24° Torino Film Festival

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Image La 24ma edizione del Torino Film Festival ha confermato la condizione transitoria in cui si trova questa manifestazione. Dopo le prime gestioni guidate da Alberto Barbera, segnate da scelte precise in favore di un cinema di qualità non privo di valori commerciali, e quelle più radicali e, a tratti, snobistiche di Stefano della Casa, le edizioni firmate da Giulia D’AgnoloVillan e Roberto Turigliatto sono apparse prive di un netto filo conduttore.
Da un lato c’era la tendenza a prediligere le opere marginali rispetto al gran circuito internazionale, come ha testimoniato, quest’anno, l’inserimento in concorso d’alcuni titoli realizzati in video, dall’altra il desiderio di puntare sulla rivisitazione critica d’autori, spesso americani, la cui opera, seppur con connotati originali, si colloca all’interno di un preciso itinerario industriale. In questo modo è stato composto un calendario dai toni lievemente schizofrenici, come dimostra la vicinanza d’opere che sfiorano l’amatoriale a grandi produzioni.
A proposito delle prime ci sia consentita una breve digressione tecnica sul tema della messa in cartellone dei film in video. Non c'è, da parte nostra, alcun’intenzione di erigere assurde barriere basate sulle tecniche di ripresa, ma la rivendicazione d’apparati tecnici che consentano di valutare al meglio anche questo tipo di film. Non è sopportabile, invece, assistere a proiezioni indecenti data la scarsa qualità dei materiali o l’inadeguatezza degli apparati di proiezione. E’ capitato, ad esempio, che Buyi Zhi le (I piaceri della gente comune), del cinese Xia Peng, sia risultato difficilmente giudicabili, visto che le immagini sono apparse mal esposte dalla prima all’ultima. E’ un vero peccato, tenuto conto che il film propone una ricognizione tutt’altro che banale fra i diseredati del miracolo economico cinese, ex galeotti, poveri, militari costretti ad arrotondare la pensione da fame raccogliendo, letteralmente, escrementi ad uso di fertilizzante.
Sempre in tema di materiali video sono stati presentati anche un film filippino e un tailandese, due documentari, uno di carattere più nettamente sociale, l’altro con tendenza alla documentazione poetica.
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L'insegnante
Manoro (L’insegnante) di Brillante Mendoza racconta la delusione di una ragazzina, una delle tante appena capaci di leggere e scrivere, inviate ad alfabetizzare i contadini chiamati a partecipare alle elezioni presidenziali del 2004. La giovane, che ha insegnato i rudimenti della scrittura al parentado, è ora preoccupata per il nonno che ha preferito la caccia al cinghiale all’esercizio del voto. Ha ragione ad essere in ansia, infatti, l’anziano ritornerà in tempo per votare, ma dimostrerà il più assoluto disinteresse per schede e urne. Il film è girato come una cronaca del quotidiano e tende a dimostrare la difficoltà a far penetrare l’idea della democrazia in persone costrette a lottare da decenni per la sopravvivenza.
Notevolmente diverso l’approccio che Uruphonh Raksasad propone in Reanglao jak meangnue (Storie del nord). Il film è organizzato su nove storie ambientate a Lanna, un piccolo villaggio del nord della Tailandia. Ne sono protagonisti quattro persone – un uomo, un’anziana, un bimbo e un coltivatore di riso – uniche rimaste in una zona spopolata dall’emigrazione interna verso la capitale. Assieme a loro assume un ruolo importante un bufalo, simbolo di una Tailandia eterna e immobile nel tempo. Il film ha un tono più romantico melanconico che di denuncia sociale e costituisce un bel capitolo di ricordi su un tempo passato spazzato via da una modernizzazione spesso insensata.