Festival di Setubal 2012

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Festival di Setubal 2012
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28°Festroia

Festival Internacional de Cine Setubal  - Portugal - 21 - 30 settembtre 2012

 

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 Il festival portoghese di Setúbal (Festroia) compie ventotto anni festeggiandoli con ritorno nel teatro Luisa Todi dopo tre anni di lavori di ristrutturazione. Questo spazio ha una storia gloriosa, nato alla fine dell’ottocento come teatro privato è passato nelle mani nell’amministrazione municipale negli anni sessanta che l’ha sottoposto a una prima ristrutturazione mirando a farne un grande cinema. Tre anni or sono è stato avviato un secondo rimaneggiamento radicale che ha svuotato il fabbricato, mantenendone le linee essenziali per trasformarlo in sala polivalente. Sono stati anni di sofferenza per il festival che ha qui da tempo la sua sede principale e che ha dovuto arrangiarsi, prima, in un grande tendone posto nella piazza su cui si affaccia la magnifica Chiesa del Gesù, poi, per due anni consecutivi, nell’auditorio di un istituto religioso. Con queste premesse il ritorno alla casa madre è stato salutato con grande piacere e rinnovato entusiasmo per una manifestazione che fa dell’oculatezza amministrativa una regola di vita. La rassegna, la cui parte competitiva è dedicata alle nazioni che producono meno di una trentina di titoli l’anno, è stata aperta da un film croato: Ljudozder vegetarijanac (Cannibale vegetariano) di Branko Schmidt.

vegeterian cannibal_posterE' il ritratto di un ginecologo corrotto e carrierista , complice di trafficanti di droga e tenutari di bordelli, arrogante con gli inferiori che non cedono alle sue voglie, viscido con i superiori. Potrebbe essere un interessante quadro della nuova classe dirigente partorita dallo smembramento dell'ex Jugoslavia e dall'invasione della cultura del successo ad costo. Potrebbe, se il regista non cedesse alla tentazione di costellare la storia d'immagini raccapriccianti, come quelle di feti estratti dall'utero a pezzi, e se l'interprete non scambiasse il bel recitare con gesti inconsulti e smorfie varie. Un colpo mortale al film lo da un montaggio nevrotico in cui la camera a mano sembra impazzire senza controllo, allineando immagini monche, deliranti, scarsamente espressive.

love is loveGiusto il contrario di quanto capita in Láka je láka (L'amore è amore) del regista ceco Milan Cieslar. Il film ruota attorno a due figure centrali: Una giovane non vedente e suo nonno. Entrambi sono alla ricerca dell'amore, la ragazza lo trova in un gitano che deve abbandonare per le proteste dei parenti, l'anziano si accompagna a una vicina di casa già in preda all'Alzheimer. La giovane raggiungerà la felicità dando alla luce un piccolo dalla pelle scura, l'anziano ritroverà sesso e amore poco prima di morire. E' un film pieno di buoni sentimenti, incitamenti alla tolleranza, ma notevolmente stucchevole e del tutto televisivo sia per la qualità delle immagini, sia per la superficialità con cui affronta, meglio finge di affrontare, temi di grande spessore.

der verdingbubMolto importante è anche l'argomento affrontato da Der Verdingbub (L'adottato) dello svizzero Markus Imboden. Negli anni trenta nella Confederazione Elvetica era in uso affidare in adozione a famiglie contadine gli orfani o i bimbi sottratti ai genitori per ragioni legali. In realtà questi piccoli diventavano veri e propri servi, costretti dalle famiglie affidatarie a svolgere i lavori più umili, a faticare sui campi ore ed ore e ad essere trattati come schiavi. Max è uno di questi poveri derelitti, il suo unico bene è una fisarmonica, regalatagli dalla madre naturale, e che lui suona benissimo. Capita in una fattoria gestita da un padre – padrone tirannico e alcolizzato che tratta moglie e figlio come cose sue di cui disporre a proprio piacimento. Gli eventi si complicano quando la famiglia riceve in adozione una ragazzina che il rampollo di casa violenta e mette in cinta. Finale all'insegna dell'ottimismo con il ragazzo che fugge in Argentina ove diventa un musicista di successo. La didascalia iniziale ricorda che questa è solo una delle molte storie vere accorse in quegli anni, ma il film non ha la forza né di indagare a fondo il periodo storico – i contadini non erano meno vessati e malandati dei piccoli schiavi – né di sviluppare e a fondo le psicologie dei protagonisti che restano stereotipi i cui gesti sono del tutto prevedibili.

