Festival Internazionale del Film di Cannes 2014 - Pagina 3

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2014
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9 TIMBUKTU de Abderrahmane Sissako- c  2014 Les Films du Worso  Dune Vision 01-620x350Timbuktu, del mauritano Abderrahmane Sissako, ha aperto la sfilata dei film in concorso ed è stata davvero una partenza con il botto. Il film si riallaccia ad un fatto di cronaca. Il 29 giugno 2012 ad Aguelhak, un paesino del nord del Mali, una coppia convivente, ma non maritata fu messa a morte per lapidazione da un tribunale islamico organizzato dagli occupanti appartenenti a una della tante forze islamiste che hanno invaso i paesi africani dopo la caduta del regime di Mu'ammar Gheddafi (1942 – 2011). Il regista prende spunto da questa tragedia per raccontare la storia di un piccolo villaggio in cui un gruppo armato, i cui dirigenti parlano arabo e non la lingua locale, si impossessa del potere e detta leggi assurde per coloro che vivono lì. Non si può più giocare a calcio anche se gli occupanti discutono tranquillamente della preminenza di Messi su Zidane, è proibito l’ascolto della musica, è vietato fumare anche se uno dei capi sia accende una sigaretta non appena riesce a nascondersi agli occhi degli altri. Sesso fuori dal matrimonio e alcool sono proibitissimi e la loro pratica causa crudeli punizioni, l’omicidio può essere compensato con il perdono dei parenti dell’ucciso o con il versamento di un prezzo. Tuttavia giovani fanciulle possono subire matrimoni forzati con militanti giudicati buoni mussulmani. Per quanto riguarda il calcio, in particolare il regista ci offre una sequenza davvero mirabile, quella in cui i giocatori della squadra locale mimano un partita senza pallone gabellandola, agli occhi degli occupanti, come una seduta ginnica. In poche parole la legge della Shariʿah interpretata con fanatismo e non poco opportunismo. E’ un panorama allucinante in cui s’inscrive il martirio di un allevatore di bestiame e di sua moglie, lui colpevole di aver ucciso durante una rissa un pescatore che aveva ammazzato una delle sue mucche che aveva travolto le reti stese lungo il fiume. E’ un film dai tratti semplici, ma ricco di suggestioni e indicazioni politiche che mette a confronto due facce dell’Islam, quella tollerante e millenaria degli abitanti del villaggio e il volto fanatico degli estremisti.

Mr TurnerMike Leigh è uno dei più apprezzati e originali registi inglesi, autore di quindici titoli molti dei quali dedicati ai ceti popolari e a storie di ordinaria vita quotidiana, viste spesso con un occhio socialmente sensibile. Con questi precedenti non stupisce che sia stato attirato dai venticinque anni finali nella vita di Joseph Mallord William Turner (1775 – 1851), uno dei massimi pittori inglesi, molto criticato in vita dall’establishment dell'epoca, compresi influenti membri della famiglia reale, disturbati dal suo stile fortemente innovativo che suscitò l’ammirazione e le lodi di uno dei padri dell’impressionismo, Claude Monet (1840 – 1926), anche se, in seguito, il pittore francese modificò radicalmente il suo primo giudizio positivo. Mr. Turner è un film sostanzialmente televisivo sia nella durata, due ore e mezzo di proiezione buone per un paio di serate TV, sia nell’approccio, tutto centrato sul personaggio e ben poco sull’epoca in cui ha vissuto. Quello che ci è proposto è un quadro magistralmente interpretato (Timothy Spall) di un uomo mal compreso dai suoi contemporanei, animato da una struggente curiosità che lo porta a viaggiare in continuazione, padre e padrone (anche sessualmente) dell’anziana governante e che trova fra le braccia di una matura proprietaria di una piccola pensione se non un approdo sicuro almeno un’oasi di quiete. La confezione è davvero straordinaria e quasi ogni fotogramma rimanda ai quadri del pittore sia nelle versioni paesaggistiche, sia – per quanto riguarda i colori – in quelle di vita quotidiana. Un film professionalmente straordinario, ma meno originale di precedenti di questo autore che qui sembra aver sentito in modo particolare il peso della committenza televisiva.

Party GirlHa aperto le danze anche la sezione Un Certain Regard, la più prestigiosa dopo il Concorso. In questo caso l’inizio non è stato rilevante visto che Party Girl del terzetto Marie Amachoukeli, Claire Berger e Samuel Theis si è rivelato, ad essere generosi, il raffinato ritratto di un’attempata entraineuse che, a sessant’anni suonati, riceve una proposta di matrimonio da un ex – minatore. Accetta dopo molte titubanze e dopo aver incontrato i quattro figli che ha avuto da compagni diversi (uno neppure certo) che hanno fatto una loro vita e una è stata persino adottata da un’altra famiglia. Siamo in una zona di confine fra Francia e Germania, un terreno vago segnato da localini di striptease in cui si esibiscono donne spesso sfatte che hanno il compito di far consumare ai clienti bottiglie di pseudo champagne. Angelica è una di queste semi prostitute, termine che lei aborrisce e rigetta con forza, quasi che la questione del nome mutasse la sostanza della cose. In ogni caso l’attrazione verso la vita apparentemente festaiola del locale ha la meglio sul vincolo matrimoniale assunto come simbolo di tranquillità e perbenismo. Il film finisce con la protagonista che, la sera stessa delle nozze, si rimette in strada per ritornare al night in cui ha speso quasi tutta la sua vita. Il film è segnato da non poca ambiguità (chi fa un certo mestiere non ha alcuna possibilità di cambiare?) e da un taglio pericolosamente in bilico fra il documentario e il melodramma.