4th Malatya Intenational FilmFestival 2013 - Pagina 2

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4th Malatya Intenational FilmFestival 2013
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omarOmar del palestinese Hany Abu-Assad è un film decisamente importante. La storia che racconta è quella di un giovane panettiere che, assieme a due amici, decide di compiere un attentato contro l’esercito israeliano che occupa la sua terra. Un militare è ucciso e lo Shin Bet, l'agenzia di intelligence per gli affari interni dello stato di Israele, si scatena per prendere l’assassino. Il primo ad essere catturato è proprio chi non ha sparato, anche se ha partecipato all’operazione perché innamorato della sorella del principale organizzatore dell’omicidio. Torturato e imprigionato, dapprima non parla, poi accetta di fornire informazioni agli occupanti in cambio della libertà. E’ convinto di potere giocare i burattinai, ma l’ufficiale in capo agli israeliani lo smaschera e lui finisce nuovamente nella camera di tortura e in prigione. Gli è offerta un’ultima possibilità di collaborare e lui accetta anche perché gli dicono che la sua ragazza è incinta del suo miglior amico, terzo componente del gruppo di fuoco. Furioso lo affronta insieme al il maggior responsabile dell’attentato che rimane ucciso in una rissa scoppiata fra i tre. Due anni dopo il giovane scopre che ciò che gli era stato detto era una bugia usata dei servizi per coinvolgerlo. Approfitta di un nuovo incontro con il responsabile degli israeliani e lo uccide. Ci sono tutti gli elementi per un melodramma a forti tinte, ma la regia gioca con grande abilità i vari ingredienti costruendo un film teso, armonico e di grande efficacia. E’ un esempio di come sia possibile sviluppare un testo emozionante partendo da materiali non nuovissimi, ma combinandoli i maniera estremamente efficace.

locandina iloiloIolo Ilo porta la firma del singaporiano Anthony Chen e racconta un complesso rapporto familiare ambientato nel 1997, l’anno della crisi economica che travolse molti paesi asiatici. Protagonista una famiglia della piccola borghesia composta da una madre autoritaria - impiegata in una ditta portuale e in attesa, da lì a poche settimane, del secondo figlio - un marito che campa malamente facendo il rappresentante di commercio e colleziona licenziamenti, un figlio di una decina d’anni capriccioso e aggressivo. In questo piccolo universo entra una ventitreenne arrivata dalla Filippine, assunta per fare i lavori di casa e aiutare la donna in attesa. I riporti con il ragazzino sono subito tesi, ma lentamente si stabilisce fa il piccolo e la straniera un legame che riempie il vuoto lasciato dall’autoritarismo della madre. E’ il quadro di una relazione destinata a spezzarsi con il licenziamento e il ritorno in patria della domestica, il cui costo la piccola famiglia non è più in grado di sopportare. E’ un piccolo film che parla di rapporti e situazioni vere, interpretato magnificamente e coronato dal premio che il festival di Cannes riserva alla migliore opera prima (Camera d’Or). Vi si respira un’aria di verità che riesce a far lievitare la tensione emotiva anche se tutto ciò che accade sullo schermo ha ben poco di eccezionale, anzi rientra spesso nella normalità e nella prevedibilità. Un piccolo film, si è detto, ma anche un’opera intensa e di forte impatto.

in bloom 2013 film festival posterHayatin Bahari (In fiore) dei georgiani Nana Ekvtimishvili e Simon Gross disegna con precisione il ritratto di due adolescenti nel quadro terribile della guerra fra georgiani e abkhazi all’inizio degli anni novanta. L’Unione Sovietica è collassata da poco e nelle ex repubbliche che la componevano regnano il caos e la violenza. Così è anche a Tbilisi ove uomini armati scorrazzato a loro piacimento, si fanno lunghe code per comperare il pane e i conflitti si risolvono a colpi di pugnale o pistola. In questo quadro terribile due amiche quattordicenni inseparabili, Eka e Natia, devono vedersela con l’aggressività dei maschi, regimi familiari oppressivi, amori contrastati. E’ un panorama terrificante in cui anche i sentimenti più teneri sono cancellati dalla violenza esterna. La sola, ottimistica soluzione sarà quella di rinunciare alle armi – la pistola di cui le due giovani erano venute in possesso, gettata nel fiume – in favore di un ritorno a condizioni più umane. Un film delicato anche se leggermente appesantito dalla decisione degli autori di tenere sempre la macchina da presa addosso ai personaggi, quasi che stessimo assistendo ad un documentario. Scelta tutt’altro che necessaria visto che il realismo delio scenario non ha davvero bisogno di altri commenti.