U.R.

nocni_brodovi-mirkovicTra le varie sezioni presenti nel Festival quelle dedicate al thriller europeo ed alle opere prime (competitiva) hanno particolare interesse, rispettivamente con dodici e undici titoli. Il lavoro di Fernanda Silva assieme ai suoi collaboratori ha permesso di creare ulteriore motivo di interesse per una rassegna divenuta punto di riferimento nell'attività culturale portoghese. Nocni brodovi (Navi della notte) è un film di produzione croata (paese ospite di questa edizione) film del debutto nel lungometraggio del quarantasettenne Igor Mirkovic, giornalista e documentarista. Narra con delicatezza, ma non sempre con grande efficacia, di un amore senile nato all'interno di una bella struttura per anziani.Helena è una donna legata al ricordo del marito con un figlio fallito che si è trasferito in Australia rubandole tutto quello che aveva, Jakov un uomo che ha trascorso la sua vita girando locali jazz suonando il sax per terminare come guidatore di taxi. Si incontrano, si piacciono, trascorrono tre giorni e tre notti ad organizzare come adolescenti sognatori la fuga. Scappano, raggiungono la casa di un amico di lui, gli rubano l'auto e iniziano un lungo viaggio attraverso strade secondarie per raggiungere il mare e potersi imbarcare per l'Italia. Dormono in auto, terminano i pochi soldi che hanno, incontrano persone che li aiutano, vivono un'intensa esperienza assieme. Raggiungono il porto d'imbarco, lui trova il denaro necessario per i biglietti suonando assieme a musicisti di strada, ma il sogno si avvererà solo per uno. Ana Karić e Radko Polič, attori settantenni poco noti a livello internazionale, sono gli splendidi interpreti; a loro si deve l'impresa non facile di evitare la trasformazione dei loro personaggi in due eroi senza ritorno di un melodramma scontato. Perfetta l'ambientazione nella residenza protetta, vari personaggi marginali (quale la compagna di camera di Helena)) disegnati in maniera perfetta.Quello che manca è la credibilità di tante situazioni, soprattutto durante i giorni in cui viaggiano verso il mare: si ha la sensazione che il regista abbia apportato dei tagli togliendo chiarezza ad alcuni meccanismi narrativi.

2sept2011mothertheresaofcatstransitionsMatka Teresa od kotów (Madre Teresa dei gatti) film polacco del 2010, diretto da Pawel Sala, è degnamente inserito nella sezione del thriller. Basato su un avvenimento realmente accaduto che ha scioccato la Polonia negli anni '90, ha una forma narrativa accattivante e non frequente, con la stringatezza del documentario, genere da cui l'autore proveniva. Il film inizia con l'arresto dei fratelli Artur (22) e Marcin (12), in un motel di provincia colpevoli di avere brutalmente ucciso la loro madre. La storia viene raccontata a retrocedendo inizialmente a poche ore precedenti l'intervento della Polizia, per proseguire al giorno prima, a due, a tre, fino ad arrivare, attraverso uno scandire si settimane e mesi, a oltre un anno. Teresa lavora al grado impiegatizio più basso in un'assicurazione, il figlio adulto è uno spostato che domina il fratello, il padre è militare di carriera ed è da poco rientrato dall'Iraq. Oltre loro, una figlia ritardata, una ragazza che si occupa di lei e decine di gatti raccolti per strada, autentici padroni della casa. Nessuno è realmente normale, la pazzia latita ed esplode varie volte, con accuse al veterano di violenza ai figli e suo abbandono della casa, il distacco del dodicenne dalla scuola voluto dal fratello per meglio gestirlo ma avvallato per debolezza dalla madre, la psicotica mania di raccogliere gatti randagi per strada. Non vi è una vera ragione per questo omicidio, forse la noia. Interpretato dall'intenso Mateusz Kosciukiewicz, il personaggio di Artur ha assoluta normalità in ogni frangente. Gli altri sono tutti bravi e perfettamente scelti per i personaggi a cui devono dare vita.

