
Per quanto riguarda il concorso internazionale, si sono imposti all’attenzione alcuni titoli. Iniziamo con quello che ha ottenuto il maggior numero di palmares: massimo premio della sezione competitiva (Golden Alexander), riconoscimento collettivo alle interpreti come migliori attrici, premio del pubblico. E' Gajokeui tansaeng (Rapporti di famiglia), opera seconda del sudcoreano Kim Tae-yong, il cui primo film Yeogo goedam II (Memento Mori, 1999) ha suscitato molto interesse e vinto un premio al Sundance Film Festival del 2001. Al centro del film c’è il tema delle relazioni fra donne già presente nell’opera prima ove due ragazzine giuravano di seguirsi nella morte. Questa volta si parla di tre generazioni di donne che devono fare i conti con uomini irresponsabili e pasticcioni. Sono loro il vero pilastro della vita familiare e, anziane o giovani, incarnano uno spirito d’indipendenza e una forza di carattere che, se non rischiassimo di essere fraintesi, potremmo definire virile. Di madre in figlia, di sorella in cugina queste femmine di ferro superano le difficoltà e i guai in cui le gettano i maschi e trovano pace in un finale in cui la famiglia è ricostruita come un gineceo solidale che mette alla porta gli uomini, tranne uno il più insicuro e poetico, destinato forse ad un uso riproduttivo comune, quantomeno comunemente gestito. Il film è accattivante, originale nel modo di raccontare, solido nella costruzione. Roma wa la n’touma (Meglio Roma di te) dell’algerino Tariq Teguia ha vinto il Premio della riconciliazione, strana scelta per un’opera che offre un quadro terribile della disperazione, le vessazioni, il vuoto in cui sono immersi i giovani di quel paese costretti a fare i conti fra tradizioni che sconfinano nel fanatismo, polizia violenta e corrotta e la mancanza di futuro. Zina e Kamel sono fidanzati ed entrambi subiscono le conseguenze di una guerra non dichiarata, fra esercito e GIA islamica, che in dieci anni ha prodotto più di 100 mila vittime. Basta che una notte si attardino in un bar di periferia, per essere fermati da poliziotti dai metodi sbrigativi e costretti ad attendere il mattino in un rifugio di fortuna, per il subentrato coprifuoco. Il locale sporco e diruto in cui dormono è il simbolo eloquente di un paese disastrato. E' un film semplice, ma efficace nel suo raccontare una storia apparentemente privata, in realtà molto simbolica.
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La bella vita
Da segnalare anche Day Night Day Night di Julia Loktev, che quest'anno ha vinto il premio Regards jeunes alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes. La storia ruota attorno la preparazione e la tentata attuazione di un attentato a Times Square, dove una giovane dovrebbe farsi esplodere uccidendo decine di passanti. Nulla è detto sulle ragioni che spingono la terrorista ad immolarsi, così come non sapremo se la mancata esplosione dello zaino - bomba sia causata dal mal funzionamento dell’innesto o se tutta la cosa è stata montata per un qualche secondo fine. Quel che è certo che l’immagine finale della ragazza che piange, sola e abbandonata da tutti, in un angolo di strada ci dice non poche cose sulla disperazione che l’ha spinta ad un gesto tanto estremo. La forza del film è nella descrizione precisa e minuziosa della psicologia di questa suicida che Luisa Williams interpreta in modo straordinario.
Schöner Leben (La bella vita) del tedesco Markus Herling mette assieme alcune storie di solitudine e disperazione sullo sfondo della vigilia di Natale, C’è l’amante abbandonato che non riesce a darsi pace e sprofonda nell’alcolismo, la donna divorziata che non sa come recuperare i soldi necessari ad offrire un pasto decente ai figli e arriva a progettare una rapina, c’è l’attore in crisi che ritrova fiducia quando ottiene l’applauso dei passeggeri di un vagone del metro dopo un’esibizione estemporanea, c’è la donna sola e in carriera che vuole registrare un filmato da mandare al ragazzo africano che ha preso in adozione a distanza e il conduttore del metrò a cui è affidata. Quest’ultimo episodio è il più commuovente perché l’uomo nasconde un terribile segreto e, quando riuscirà a farne partecipe l’occasionale compagna, ritroverà la gioia di vivere. Sono storie che trovano una casuale confluenza in un vagone della metropolitana e che disegnano, nel complesso, una conclusione in carattere con lo spirito di quelle ore. E’ un film dal tessuto sostanzialmente ottimista, generoso e interessante, ma nulla più. Generoso e interessante, ma nulla più. The point del canadese Joshua Dorsey è stato costruito sulle esperienze e le interviste realizzate a 35 giovani che abitano nel sobborgo degradato di Point St. Charles, a Montreal, un quartiere comunemente detto The point. I ragazzi hanno poi interpretato se stessi in una decina di storie di piccolo spaccio, feste casalinghe, gelosie e partite di pallacanestro. Il film ricorda molto Kids (1995) di Larry Clark, con un senso decisamente minore di compiacimento e di ricerca dello scandalo a tutti i costi. Ciò che più interessa è l’immagine di questi ragazzi cui la vita non offre alcuna prospettiva se non il sesso, come antidoto alla noia, o i traffici illeciti, come unico modo di raccattare un po’ di denaro. Un quadro degradante di una delle tante periferie del mondo ricco.

