Cinema ungherese 1999

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A Budapest Jancsó va sul comico, mentre Szabó guarda alla storia

Budapest - L'Ente che sovrintende alla sorti della cinematografia ungherese organizza, da trentun anni, una "Settimana Magiara" in cui è presentata l'intera produzione della stagione. Film narrartivi, documentari, medi e corti metraggi, film d'animazione, opere in video sono inseriti in un fitto calendario che, quest'anno, allineava più di cento titoli. E' un'occasione unica per tastare il polso a questa cinematografia, dalle dimensioni produttive contenute - una ventina di lungometraggi l'anno - ma qualitativamente importante.

Un cinema che, anche negli anni del socialismo reale si è distinto per originalità, anticonformismo, spirito di ricerca. Il bilancio del 1999 non è stato particolarmente entusiasmante, anche se non sono mancate alcune opere di sicuro interesse. Un primo dato ha riguardato la riconferma del valore, pur con una certa staticità rispetto al passato. Miklós Jancsó ha portato a termine la seconda tappa della trilogia avviata con "Lanterne a Budapest" (1998). Il nuovo film s'intitola "Accidenti! Le zanzare" ed è interpretato dalla stessa coppia comica, stralunata e arrabbiata, che compariva nell'opera precedente. Il film non si regge su una storia, intesa in senso tradizionale, e ha snodi piuttosto oscuri, anche se il regista assicura che il terzo episodio chiarirà ogni cosa e darà in senso all'intero progetto. Per ora rimangono i dialoghi concitati, le discussioni a ruota libera, lo strangolamento di figli carrieristi, il maltrattamento di poliziotti beceri, il rispetto per nonni che collezionano dollari falsi le grottesche raccolte di seme, i voli sopra i tetti di Budapest. Gli ungheresi assicurano che i dialoghi sono spassosissimi e contengono continui riferimenti a politici, faccendieri, intrallazzatori vari i cui nomi sono ospitati quasi quotidianamente dalle cronache. Così come vi individuano una precisa coerenza con la posizione lucidamente pessimista adottata in più di un'occasione dal regista. La cosa trova conferma nelle molte risate che hanno punteggiato la proiezione pubblica in punti in cui l'osservatore straniero, asservito alla traduzione in cuffia, trovava ben poco di cui sghignazzare. Da questo il predominare di perplessità su una formula che stenta a sganciarsi dalla farsa popolaresca e si colloca a chilometri di distanza dal rigore stilistico che contraddistingueva film pur difficili come "L'armata a cavallo" (1967) o "Salmo rosso" (1971). Molto diverso il percorso seguito da István Szabó che in "La luce del sole" . Qui siamo sul piano del grande affresco storico in un film non originalissimo, ma ricco di emozioni. Il progetto originale prevedeva non uno, ma bensì tre film, ciascuno dedicato a una precisa generazione. Poi sono intervenute le solite difficoltà economiche e tutto a dovuto essere ricondotto ad un unico progetto, peraltro di grande respiro: quasi tre ore di proiezione. Questa forzata concentrazione ha avuto i suoi effetti si situazioni e personaggi che non dispongono sempre del necessario sviluppo. E' la saga di una famiglia ebrea, proprietaria di una famosa marca di liquore, il riferimento più immediato è agli Zwack, titolari del marchio dell'amaro Unicum, ma il regista assicura che questa non è la sola vicenda a cui si è ispirato. Lo stesso attore, l'americano Ralph Fienners, interpreta la figura più importante della famiglia nelle varie generazioni. E' il giudice della corte imperiale austriaca costretto a cambiare nome. Da Sonnenschein (Raggio di sole, in tedesco) diventa Sors (destino, in ungherese), in quanto troppo dichiaratamente ebraico. E' il campione olimpico ucciso in un lager perché rifiuta di autodefinirsi "sporco ebreo". Lo appendono nudo ad un albero, in pieno inverno, e lo bagnano sino a che si trasforma in un blocco di ghiaccio, è la sequenza più bella ed emozionante del film e rimanda a una storia vera. E' il giovane che, all'epoca di Stalin, entra nella polizia politica per vendicare il padre, ma finisce in galera per aver partecipato alla rivolta del 1956. Il film è solidamente costruito e si segnala per la lucidità con cui non cerca colpevoli, ma rende omaggio alle vittime. Molto diversa la strada scelta dal giovane András Fésös, per "Il sole tramonta a sinistra", una bella storia d'amore fra un giovane ungherese cieco e una ragazza tedesca. I due si conoscono casualmente, a causa di un disguido telefonico, e s'innamorano senza essersi mai visti. Lui decide di farle una sorpresa andandola a trovare. Lei ha la medesima idea, lo stesso giorno. Lui si ritrova in una casa vuota, lei nel letto di un amico del ragazzo, che gli ha fatto credere si essere il suo innamorato. Tutto sembrerebbe compromesso se il caso non ci mettesse ancora una volta lo zampino. Il film è girato con una notevole vena creativa, ripreso con una fotografia fortemente sgranata, stile sedici millimetri "gonfiato". Un'opera tutt'altro che perfetta, ma fresca e rivelatrice di un gusto per il cinema che fa venire la voglia - scusate se è poco! - di andare a vedere il prossimo film di questo regista.