74ma Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia - Pagina 5

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 Il commento

shape-of-waterLa miglior edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia della seconda direzione di Alberto Barbera non è stata rovinata dai verdetti cauti della giuria presieduta dall’attrice hollywoodiana Annette Bening. Il Leone d’oro attribuito a The Shape of Water di Guillermo Del Toro era tutto sommato prevedibile: la poeticistica fiaba retrò del regista messicano, ambientata in un’America in piena Guerra Fredda, è un prodotto dalla splendida confezione, abitato da una Sally Hawkins magistrale nella parte della sensibile sordomuta che trova l’amore in un mostro marino dotato di poteri soprannaturali. Film dagli innegabili meriti, capace di accontentare tanto la critica più esigente quanto le platee delle multisale di tutto il mondo, l’opera decima di un maestro riconosciuto dell’horror e del fantasy è stata protagonista – almeno secondo la stampa - di un lungo testa a testa per il massimo riconoscimento con Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di Martin McDonagh. Al terzo lungometraggio del regista e drammaturgo anglo-irlandese, alla fine, è rimasto solo un premio per la miglior sceneggiatura, ma è fuor di dubbio che questa spassosa e cinica incursione nella provincia americana, sulle tracce di un misterioso assassino (madre della vittima una magnifica Frances McDormand), sia stata tra i titoli più apprezzati dell’intero concorso.

8061650-3x2-940x627Altre indagini, molto meno appassionanti, erano al centro dei mediocri Sweet Country dell’australiano Warwick Thornton, The Third Murder del giapponese Kore-eda Hirokazu e Angels Wear White della cinese Vivian Qu. Solo il primo, girato nell’outback dell’Australia del Nord con Sam Neill e Bryan Brown a dare la caccia a un aborigeno in fuga, ha convinto la giuria, che gli ha generosamente attribuito il suo Premio Speciale.

locandina foxtrotIl Gran Premio è andato invece in direzione Israele, a Foxtrot di Samuel Maoz. Già Leone d’Oro nel 2009 con Lebanon, il regista di Tel Aviv è stavolta tornato al Lido con un’opera potentissima che, come spesso accade nel cinema israeliano, vive di pesanti metafore, simbologie, psicologismi e notevoli intuizioni visive. Sorta di tragedia greca sui generis divisa in tre atti – cui corrispondono forme, ritmi e design sonori diversi – il film è una spiazzante meditazione sull’imprevedibilità del destino, l’ennesimo tentativo da parte del cinema dello stato ebraico di fare i conti con i propri demoni e con il lungo conflitto con i palestinesi.

Proprio in Palestina, per quello che è sembrato uno scherzo della sorte, è nato invece Kamel El Basha, vincitore della Coppa Volpi maschile per la sua convincente interpretazione in The Insult del franco-libanese Ziad Doueiri. Sospeso tra il dramma giudiziario e il thriller politico, il quarto lungometraggio dell’ex assistente operatore di Quentin Tarantino è un ambizioso e compiuto affresco della società libanese, dei suoi conflitti insanabili e della lunga storia di atrocità che ne separa la miriade di comunità religiose. E’ anche, pur senza eccessi di retorica, un appello a quella pacificazione che non ha mai avuto luogo dopo la fine della guerra civile nel 1990.