Festival Internazionale del Film di Cannes 2014 - Pagina 8

Stampa
PDF
Indice
Festival Internazionale del Film di Cannes 2014
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
Pagina 9
Pagina 10
Pagina 11
Pagina 12
Tutte le pagine

still-the-water-posterNaomi Kawase è una regista, produttrice, sceneggiatrice, montatrice e fotografa giapponese che ha firmato sette lungometraggi, molti dei quali premiati, tutti presentati in importanti festival. L’ultimo di questi titoli, Futatsume no mado (Ancora l’acqua), è stato presentato nella sezione competitiva del festival. La regista guarda da sempre e con grande attenzione ai problemi della solitudine e la solitudine giovanile – lei stessa è stata allevata dai nonni dopo essere stata abbandonata dai genitori – e lo fa unendo a quest’interesse un forte amore verso la natura. Qui siamo nella parte subtropicale del Giappone, per la precisione nell’isola di Amami, nell’arcipelago delle isole Ryūkyū nel Mar Cinese, un ambiente in cui un gruppo di persone semplici vivono in armonia con l’ambiente, anche quando questo assume la forma di devastanti tifoni. Qui due ragazzi appena adolescenti cercano una loro strada: Kaito vive con la madre, separata di fatto dal marito che è andato a vivere a Tokio, e intreccia varie relazioni con amanti occasionali, Kyoko frequenta la scuola, fa lunghe nuotate completamente vestita e subisce il fascino di un anziano (Nonno Tartaruga) che pesca e sgozza capre sempre mostrando un grande amore per gli animali che uccide. La scoperta del corpo di un annegato rigettato dalle onde sugli scogli e le drammatiche condizioni di salute della madre della ragazzina – molto bella la sequenza della morte dell’ammalata al suono di vecchie canzoni e al ritmo di danze rituali – funzionano come una sorta di leva che accelera il tempo. Il finale ci presenta i due ragazzi che, dopo aver fatto l’amore in un bosco per metà diruto e per metà in fiore (le contraddizioni inevitabili dei ritmi naturali) – nuotano nudi in un fondale, ad un tempo, misterioso e da sogno. E’ un film che affronta alcuni temi cari alla cultura orientale, in particolare a quella giapponese, e lo fa con ritmo lento e grande maestria fotografica. Come dire una sorta di elegia del maturare, degli uomini e della cose, in un quadro di armonia e rispetto per la natura. Un testo forse non in linea con il pubblico occidentale, ma costruito su una precisa vena poetica.
25498-deux-jours-une-nuit-film-des-freres-500x0-2Jean-Pierre e Luc Dardenne sono due registi belgi che hanno sempre prestato grande attenzione ai temi sociali e lo confermano anche in questo Deux jours, une nuit (Due giorni, una notte). La storia è semplice: una giovane che lavora in una piccola azienda produttrice di pannelli solari e che ha appena superato un forte esaurimento nervoso, diventa il pomo della discordia per i suoi colleghi quando la direzione dell’impresa indice un referendum in cui si prospetta l’alternativa fra licenziarla o concedere ai lavoratori un premio di produzione. Come era facilmente prevedibile la maggioranza vota per il suo allontanamento e lei cade in una depressione ancora maggiore, non solo per la perdita del salario, ma anche perché non accetta che il suo ruolo sociale sia degradato al livello di una persona che vive con il sussidio di disoccupazione. La donna riesce ad ottenere, grazie ad una collega, che la votazione sia rifatta e ha il tempo di una fine settimana per convincere i votanti a sostenerla. Inizia in questo modo una sorta di percorso che la porta ad entrare nella vita dei suoi ex – compagni di lavoro, venendo a contatto con problemi, grandezze e umiliazioni, suscitando, anche negli altri, prese di coscienza e decisioni radicali: dalla donna che decide di cambiare voto e abbandonare il marito violento, al padre picchiato dal figlio perché ha difeso la collega. Un calvario il cui risultato darà un pareggio: otto voti a favore dei soldi, altrettanti per la cancellazione del licenziamento. A questo punto il direttore dell’azienda la chiama e le dice di non preoccuparsi: entro pochi mesi scadrà il contratto di un operaio assunto a termine, non a caso uno di quelli che si sono convinti a votare per lei, e lui potrà assumerla anziché ridare il lavoro all’altro. A questo punto lei dice: no grazie, a questo prezzo non ci sto. Spira nel film un’aria da presa di coscienza proletaria stile Sfida a Silver City (Salt of the Earth, 1954) di Herbert J. Biberman (1900  – 1971) o, se si preferisce, Mezzogiorno di fuoco (High Noon, 1952) di Fred Zinneman (1907 – 1997). Un percorso difficile verso la consapevolezza politica e sociale che può anche apparire datato o eccessivamente ingenuo, ma che, comparato all’individualismo in cui siamo immersi, ristora quasi come un bicchiere d’acqua fresca. In altre parole i due cineasti belgi confermano il ruolo di autori socialmente sensibili e di fautori di un cinema apparentemente semplice, in realtà estremamente raffinato.
titliLa sezione Un Certain Regard ha presentato un film delinquenziale proveniente dall’India e in linea con l’ottimismo che sembra segnare la migliore cinematografia del nostri giorni. Titli (Farfalla) di Kanu Behl racconta il percorso verso la liberazione e la maturità di un giovane che abita in un quartiere malfamato di Nuova Delhi con il padre e due fratelli. L’intera famiglia è dedita al furto, alle aggressioni e allo sfruttamento dell’unica donna che abita con loro: la moglie del figlio maggiore. Quando questa si ribella e pretende il divorzio con connessi alimenti per la figlioletta, il nucleo entra in crisi e vi precipita ancora di più quando, dopo una rapina, due dei fratelli sono arrestati e i poliziotti rubano il denaro custodito in uno zainetto di uno di loro, denaro che l’arrestato trasportava per consegnarlo a una sorta di mediatore che gli avrebbe assicurato la gestione di un grande parcheggio di un palazzo in costruzione. A questo punto la sola soluzione è quella di far sposare il giovane con una donna di buona famiglia da inserire nella banda. Solo che la prescelta, poco dopo le nozze, rivela al fresco marito che, in realtà, ama da tempo un imprenditore immobiliare ed è disposta a pagare per essere lasciata libera di andare con l’amato. Tutto sembra avviarsi a soluzione, senonché anche l’agiato imprenditore dimostra di essere tutt’altro che persona leale e onesta. A questo punto non rimane ai due che mettersi assieme e rinunciare ai sogni di ascesa sociale. Il film è girato con tecnica quasi neorealista e disegna un quadro terribile della corruzione e del degrado che segnano la società indiana. E’ un buon esempio di cinema sociale, versione terzomondista, ma anche una storia priva di vera originalità.