F.F


buona notteLahko noc, gospodicna (Buona notte, piccola) dello sloveno Metod Pevec racconta una storia al femminile che ha al centro una donna borghese, sposata con un costruttore edile di successo, buona madre di famiglia e arredatrice inventiva. Un giorno scopre che il marito la tradisce con una giovane assistente, va via di casa, ha una rapida relazione – altrettanto disastrosa - con un ex compagno di scuola e finisce volontariamente sola, convinta che la solitudine, per quanto dura, sia infinitamente migliore di un rapporto basato sulla menzogna e il tradimento. Potrebbe sembrare un film neo femminista, ma il suo punto di forza non è tanto in questo, quanto nella descrizione del vuoto sentimentale ed esistenziale che attraversa un ceto che deve le sue fortune anche alla dissoluzione dell'ex Jugoslavia e che paga un prezzo pesantissimo in termini di completo sradicamento sia culturale sia umano. Il film è girato in modo piano, senza alcun volo stilistico ed è un prodotto di tipo televisivo sia per la linearità della narrazione sia per un certo pudore nel mettere in scena le sequenze di sesso che sembrano girate da un regista di quarant'anni or sono tanta è la cura nel non mostrare neppure il più piccolo particolare anatomico.

the graveyard keepers daughterKatrin Laur è una regista estone attenta, anche lei, ai problemi delle donne, solo che lo scenario che predilige è quello del sottoproletariato. E' un panorama segnato da miseria, alcolismo e violenza. In Surnuaiavahi tütar (La figlia del becchino) racconta di madre e figlia che vivono nella più nera miseria in un piccolo villaggio estone. Il padre lavora come necroforo e guadagna una miseria, la moglie, di origine russa, affoga nell'alcol le amarezze di una vita di privazioni. La giovane figlia sopravvive con l'incubo di essere affidata ai servizi sociali. Poco tempo dopo che l'uomo ha abbandonato la famiglia per andare a cercare lavoro in Finlandia, la situazione precipita. Durante un festino a base di vodka e altri superalcolici un incendio distrugge la casupola in cui la famiglia abita, causando la morte di una piccola andicappata che viveva con loro. L'intervento della magistratura poeta all'incriminazione della madre e invio della figlia in un istituto per bimbi da adottare. A risolvere in qualche modo la situazione arriva una donna pastore protestate, incontrata in Finlandia durante un breve periodo di quiete, che riesce a farsi assegnare la bimba e ad avviare un percorso di redenzione della madre. E' un finale eccessivamente ottimista, che non contraddice del tutto lo sguardo disperato con cui la regista guarda agli umili in una società uscita da poco dal lungo sonno della dominazione realsocialista. Non va dimenticato, infatti, che la figura della madre identifica con precisione la condizione di un'intera comunità, quella dei russi arrivati nei paesi baltici sull'onda di un tentativo di russificazione fatto dai dirigenti sovietici e che, dopo la caduta del regime moscovita, sono diventati veri e propri paria in patria.

U.R.

appartamento-ad-atene-nuova-locandina-italiana-del-film-251383In concorso nella sezione opere prime l'italiano Appartamento ad Atene di Ruggero Dipaola con protagonisti Laura Morante, Richard Sammel e Gerasimos Skiadaressis. Presentato in varie rassegne tra le quali il Festival di Roma, è in uscita il 28 settembre in Italia. Ambientato nel 1943, ad Atene, narra dell'appartamento di una famiglia un tempo agiata requisito per ospitare un capitano tedesco. Lui è molto servizievole, la moglie difficilmente parla, il figlio di dieci anni non accetta l'invasione della sua casa da parte di un estraneo, la figlia dodicenne non è insensibile alle lusinghe dell'ufficiale. L'uomo vive nella luce del dio Hitler per cui è disposto a fare qualsiasi cosa, è una crudele macchina da guerra che non si ferma davanti a nulla. Pian piano riduce a servi i suoi padroni di casa, chiede sempre di più, li conduce alla povertà assoluta costringendoli a vendere quello che hanno per poterlo trattare come un re. Questo incubo sembra terminare quando deve tornare in Germania chiamato dai suoi superiori: la famiglia riassapora il piacere di vivere assieme, è sempre aria di festa. Quando torna, avendo maturato il grado di maggiore, è notevolmente cambiato appare quasi dolce ed indulgente, fa confidenze al padrone di casa, lo tratta quasi come un amico. Ma anche questo dura poco, in un finale che coinvolge drammaticamente entrambi. Il film è tratto da una storia realmente accaduta, raccontata dall'omonimo romanzo di Glenway Wescott. Il lavoro del regista è stato quello di cercare di portarlo sullo schermo evitando il melodramma, tentanbdo di fare capire le atmosfere che si vivevano in quel periodo, dell'aria di guerra che si respirava sempre senza mai uscire dal claustrofobico appartamento, in cui i drammi personali spesso acquistano più drammaticità di quelli esterni. Ci è riuscito solo in piccola parte, dando vita ad un'opera in cui le intenzioni erano molto belle ma in cui i risultati sono spesso deludenti. L'impressione è che abbia dimenticato un minimo di umiltà che mai deve mancare, soprattutto in un debuttante, e che si sia assiso nel ruolo di maestro che, almeno fino ad ora, non è. Salvato dall'ottima interpretazione dei protagonisti e dalla freschezza dei due ragazzi, dà vita ad un film mai realmente capace di creare emozioni, che a tratti annoia.

