28° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier

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28° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier
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ImageQuattro film hanno segnato la 28ma edizione del Festival del Cinema Mediterraneo di Montpellier, due presentati fuori concorso, gli altri vincitori dei premi principali messi in palio dalla manifestazione. Sono opere legate da soggetti connessi fra loro: il dramma dell’emigrazione e i disastri della guerra. Iniziamo il nostro resoconto con i titoli ospitati al di fuori della competizione. Due autori, in particolare, si sono imposti all’attenzione: il serbo Goran Paskaljevic e l’israeliano Amos Gitai. Il primo ha presentato un racconto ad episodi, Optimisti (Ottimisti), articolato in cinque parti segnate dall’interpretazione di uno dei mostri sacri del cinema belgradese: Lazar Ristovski. S’inizia con un distinto signore che arriva tra un gruppo di sfollati da una terribile alluvione e propone, come rimedio ai loro mali, l’ipnosi e l’ottimismo. Si scoprirà che è un innocuo demente, sfuggito da un manicomio, ma la sua presenza sarà servita a far credere, per qualche minuto, a quei disgraziati che si possono essere felici facendo leva sulla forza della propria volontà.
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Ottimisti
Il secondo episodio ha un taglio nettamente drammatico: un neoricco, dai comportamenti banditeschi, stupra la giovane figlia di un operaio e riesce a pretendere che quest’ultimo gli chieda scusa. Terza tappa con un giovane irretito dal sogno di una facile ricchezza, al punto di giocarsi i denari che gli sono stati affidati per organizzare il funerale del padre. Nuovo capitolo, con un allevatore di maiali che inculca nel giovane figlio il mito della bellezza dello sgozzamento, al punto di farne un maniaco che taglia la gola ad ogni animale che incontra. Finale con un imbroglione che spilla soldi ad un gruppo di pellegrini, illudendoli che il bagno in una magica fonte curerà le malattie di cui sono afflitti.
Abbandonati a se stessi i poveracci s’imbattono in una pozza d’acqua lurida, vi s’immergono e guariscono, o credono di guarire, davvero. E’ un vasto mosaico sulle rovine che le guerre balcaniche si sono lasciate dietro ed è un ritratto feroce e doloroso dei mali che affiggono società da decenni sottoposte a feroci dittature e che, spesso, hanno sorretto il loro potere con demagogici richiami alla grandezza nazionale.
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Novità dalla patria/ novità da casa
L’ispirazione rimanda al Candido (1759) di Voltaire con, in più, un senso d’accorata disperazione ed orrore per i massacri che hanno segnato quelle terre. Il film è costruito con gran forza e raccontato in modo stilisticamente perfetto. New from Home / News from House (Novità dalla patria/ novità da casa) d’Amos Gitai è la terza tappa del documentario iniziato con Bayit (La casa, 1980) e proseguito con Bait be yerushalayim (Una casa a Gerusalemme, 1998). Nel primo film il regista aveva incontrato un palestinese che, cacciato dalla sua casa ed espropriato delle terre che possedeva dopo la guerra arabo – israeliana del 1948, sopravviveva come tagliatore di pietre. Nel secondo aveva ritrovato quest’uomo, diciotto anni dopo, e aveva aggiunto alla sua storia quella d’altri palestinesi costretti all’esilio. Con la nuova tappa dell’inchiesta il regista rincontra questi personaggi e vi aggiunge la vicenda di una donna israeliana che vive oggi nella casa che fu di una famiglia palestinese.
E’ un quadro doloroso e lucido di una doppia diaspora, quella a cui sono stati costretti gli ebrei e quella che i governanti israeliani hanno imposto ai palestinesi. E' uno sguardo che non mette da parte le responsabilità dei due fronti e che riesce a vedere il martirio cui sono stati sottomessi entrambi. E’ una posizione coerentemente ed intelligentemente pacifista che ben si salda alla filmografia di questo regista.Veniamo ora ai film premiati. Il maggiore riconoscimento, l’Antigone D’Oro, è andato al croato Branko Schmidt che ha firmato Put lubenica (La strada delle angurie) in cui si racconta l’annichilimento di un ex combattente della guerra contro i serbi nel corso della quale ha compiuto azioni tanto efferate da indurlo in una sorta di stato catatonico. Per sopravvivere, nella nuova realtà segnata da traffici illeciti, delinquenza e violenza quotidiana, trasporta immigrati clandestini cinesi per conto di un boss locale. Una notte la barca con cui sta tragrettandone un gruppo, naufraga e tutti i passeggeri annegano tranne una giovane che lui, controvoglia, accetta d’ospitare in casa.
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La strada delle angurie
La presenza della donna sgela lentamente il grumo di dolore che lo opprime, tanto che, quando lei sarà rapita dai delinquenti per i quali lavora, la libererà anche a costo di ritornare ad uccidere ed essere ucciso. Il film ha molti aspetti prevedibilmente melodrammatici e soffre di un’interpretazione non all’altezza dei drammi che agita, ma ha il merito di raccontare, con stile fluido e coerente, una storia che ci ricorda un dramma socialmente attuale e doloroso.