40° Settimana del Cinema Magiaro 2009 - Pagina 4

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40° Settimana del Cinema Magiaro 2009
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I premi
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Il podere del padre
Il podere del padre
Il prestigioso premio Gene Moskowitz, assegnato dai critici stranieri presenti alla rassegna, è andato ad Apaföld (Il podere del padre) di Viktor Oszkár Nagy un bel racconto basato sul difficile rapporto fra un padre, da poco uscito di prigione, e il figlio che gli rimprovera la relazione con una nuova compagna, sorella della prima moglie. Tutto questo ha per sfondo la volontà dell'ex detenuto di rifarsi una vita costruendo un vigneto, questo in contrasto con il desiderio del figlio di affrancarsi dalla custodia paterna, anche a costo di diventare un delinquente. E' un film formalmente ben costruito e molto ben interpretato, ma sostanzialmente calligrafico nell'impostazione e nello stile. E', in altre parole, una buona prova di regia ma fine a se stessa.
Io non sono tuo amico
Io non sono tuo amico
Fuori dal palmares sono rimasti alcuni titoli che meritavano ben maggiore attenzione. Nem vagyok a barátod (Io non sono tuo amico) di György Pálfi allinea varie storie che mettono in risalto lo spirito canagliesco dei personaggi. Sono minuscole vendette, tradimenti, adulteri, imbrogli, pulsioni erotiche inconfessabili il tutto girato con macchina a mano e con immagini sincopate. Il film è aperto da un lungo brano su un asilo, con i bambini che giocano e le cui voci ritornano come colonna sonora sui titoli di chiusura a significare che gli esseri umani sono malvagi e gretti. L'obiettivo è centrato soprattutto sugli uomini, ma neppure le donne scherzano poiché una di loro arriva a mandare in galera, infilandogli droga nella borsa per poi denunciarlo alla polizia, un tipo che l'ha rimorchiata senza dirle che è stato appena mollato da un'altra. Film ricco di tratti originali, come lo erano Hukkle (2002) e Taxidermia (2005), diretti dallo stesso autore, anche se qui la struttura appare maggiormente tradizionale. In ogni caso è un testo interessante, percorso da un pessimismo quasi anarchico.
Trasmissione
Trasmissione
Interessante anche Adás (Trasmissione) di Roland Vranik che si apre su uno scenario inquietante: un mondo in cui è scomparso il petrolio. Qui tre fratelli sopravvivono con difficoltà in riva al mare abitando strutture ultramoderne, ormai quasi inservibili. Uno di loro uccide accidentalmente la moglie, che lo tradisce con un collega di lavoro, gli altri lo aiutano a far scomparire il cadavere. E' un film ottimamente fotografato e dalla scenografia a tratti suggestiva, ma che non convince sino in fondo. Un esercizio di stile fine a se stesso che può anche ingannare gli spettatori meno smagati, ma che rischia di annoiare a morte i più accorti. In altre parole siamo alla presenza di un tipo di cinema che tenta di cogliere la lezione, ad esempio di Canicola (Hundstage, 2001) di Ulrich Seidl, sulla terribilità di eventi apparentemente ordinari. Ciò che manca è la capacità di dare nuovo corpo a questi aspetti stilistici.
Il settimo cerchio
Il settimo cerchio
Non banale neppure A hetedik kör (Il settimo cerchio) di Árpád Sopsits. La storia nasce da un fatto di cronaca: il suicidio di due quattordicenni. Da questo spunto parte una bella cartella clinica dei turbamenti e del trauma legato alla scoperta della morte in età adolescenziale. Un gruppo di ragazzini incontrano un coetaneo che teorizza l'uccidere e sostiene avere il potere di resuscitare. Questo mette in crisi gli insegnamenti che i ragazzi hanno appreso al catechismo sino a spingerli sfidate il prete, li ha loro insegnati. Anche il religioso ha dubbi, che lo portano a sfidare il Cristo crocefisso danzando in chiesa. Un film complesso che analizza assai bene un'età particolarmente difficile, anche se lo fa con alcune ripetizioni nella parte centrale, il rapporto con il prete, e in quella finale, il doppio suicidio, ma complessivamente è opera di grande interesse e di ottima fattura.