74ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia - Pagina 6

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74ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia
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GardeIl Leone d’Argento per la miglior regia attribuito all’opera prima di Xavier Legrand, Jusqu’à la garde, è servito soprattutto a ricordare che la storia dei festival -  e delle sue giurie - è spesso una storia di ingiustizie clamorose. Il fatto che a film di peso di autori importanti quali Mektoub, My Love: Canto Uno di Abdellatif Kechiche, La villa di Robert Guédiguian ed EX LIBRIS – The New York Public Library del documentarista Frederick Wiseman (vincitore del Premio FIPRESCI) sia stato preferito il discreto esercizio di stile di un esordiente ha stupito e addolorato molti accreditati. Il regista di Cous cous e de La Vita di Adele, in particolare, avrebbe sicuramente meritato di più. Il suo impetuoso, incontenibile romanzo di formazione artistico-sentimentale ambientato nella soleggiata estate del 1994, è uno straordinario inno alla potenza e alla sensualità della giovinezza e del corpo femminile.

LeisurePer quanto riguarda la delegazione italiana, infine, è opportuno registrare l’innalzamento del livello medio, specie rispetto alla modesta figura rimediata da Roan Johnson, Giuseppe Piccioni e i documentaristi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti nel 2016. Sia Paolo Virzì sia Andrea Pallaoro hanno esplicitamente guardato al mercato internazionale, portando in concorso opere dal destino commerciale incerto ma dai valori oggettivi. Il primo, con The Leisure Seeker, ha realizzato un road movie senile dal buon ritmo, sorretto da due abili interpretazioni dei veterani Donald Sutherland ed Helen Mirren, nel ruolo di una coppia di anziani gravemente ammalati (di demenza lui, di cancro lei) alle prese con il loro ultimo viaggio verso la casa di Ernest Hemingway in Florida.

HANNAH-Charlotte-Rampling-2017-1Il secondo, film-maker trentenne da tempo residente a Los Angeles, è andato fino in Belgio per trovare il giusto grigiore in cui ambientare il plumbeo, soffocante e fascinoso Hannah. Costruito interamente sul volto e il corpo di Charlotte Rampling, premiata non certo a sorpresa con la Coppa Volpi femminile, il nuovo film dell’autore di Medeas (2013) racconta con elissi piuttosto compiaciute e inquadrature fin troppo eleganti la parabola di una donna costretta ad affrontare una scoperta agghiacciante che mette in discussione il suo matrimonio, i suoi affetti, il suo passato e la sua vita stessa.

FamigliaSempre sul filo del ridicolo e con parecchi dialoghi in eccesso, Una famiglia di Sebastiano Riso si è rivelato invece un titolo sorprendentemente coraggioso. La turpe vicenda di una donna costretta dall’amante a mettere in vendita il proprio utero a beneficio delle coppie sterili, viene raccontata con uno stile freddo e respingente che lascia tuttavia ampio spazio al talento di Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel. Poco viene chiarito (perché la donna resta con il suo aguzzino? cosa spinge davvero l’uomo a distruggere il corpo della compagna-complice?), sul tutto aleggia una cupa ambiguità, ma il rapporto ossessivo che lega i protagonisti è reso con destabilizzante intensità. Due interpretazioni convincenti e alcune interessanti soluzioni di regia non hanno tuttavia impedito un’accoglienza freddissima.

morelli-e-rossi-ammore-e-malavitaDiscorso molto diverso per Ammore e malavita dei Manetti Bros. (al secolo Marco e Antonio Manetti, da Roma), un omaggio alla subcultura partenopea delle sceneggiate e ai B movies anni Settanta che, nonostante le perplessità iniziali per l’inopinata presenza in concorso, ha entusiasmato la stampa italiana e incuriosito parte di quella internazionale. Ostentatamente slabbrato nella messinscena e sopra le righe nella recitazione (memorabile Carlo Buccirosso nel ruolo di un boss con vistoso parrucchino), il film è un ibrido quasi indefinibile, un bislacco musical d’azione sostenuto dalle musiche di Pivio e Aldo De Scalzi che gioca con lo spettatore dalla prima all’ultima inquadratura. In 133 minuti i registi di Zora la Vampira hanno frullato Gomorra e James Bond, Roberto Saviano e Flashdance, la sceneggiata cinematografica (incarnata qui dal mitico Pino Mauro di Onore e guapparia) e il Kung Fu, in un trionfo di cannibalismo cinefilo tanto divertente quanto stucchevole. Non per tutti, ma certamente tra i momenti più insoliti di quest’eccellente – e quasi mai banale - settantaquattresima Mostra veneziana.
M.L.