I PREMI
Golden Alexander e 37.000 euro per il miglior film a
GAJOKEUI TANSAENG (Rapporti di famiglia) di
KIM Tae-yong (Corea del Sud).
Silver Alexander (premio speciale della giuria) e 22.000 euro a
ASRE JOMEH (In un venerdì pomeriggio) di
Mona Zandi Haghighi (Iran).
Premio al miglior regista a
SLAWOMIR FABICKI per il film Z Oszysku (Recupero) (Polonia).
Premio alla migliore sceneggiatura ex aequo a
MAURICIO ZACHARIAS, FELIPE BRANGANCA, KARIM AINOUZ per O Céu De Suely (Il celo di Suely) (Brasile- Germania-Portogallo-Francia).
e a
SUNG Ki-young, KIM Tae-yong per Gajokeui Tansaeng (Rapporti di famiglia) (Corea del Sud).
Premio alla migliore attrice a
MOON So-ri, GOH Doon-shim, KONG Hyo-jin, KIM Hae-ok per la partecipazione al film Gajokeui Tansaeng (Rapporti di famiglia) (Corea del Sud).
Premio al migliore attore a
ANTONI PAWLICKI per Z Oszysku (Recupero) (Polonia).
Premio per il miglior risultato artistico a
O Céu De Suely (Il cielo di Suely) (Brasile-Germania-Portogallo-Francia).
Premio FIPRESCI (Federatione Internazionale della Stampa Cinematografica) a:
per il concorso inetranzionale a:
O Céu De Suely (Il cielo di Suely) (Brasile-Germania-Portogallo-Francia).
Per il miglior film Greco a:
EDUART (Edoardo) di Angeliki Antoniou
Premio Vita quotidiana: Trascendenza o Riconciliazione e 15.000 euro, offerto dal Ministerio della Macedonia – Tracia a
ROME RATHER THAN YOU (Meglio Roma di te) di Tariq Teguia (Algeria-Germania-Francia)
Premio Donne ed eguaglianza e 6.000 euro, offerto dal Segretariato per le pari opportunità del Ministero dell’Interno, Pubblica Amministrazione e Decentramento a
GRBAVICA di Jasmila Zbanic (Austria-Bosnia-Erzegovina- Germania-Craoazia)
Premio per i valori umani e 15.000 euro a
EL VIOLIN (Il violino) di Francisco Vargas (Messico)
Premio Digital Alexander e 15.000 euro offerto dal Centro Greco per il Cinema e desinato ad un film della Sezione Digitale a
LAND OF NOD (Terra del Nord) di Evangelos Yiovannis (Grecia)
Menzione speciale a:
a di Yorgos Loukakos e Madeleine Aktypi (Grecia)
Mr. Lumiere… I’m back (Signor Lumiere .. sono tornato) di Nikos Alevras (Grecia)
Summer Province Dreams (Sogno di un’estate di provincia) di Yorgos Akseherlidis (Grecia)
A Pink Safety Pin (Un codice di sicurezza rosa) di Nikos Pomonis (Grecia)
Premo del pubblico Jameson 3.000 euro a:
Per la sezione concorso a
GAJOKEUI TANSAENG (Rapporti di famiglia) di KIM Tae-yong (Corea del Sud)
Per la sezione riservata ai film greci a:
YIOS TOU FYLAKA (Il tutore del figlio) di Dimitris Koutsiabassakos
Per la sezione riservata al cinema balcanico (premio in denaro di 2.000 euro) a:
A FOST SAU N-A FOST? (A Est di Bucarest) di Corneliu Porumboiu (Romania)
Per la sezione film in digitale (premio di 2.000 euro) a:
ONIRA THERINIS EPARHIAS (Sogno di un’estate di provincia) di Yorgos Akseherlidis (Grecia)
Premio dell’ Unione del cinema e televisione greci (ETEKT) a:
EDUART (Edoardo) di Angeliki Antoniou
Premio dell’associazione della critica greca (PEKK) a:
I PSYHI STO STOMA (Anima sopraffatta) di Yannis Economidis (Grecia)
Premio Crossroads Co-Production Forum Award di 10.000 euro offerti da NOKIA Nseries per un nuovo progetto di film a:
PANDORA’S BOX (Il vaso di Pandora) di Yesim Ustaoglu (Turchia)
Premio Industry Center & Eave Award al produttore
ADA SOLOMON (Romania)

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47° International Thessaloniki Film Festival
18 novembre - 27 novembre 2006
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