Festival Internazionale del Film di Cannes 2014 - Pagina 10

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2014
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xavier-dolan-mommy-picture-02282014-113734Mommy (Mammina) del canadese Xavier Dolan - regista, sceneggiatore, attore e doppiatore – mette in scena una forte tragedia familiare. Lei è vedova da tre anni ed è costretta ad allevare da sola un ragazzo aggressivo e mentalmente disturbato. La madre nega cocciutamente i problemi del figlio sino al momento in cui le sua mattane e la sua aggressività, anche verso di lei, la costringono a prenderne atto e ad affidarlo ad un ospedale psichiatrico. Il film è ambientato in un Canada immaginario, dell’immediato futuro, dove è stata appena varata una legge che consente ai genitori di figli con difficoltà di rinunciare alla patria potestà in favore dello Stato. Come si può capire, anche da queste poche righe, il film punta molto sulla performance della protagonista, su quella del ragazzo e della misteriosa vicina che si unisce a loro in un rapporto non privo d’ambiguità. In questo Anne Dorval, Antione Oliviere Pilon e Suzanne Clément danno un contributo fondamentale alla riuscita del film. Nel complesso un’opera che si ricollega ai testi precedenti di questo regista, soprattutto Laurence Anyways (Laurence comunque, 2012) e Tom à la ferme (Tom nella fattoria, 2013), in cui si focalizzavano i sentimenti adolescenziali e li si mettevano a confronto con il sentire degli adulti, spesso scelti fra personaggi non proprio ordinari. Nel film odierno l’accento è spostato fortemente verso la seconda componente del discorso e questo richiede alle sue attrici, soprattutto ad Anne Dorval che ha il ruolo della madre, una prestazione di grandissima intensità. In definitiva un buon film d’attrici che racconta una storia non particolarmente originale.
UK Irish-Quad AW 26782-Jimmys-Hall-1024x768Con Jimmy’s Hall (La sala di Jimmy) Ken Loach è ritornato in Irlanda pochi anni dopo lo scenario delle lotte per l’indipendenza dell’isola (1919 – 1923) che erano la centro di Il vento che accarezza l'erba (The Wind That Shakes the Barley), Palma D’Oro al Festival di Cannes 2006. Siamo nel 1932 e Jimmy Gralton ritorna in patria dopo aver passato dieci anni negli Stati Uniti. Vorrebbe vivere tranquillo che l’anziana madre, ma i giovani del paese lo spingono a rimettere in funzione la sala da ballo e di ritrovo che aveva costruito a pochi metri da casa sua e che ora giace in stato di abbandono. L’iniziativa scatena sia le ire della chiesa, che vi vede una minaccia al suo ruolo di educatrice e guida, sia l’opposizione dei movimenti di estrema destra che ben conoscono le simpatie comuniste di Jimmy. Dopo un alternarsi di scontri e minacce gli avversari della sala hanno la meglio e, grazie a un cavillo giuridico, il proprietario del locale sarà espulso verso gli Stati Uniti e non ritornerà più in Irlanda perché bandito per sempre dall’isola. E’ la vera storia di uno dei tanti militanti di sinistra che si scontrarono - in quegli anni, ma anche dopo - con i militanti anglo – fascisti. Il film, sicuramente non uno dei più originali di questo cineasta, si fa apprezzare per la limpidità dello stile, la passione della narrazione, la coerenza politica. Il regista ha detto che, dopo una trentina di lungometraggi e alla vigilia degli ottant’anni (è nato nel 1936), questo sarà il suo ultimo lungometraggio, ma le proteste per questo sua annuncio sono state così immediate e corali da indurlo a precisare che, anche se non farà più film di finzione, il documentario esercita ancora un forte fascino su di lui. Un’ottima notizia.
leviathan andrey zvyagintsevKokia abita in una vecchia casa, sopra la sua autofficina, entrambi gli edifici si affacciano su un panorama meraviglioso del Mare di Barents, nel nord della Russia. La sua proprietà fa gola al sindaco della città, un politicante senza scrupoli ammanigliato con la chiesa ortodossa e in combutta con un’importante azienda, che vuole costruire su quel terreno un grande edificio. Cerca di comperarlo, ma dopo il rifiuto del proprietario, lo fa confiscare per presunte ragioni di pubblica utilità. Ne nasce un processo in cui lo spossessato è rappresentato da un abile avvocato arrivato da Mosca. L’ex – proprietario non si arrende e ricorre in appello, mente il legale presenta al politicante un dossier con notizie molto gravi sul suo operato. A questo punto il sindaco decide di passare alle vecchie maniere, vale a dire intimidazioni e botte. Il suicidio della moglie del cocciuto oppositore, dopo una fuggevole relazione con l’avvocato, offre al traffichino il pretesto per levarsi di torno definitivamente il nemico condannato a quindici anni di prigione con l’accusa, priva di qualsiasi prova, di aver ammazzato la moglie. Le ultime immagini ci mostrano le ruspe che distruggono la casa frantumando oggetti d’uso e libri. Leviathan (Leviatano) del russo Andrey Zvyagintsev disegna uno dei tanti ritratti della Russia dei nostri giorni, con il suo carico di corruzione, illegalità, violenza. Il titolo cita il mostro marino evocato nella Bibbia come immagine del caos primordiale e il film giustifica il riferimento con le immagini dello scheletro di un grande pesce andato a morire sulla spiaggia su cui si affaccia il terreno conteso. La parte melodrammatica – la relazione fra la moglie e l’avvocato – non si salda del tutto con il resto del racconto che acquista forza nei momenti in cui disvela le trame del potere, le complicità fra politici e religiosi, il clima d’impotenza, disperazione e alcolismo diffuso che segna la vita della gente comune del tutto incapace ad apporsi a soperchierie e illegalità. E’ un testo pessimista e realista ad un tempo che si fa facilmente perdonare qualche eccesso di panorami cartolineschi.