4th Malatya Intenational FilmFestival 2013

Stampa
PDF
Indice
4th Malatya Intenational FilmFestival 2013
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Tutte le pagine


katalogwww.malatyafilmfest.org.tr

4th Malatya Intenational FilmFestival

15-21 novembre 2013

Il Festival di Malatya è giunto alla quarta edizione. La manifestazione è ospitata in una città del sud della Turchia che conta quasi settecentomila abitanti, è in pieno boom edilizio ed è conosciuta come la capitale mondiale delle albicocche, Qui nella vecchia Mitilene anche il cinema si è rapidamente affermato fra le maggiori attrazioni cittadine. Fra i titoli in cartellone ce ne sono tre di cui abbiamo già riferito da altre manifestazioni o perché usciti nel circuito commerciale, ma sui quali vale la pena ritornare. Due sono italiani ed entrambi segnano il passaggio alla direzione di un lungometraggio di due attori: Miele di Valeria Golino e La città ideale di Luigi Lo Cascio.

miele-backstageEra cosa nota che Valeria Golino fosse un’attrice sensibile e brava, con Miele scopriamo anche le sue doti di regista precisa e originale. E’ la storia - tratta dal romanzo Vi Perdono (2009) di Angela del Fabbro, pseudonimo di Mauro Covacich (1965), di Irene, soprannominata Miele, che vive aiutando le persone a morire. Il tema è, dunque, quello del suicidio assistito, operato dalle mani di una candida trentenne che entra in crisi quando le propongono di aiutare a morire un professionista sulla settantina che gode di buona salute, ma è oppresso della noia del vivere. E’ a questo punto che la giovane si rende conto che questo è un vero e proprio omicidio, un delitto non velato da alcuna giustificazione umanitaria. E’ una crisi che la induce a ripensare la sua intera vita e a mettere in discussione anche i rapporti utilitaristi che ha con un paio di partner, con uno dei quali mescola letto e affari. Ne emerge il ritratto impietoso e terribile di una donna sola, che sublima nel rituale - preciso e quasi insensibile - di dare la morte agli altri un terribile vuoto esistenziale. E’ anche il momento in cui la giovane si rende conto che persino i malati terminali più disperati non hanno, in realtà, alcuna vera voglia di morire. Sono avvinghiati alla vita anche quando questa impone condizioni terribili. E’ un viaggio all’interno della coscienza che approda solo a una quiete momentanea e lascia più domande che risposte. Un testo di questo tipo richiedeva un interprete di grande sensibilità e Jasmine Trinca (1981) mostra abbondantemente di possederle entrambe con un’interpretazione mirabile in cui contano più i silenzi che le parole.
la citt idealeLa città ideale è l’opera prima dell’attore Luigi Lo Cascio. Il film racconta di Michele Grassadonia, ecologista sensibile e integralista, coinvolto in una storia di malagiustizia. E’ un architetto palermitano andato a vivere a Siena che considera la città ideale. Inviso ai colleghi, se ne sta da solo in un appartamento spartano, dove sperimenta energie alternative. L’unica volta che accetta di guidare l’auto di un amico, incappa in un drammatico fatto di cronaca: è accusato ingiustamente di avere travolto e ucciso un maggiorente della città. I guai aumentano quando, contro il parere del suo avvocato, accetta di raccontare, sinceramente e ingenuamente, la sua versione dei fatti. Prede il lavoro, finisce a vivere in una cantina, è scartato da tutti gli ex –amici. Uscirà – forse – dai guai solo grazie alle manovre di un legale siciliano, maneggione esperto nella tecnica di difendere i mafiosi. I temi dell’estremismo ambientalista e della cecità sostanziale della giustizia non sono argomenti da poco e al regista va riconosciuto il merito di averli affrontati di petto. Peccato che il linguaggio utilizzato, in particolare nei numerosi sogni e incubi, scivoli sul versante delle peggiori scelte espressive e non contenga neppure un briciolo di autentica originalità. Come dire che l’attore e regista mostra di avere grandi e ottime intenzioni, ma non disponga ancora degli strumenti linguistici necessari a trasformarle in un’opera veramente originale e interessante. In poche parole è un testo generoso raccontato in un modo non all’altezza della complessità dei temi affrontati.

