28 Ottobre 2014
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36° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier |
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At li Layla (Vicino a lei) dell’israeliano Asaf Korman, interpretato da sua moglie Liron Ben-Schlush che ha attinto anche da una sua vicenda personale, disegna il ritratto di una giovane che si dedica con passione quasi morbosa ad assistere la sorella minore affetta da un grave handicap mentale. Le due donne vivono in simbiosi con l’ammalata che dipende totalmente dall’altra e quest’ultima riesce a fatica a conciliare il lavoro di sorvegliante di una scuola con gli obblighi di assistenza. Le due vivono e dormono assieme, con la prima che sacrifica ogni possibilità alle esigenze dell’altra. L’equilibrio si spezza quando la sorella maggiore inizia una relazione con un insegnate di ginnastica della scuola in cui lavora. Il rapporto sembra procedere bene sino al momento in cui la giovane scopre che sua sorella è incinta e si convince immediatamente che il padre sia il suo compagno. Lo caccia di casa senza aspettare giustificazioni, salvo scoprire, giorni addietro e dopo che l’handicappata è stata fatta abortire, che la sorella ha fatto l’amore con un altro minorato mentale che fa parte del gruppo che la cura. Il film finisce a questo punto lasciando in sospeso ogni esito di possibile riconciliazione o di rottura definitiva, anche se il regista ha dichiarato che la sua preferenza va alla prima soluzione. E’ un film che mette in scena un dramma familiare profondo e lacerante che ha, quantomeno, il merito di mettere l’accento su un tema solitamente oscurato: quello della sessualità fra i portatori di handicap. Un contributo fondamentale lo offrono le interpretazioni delle due protagoniste, la prima ha attraversato un’esperienza analoga e riesce a dare toni di verità ad un ruolo non facile. La minorata ha il volto di Dana Ivgy, una delle migliori giovani attrici israeliane, e riversa nel suo ruolo una lunga preparazione fatta a contatto con veri minorati mentali. In altre parole, un film emotivamente forte che porta sullo schermo una situazione tutt’altro che infrequente nella vita reale.
Na kathesai kai na koitas (Stare in piedi di lato: guardando) del regista greco Yorgos Servetas è un melodramma a forti tinte con al centro una mancata attrice che ritorna nel villaggio natale ove incontra vecchi amici e vicini che non vedeva da anni. La rimpatriata non ha un risultato positivo, con un giovane, nuovo amante che si rivela debole e insicuro, un’amica che subisce passivamente la violenza di un imprenditore locale e quest’ultimo convinto di poter fare il bello e il cattivo tempo con tutti, al punto di plagiare il giovane e farne il suo complice nel tentativo di rapimento e stupro dell’ex - attrice. Siamo dalla parti del dramma rusticano, non a caso siglato dalla fucilate con cui, nel finale, un ex-amante della donna la libera dai suoi aggressori uccidendoli entrambi. Un film di scarso interesse e dal taglio decisamente melodrammatico.
Takva su pravila (Le regole sono queste) del croato Ognjen Svillicic affronta un paio di problemi sociali di spessore: quello della violenza fra i giovani e quello dell’indifferenza delle istituzioni davanti a gravi fatti criminali. Ivo e Maja sono una coppia del tutto normale, vivono un’esistenza come tante in un grande casermone di Zagabria. Con loro abita il figlio Tomica che una mattina ritorna col viso tumefatto dopo una notte passata fuori casa. Racconta di una non meglio precisata rissa, ma dopo poco stramazza a terra, lo portano in ospedale dove spira il giorno dopo. Polizia e personale sanitario si comportano in maniera del tutto burocratica, quasi non ascoltano le richieste dei genitori, si limitano a informarli che il figlio e morto. Un’amica del ragazzo fa arrivare ai due un video girato con un telefonino in cui si vede il ragazzo, ormai esanime a terra, che continua ad essere picchiato da un suo coetaneo, uno studente di cui la ragazza conosce il nome e che gli altri non hanno neppure cercato di fermare. A questo punto il padre va a cercare il picchiatore e arriva quasi ad ucciderlo. Questa forma di vendetta privata servirà anche a rinsaldare i rapporti, sino ad allora decisamente freddi, nella coppia. La prima osservazione che viene alla mente appena visto il film, è che il regista offre una quasi legittimazione a questo padre giustiziere, stante l’indifferenza e l’ignavia delle istituzioni pubbliche. Testi assai discutibile se generalizzata e assunta a risposta politica. Il film è costruito con abilità, anche se non è privo di snodi prevedibili, ma rimane offuscato da questo approccio di fondo.
U.R.
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