krigerinKriegerin (Ragazze combattenti) è un thriller anomalo. Di produzione tedesca, racconta di piccola città come tante, identificabile in una qualsiasi apparentemente tranquilla realtà della provincia. Marisa, Melanie, Benny and Svenja sono un gruppo di ragazze giovani neo-naziste divenute tali più per moda che per credo, più per avere qualcosa da fare che non per avere scelto un'impostazione politica. La ventenne Marisa ha i capelli rasati sulle tempie, tatuaggi tra cui una svastica. Crede di odiare gli stranieri, ebrei, negri e tutti coloro che hanno occupato la Germania togliendola a loro che sono i veri padroni. Quando arrestano il fidanzato, il suo odio si acuisce ma è messo in dubbio al momento in cui conosce due fratelli afghani Rasul, 14 anni e il più adulto Jamil che sono stati bloccati lì ma che vorrebbero raggiungere la Svezia per ricongiungersi a conoscenti e parenti. Li incontra perché vittime di una bravata del branco e si rende conto che sono ragazzi come lei. Vive col più giovane un'amicizia vera, che rischia di divenire pericolosa quando il fidanzato esce di carcere. Ha il dubbio sul da farsi ma, alla fine, sceglie pur sapendo i rischi che corre. E' un'opera di denuncia ben realizzata, che mette in evidenza la realtà dei nazi-skin mai realmente scomparsa. Diretto e scritto da David Wnendt, fa venire i brividi per quanto racconta, per quanto fa vedere senza giudicare. Interpretato dalla bravissima Alina Levshin, non lascia indifferenti.

F.F.


naked harbourDa qualche tempo il cinema ha tolto il velo al mito dei paesi nordici quali modelli di giustizia sociale e felicità per i cittadini. Molti film hanno rappresentato e indagato guasti sociali, squilibri economici, infelicità personali. Vuosaari (Il porto nudo) del finlandese Aku Louhimies smaschera la presunta armonia che regnerebbe nel suo paese. Lo fa con un mosaico di storie che vanno da una rapina organizzata da un marginale con la complicità del padre (un aneddoto coronato da un irridente lieto fine), alle traversie di un ragazzo, figlio di una famiglia di russi vessato dai compagni, sino alla triste vicenda, ma con lieto fine, di una giovane malata di cancro. Sono racconti tristi e allegri, immersi in un'atmosfera gelida, siamo nel periodo natalizio, e segnati dall'indifferenza di tutti versi tutti. E' un film non particolarmente originale ma onesto nel raccontare una realtà difficile senza ricorrere a stereotipi troppo marcati.

visible woerdMolto interessante anche Viditeľný svet (Mondo visibile) dello slovacco Peter Kryštúfek. E' il ritratto di un solitario che non riesce a superare il senso di colpa che gli deriva dall'aver causato involontariamente la morte della moglie. Ora passa quasi tutto il tempo libero spiando i vicini con un grande binocolo e utilizza ciò che ha visto per entrare nella vita degli altri e sconvolgerne l'equilibrio. Fa così con una famiglia che abita un appartamento di fronte al suo. Scopre che il marito ha una relazione con un'altra donna, causa una crisi familiare, seduce la moglie tradita e, quando questa mostra di non aver dimenticato il passato legame, la ferisce gravemente. Il protagonista ha un buon lavoro – è controllore di volo - e una vita apparentemente ordinata e normale, ma la sua mente è preda di un turbamento profondo che lo spinge a sfiorare il crimine. Lo stile del racconto è piano, con pochi flash back che entrano armoniosamente nei tempi della storia. E' una piccola storia, ma di grande forza.

U.R.