papuszaBronislawa Wajs (1908 – 1987) è stata una poetessa polacca, di etnia Rom, conosciuta con il nome gitano di Papusza. A lei i coniugi e registi polacchi Joanna Kos e Krzysztof Krauze hanno dedicato un film che ripercorre le tappe salienti della sua vita. S’inizia con la nascita in un campo innevato e si prosegue per tappe che marciano avanti e indietro nel tempo mostrandoci le dure condizioni di vita dei gitani, le repressioni naziste, la pretesa del regime realsocialista di negare la loro vita nomade costringendoli in case – vere e proprie catapecchie – di città e impartendo ai loro figli una cultura del tutto diversa da quella in cui erano stati allevati. Questa poetessa fu anche la prima gitana a veder pubblicate le proprie opere e, per questo, fu emarginata dalla sua etnia con l’accusa di aver svelato i segreti della comunità. Il film è costruito su immagini in bianco e nero magnificamente cesellate e di taglio pittorico. Una sorta di mosaico visivo fatto di piccole tessere cadenzate come le parti di una sinfonia che tende a ricostruire il ritmo delle opere di una poetessa a cui si devono strazianti versi sulle difficili condizioni di vita e sulle ferite che colpirono i rom sotto vari regimi, in particolare ad opera dei nazisti. Il film ha una sua bellezza solida e avvincente, ma non sa scegliere fa l’opera biografica e il quadro storico. In questo modo rimane vittima di un’indecisione che colpisce anche il versante narrativo, con contenuti che non legano con la perfezione e bellezza di quanto proposto sullo schermo. Come dire che il lato specificamente formale finisce col dominare la scena, mettendo in ombra le riflessioni sociali, politiche e storiche. Si ha così l’impressione di assistere ad un grande affresco poetico quasi del tutto sganciato da qualsiasi riferimento ai destini e le sofferenze di una poetessa e del suo popolo.


omarOmar del palestinese Hany Abu-Assad è un film decisamente importante. La storia che racconta è quella di un giovane panettiere che, assieme a due amici, decide di compiere un attentato contro l’esercito israeliano che occupa la sua terra. Un militare è ucciso e lo Shin Bet, l'agenzia di intelligence per gli affari interni dello stato di Israele, si scatena per prendere l’assassino. Il primo ad essere catturato è proprio chi non ha sparato, anche se ha partecipato all’operazione perché innamorato della sorella del principale organizzatore dell’omicidio. Torturato e imprigionato, dapprima non parla, poi accetta di fornire informazioni agli occupanti in cambio della libertà. E’ convinto di potere giocare i burattinai, ma l’ufficiale in capo agli israeliani lo smaschera e lui finisce nuovamente nella camera di tortura e in prigione. Gli è offerta un’ultima possibilità di collaborare e lui accetta anche perché gli dicono che la sua ragazza è incinta del suo miglior amico, terzo componente del gruppo di fuoco. Furioso lo affronta insieme al il maggior responsabile dell’attentato che rimane ucciso in una rissa scoppiata fra i tre. Due anni dopo il giovane scopre che ciò che gli era stato detto era una bugia usata dei servizi per coinvolgerlo. Approfitta di un nuovo incontro con il responsabile degli israeliani e lo uccide. Ci sono tutti gli elementi per un melodramma a forti tinte, ma la regia gioca con grande abilità i vari ingredienti costruendo un film teso, armonico e di grande efficacia. E’ un esempio di come sia possibile sviluppare un testo emozionante partendo da materiali non nuovissimi, ma combinandoli i maniera estremamente efficace.

