Festival Internazionale del Film di Cannes 2017 - Pagina 5

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2017
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L’austriaco MicHappy Endhael Haneke era uno dei cineasti più attesi al Festival e non ha deluso. Il suo Happy End (Lieto fine) traccia il quadro di una famiglia borghese europea ricca e potente, ma dilaniata all’interno da contraddizioni laceranti. Il più anziano (uno straordinario Jean-Louis Trintignant) è malato, costretto su una carrozzella e non trova nessuno disposto a facilitare la sua morte fornendogli un’arma o del veleno. Quando riuscirà a gettarsi in mare con l’aiuto di una nipotina che ha il vizio di filmare con il telefonino tutto ciò che la circonda, compresa la toeletta di sua madre prima del suicidio, saranno i parenti a salvarlo. La figlia è una manager in carriera insensibile a tutto tranne che alle regole del profitto, di queste fa parte anche il fidanzamento con un faccendiere inglese di aspetto tutt’altro che apollineo. Un nipote, l’unico che si ribelli all’andazzo familiare, è presto messo da parte con la giustificazione che è matto. Un altro rampollo intrattiene messaggi sporcaccioni con un’amante misteriosa. Il dramma inizia con il crollo di una muraglia di sostegno nella cui costruzione è impegnata l’azienda di famiglia, disgrazia che costa la vita a un paio d’operai le cui famiglie sono subito tacitate con una congrua mazzetta. È un panorama sconfortante e tragico che gronda insensibilità e orrore morale. Il regista, di cui ricordiamo alcuni splendidi antecedenti che vanno dal lontano Der Siebente Kontinent (Il settimo continente, 1988) a Funny Games (Giochi divertenti, 1997) sino allo straordinario Das Weisse Band (Il nastro bianco, 2009), mette da parte ogni violenza suggerita in modo esplicito, anche se mai mostrata, lo fa in favore di un clima di corruzione complessiva in cui non è neppure più possibile suicidarsi. È un film di grande spessore, girato in maniera magistrale e ricco di significati di secondo livello al cui centro c’è un giudizio impietoso sulla borghesia. Se ci riferiamo alle possibili Palme d’Oro, ecco un film che la meriterebbe in pieno.Liccisione del cervo sacro 1
Tanto è suggerita e ficcante la violenza e il giudizio espressi da questo film altrettanto imbarazzante è il clima quasi da film del mistero in cui è immerso The Killing of a Sacred Deer (L’uccisione del cervo sacro), del greco ma, in questo caso, attivo negli Stati Uniti Yorgos Lanthimos. Il regista aveva già ampiamente diviso la critica all’epoca di Kynodontas (Canino, 2009) e in questo caso riconferma il suo interesse per le atmosfere claustrofobiche e sanguinolente. Steven è un cardiochirurgo di fama che un giorno si è visto morire sotto i ferri un paziente. In realtà lui si era presentato al lavoro dopo aver bevuto un paio di bicchieri di troppo ed ora il figlio del defunto vuole vendicarsi sterminandogli la famiglia. Ci riuscirà costringendolo ad uccidere con le sue stesse mani il pargolo più giovane che era stato, forse anche per un suo intervento, colpito assieme alla sorella da una malattia misteriosa che lo impedivano dell’uso delle gambe. Solo dopo questo sacrificio la pace ritorna nella famiglia e nei rapporti fra il medico e il ragazzo, ma è una pace che gronda sangue. Metafora delle responsabilità di cui si è macchiata la ricca borghesia professionale?  Accusa al costoso sistema sanitario americano di non essere in grado di curare o anche solo diagnosticare le malattie meno comuni? Francamente non ce la sentiamo di esprimerci tanto il film appare ridondante, oscuro e di difficile lettura.