locandina iloiloIolo Ilo porta la firma del singaporiano Anthony Chen e racconta un complesso rapporto familiare ambientato nel 1997, l’anno della crisi economica che travolse molti paesi asiatici. Protagonista una famiglia della piccola borghesia composta da una madre autoritaria - impiegata in una ditta portuale e in attesa, da lì a poche settimane, del secondo figlio - un marito che campa malamente facendo il rappresentante di commercio e colleziona licenziamenti, un figlio di una decina d’anni capriccioso e aggressivo. In questo piccolo universo entra una ventitreenne arrivata dalla Filippine, assunta per fare i lavori di casa e aiutare la donna in attesa. I riporti con il ragazzino sono subito tesi, ma lentamente si stabilisce fa il piccolo e la straniera un legame che riempie il vuoto lasciato dall’autoritarismo della madre. E’ il quadro di una relazione destinata a spezzarsi con il licenziamento e il ritorno in patria della domestica, il cui costo la piccola famiglia non è più in grado di sopportare. E’ un piccolo film che parla di rapporti e situazioni vere, interpretato magnificamente e coronato dal premio che il festival di Cannes riserva alla migliore opera prima (Camera d’Or). Vi si respira un’aria di verità che riesce a far lievitare la tensione emotiva anche se tutto ciò che accade sullo schermo ha ben poco di eccezionale, anzi rientra spesso nella normalità e nella prevedibilità. Un piccolo film, si è detto, ma anche un’opera intensa e di forte impatto.

in bloom 2013 film festival posterHayatin Bahari (In fiore) dei georgiani Nana Ekvtimishvili e Simon Gross disegna con precisione il ritratto di due adolescenti nel quadro terribile della guerra fra georgiani e abkhazi all’inizio degli anni novanta. L’Unione Sovietica è collassata da poco e nelle ex repubbliche che la componevano regnano il caos e la violenza. Così è anche a Tbilisi ove uomini armati scorrazzato a loro piacimento, si fanno lunghe code per comperare il pane e i conflitti si risolvono a colpi di pugnale o pistola. In questo quadro terribile due amiche quattordicenni inseparabili, Eka e Natia, devono vedersela con l’aggressività dei maschi, regimi familiari oppressivi, amori contrastati. E’ un panorama terrificante in cui anche i sentimenti più teneri sono cancellati dalla violenza esterna. La sola, ottimistica soluzione sarà quella di rinunciare alle armi – la pistola di cui le due giovani erano venute in possesso, gettata nel fiume – in favore di un ritorno a condizioni più umane. Un film delicato anche se leggermente appesantito dalla decisione degli autori di tenere sempre la macchina da presa addosso ai personaggi, quasi che stessimo assistendo ad un documentario. Scelta tutt’altro che necessaria visto che il realismo delio scenario non ha davvero bisogno di altri commenti.


dabba-lunch-box-movie-2013Ritesh Batra è uno scrittore che ha esordito nella regia cinematografica con Dabba (La gamella del pasto), una delicata storia d’amore che si sviluppa fra una giovane malmaritata e un maturo vedovo che svolge un incarico importante in un ufficio. Galeotta è la gamella per il pasto che la donna prepara ogni giorno per il marito e che, causa un disguido, è consegnata al maturo capoufficio che a modo di apprezzare le qualità culinarie della donna. Inizia in questo modo uno scambio di bigliettini frammisti ai cibi ed esplode una vera e propria storia d’amore dal carattere esclusivamente epistolare (i due si conoscono solo in questo modo). E’ un film delicato e ben costruito in cui da mille dettagli emergono i caratteri e le condizioni dei personaggi. Non vi è nulla di straordinario, ma una piccola storia sentimentale ben raccontata o gestita con pudore. Ne fa testo l’intero capitolo dell’infedeltà del marito suggerita, più che proclamata, dalla moglie che annusa le camice sporche del coniuge.
stranger-5Obrana i Zaštita (Uno straniero) è il ritratto doloroso delle conseguenze della terribile guerra bosniaca che ha costretto a schierarsi su fronti opposti persone che, sino a quel momento, avevano tranquillamente convissuto. La morte di Dulaga costringe il suo vecchio amico Slavkoś a rinvangate gli steccati che li hanno divisi durante il conflitto. Lui vorrebbe andare al funerale, ma teme le reazioni dei parenti e, nello stesso tempo, sua moglie lo accusa di vigliaccheria se non andrà. Ci si mettono anche burocrati potenti a intralciare il cammino dell’anziano che finirà col presentarsi alla cerimonia e subire gli insulti degli altri. E’ un piccolo film girato con macchina a mano, costantemente incollata sul volto dei protagonisti, in particolare sul quello dell’anziano indeciso. Il film è ambientato a Mostar, una delle città martiri della guerra. Il ricordo del passato incombe su ogni istante del presente e condiziona l’agire di tutti. Un film di taglio molto televisivo, ma di grande peso morale e politico.

refrainAssai più discutibile, al limite del fastidio, Rengaine (Ritornello) del francese di origine magrebina Rachid Dajaïdani. Il film inizia come una sorte di servizio televisivo con la camera costantemente addosso ai personaggi in cui si segue una coppia mista, lui è nero lei magrebina, che hanno deciso di sposarsi. Al fratello della domma la cosa non sta bene e si mette alla ricerca del promesso sposo per dissuaderlo con le buone o con le cattive. A tre quarti della storia tutto cambia, quando il fratello padre - padrone ha sequestrato il fidanzato della sorella e si appresta a torturalo, la camera si allontana facendoci scoprire che si sta solo girando un film e che l’ultima parte è andata a vuoto in quanto l’operatore ha dimenticato di inserire la cassetta nella telecamera. Grande sfuriata dell’attore principale che abbandona il set. A questo punto è la regista che parte al suo inseguimento e questa rincorsa ritorna ad essere il film che stavamo vedendo. In poche parole un grande pasticcio, molto intellettualistico e privo di un qualsiasi costrutto che non sia la denuncia del feroce razzismo che separa arabi e neri. Veramente poco per un’operazione presuntuosamente confezionata con più prosopopea che inventiva.


 

I premi

in bloom 2013 film festival posterSezione internazionale


Miglior film (Albicocca di cristallo)
IN BLOOM (In fiore, Georgia – Germania – Francia, 2013) di Nana Ekvtimishili e Simon Groβ
Menzione speciale
DABBA (Lunchbox, India – Francia – Germania, 2013) di Ritesh Batra
ÖMAR (Omar, Palestina, 2013) di Hany Abu-Assad 


Sezione cinema nazionale


Miglior film (Albicocca di cristallo)
YOZGAT BLUES di MAHMUT FAZIL COSKUN.
Miglior regista (Albicocca di cristallo)
MAHMUT FAZIL COŞKUN regista di YOZGAT BLUES.
Migliore attrice (Albicocca di cristallo)
IPEK TURKTAN KAYNAK per la sua interpretazione in KUSURSUZLAR (Le impeccabili) di Ramin Matin.
Miglior attore (Albicocca di cristallo)
SERDAR ORCIN per la sua interpretazione in EVE DÖNÜS SARIKAMIS 1915 (La lunga strada verso casa) di Alphan Eşli.
Miglior sceneggiatura (Albicocca di cristallo)
LUSIN DINK per il film SAROYAN ÜLKESI (La terra di Saroyan).
Premio speciale della giuria
HAYK KIRAKOSYAN direttore della fotografia di EVE DONUS RIKAMIS 1915 (La lunga strada verso casa) di Alphan Eşli.
Premio del pubblico dedicato all’attore KEMAL SUNAL
EVE DONUS SARIKAMIS 1915 (La lunga strada verso casa) di Alphan Eşli.
Premio SIYAD riservato alla competizione fra film nazionali
YOZGAT BLUES di MAHMUT FAZIL COSKUN
Miglior cortometraggio nazionale (Albicocca di cristallo)
 YAŞAM MERKEZI (Il centro della vita) di Ömer Günüvar
Premio speciale della giuria della sezione cortometraggi nazionali
Ü.N.K (U.O.E.) di Umut Subaşi