Per la sezione opere prime è stato presentato il film norvegese Inn i Morket (Locanda al buio)di Thomas Wangsmobuio, autore con una ventina di validi corti alle spalle. Potrebbe essere definito thriller ma anche film noir o commedia dell'anima: in realtà, tutte queste caratteristiche sono presenti più nella sceneggiatura che non perché si vede, creando un'attesa da parte del pubblico che rischia di franare nella noia. Tornando a casa assieme al figlio, di notte e con l'asfalto bagnato, uomo investe ragazzo sulla sua bicicletta i cui genitori sono loro vicini e amici. Si tratta di un tragico incidente, grande dolore e rabbia ma nulla più, mentre l'investito è in coma all'ospedale, ma la tranquillità di chi ha provocato così gravi lesioni disturbano il padre de ferito che, interrogando il figlio dell'uomo, scopre che lui stava dormendo e che si era svegliato per il rumore vedendo il padre ammutolito e con il telefonino in mano. Denuncia agli inquirenti ma grazie a un buon avvocato nessuna accusa pesa sull'uomo. E qui inizia il dramma vero, definitivo, illogico umanamente ma, soprattutto, poco aiutato da una sceneggiatura asfittica che sembra cercare una soluzione qualsiasi pur di riuscire a chiudere questi poco convincenti ottanta minuti. L'atmosfera è curata, la foto è particolarmente valida, buona la colonna sonora. Quello che manca è il film con quel carico di emozioni indispensabile per sentirsi coinvolti perché avviene sullo schermo. Poco convinti i quattro protagonisti, Thorbjørn Harr, Fridtjov Såheim, Ellen Dorrit Petersen, Laila Goody che non s'impegnano mai più di tanto. Bella l'ambientazione invernale in mezzo alla neve, ma è poco per definire accettabile il film.

l_enfance_du_mal_photoL'enfance du mal (Dolce diavolo) è un thriller classico nei contenuti e nello sviluppo scritto e diretto dal francese Olivier Coussemacq. Ed è proprio in questo senso del già visto il limite maggiore di un'operina senza onore né ignavia. Celine ha quindici anni, la madre in carcere, una maturità ben superiore a quella di un'adolescente. Aiutato dal fidanzatino, ricatta uomini che volevano accompagnarsi a lei, ai quali prende molto denaro, ma non si limita a questo, si trasferisce nel giardino di bella villa e si fa scoprire dal proprietario, un giudice che, impietosito, le offre un pasto caldo a casa sua. La moglie sente subito feeling per lei che vede come la figlia che non ha mai avuto. Tra alti e bassi, il rapporto della nuova famiglia temporanea sembra andare per il meglio se la ragazza non si facesse mettere incinta volutamente. Più di questo non è lecito dire, si può aggiungere che tutto fa parte di un programma per far uscire dal carcere la madre: a suo modo, Celine è una brava ragazza. L'ingenuità del giudice sembra impossibile da credere e da sopportare, la moglie alterna eccessivi slanci di amore e di astio per lei, il fidanzatino è un normale ragazzo borghese che per lei si trasforma in delinquente, Celine è poco credibile sia come mangiatrice di uomini sia come ingenua ragazzina. Anaïs Demoustier quando ha girato il film aveva venticinque anni e fisicamente era poco adatto a essere scambiata per una quindicenne, Pascal Greggory è un giudice che non crede per un attimo a quello che fa e dice, Ludmila Mikaël innervosisce per una prova in cui mai sembra mettere autentico impegno.

F.F.


the crown jewelsKronjuvelerna (I gioielli della corona) della svedese Ella Lemhagen è uno strano film basato su una struttura all’indietro e sull’utilizzo di linguaggi diversi: il gotico, l’animazione, le immagini elaborate al computer. La giovane Fragancia è accusata di aver tentato di uccidere Richard Persson, figlio di un industriale calzaturiero caduto in rovina. Durante l’interrogatorio cui è sottoposta dal giudice istruttore, racconta la lunga relazione che la sua famiglia ha avuto con l’imprenditore a iniziare dalla nascita dei rispettivi figli. Il ricco voleva fortemente un maschio per farne un campione di hockey e, quando un’infermiera gli presentò per errore la piccola come figlia sua, cercò di strappare il piccolo appena nato dalle braccia del padre della femmina che era stato vittima di un errore opposto. L’infante cadde a terra e sopravvisse solo grazie all’impianto di una calotta metallica nel cranio. Passano gli anni, il ragazzo si dimostra del tutto inadatto a giocare sul ghiaccio, mentre la donna intreccia una storia sentimentale con un campione di quello sport. I due si separano, ma lei continua ad amarlo e a proteggere il fratellino handicappato nato dopo di lei. Un giorno il figlio del ricco si rende responsabile dell’annegamento del ragazzino menomato che ha coinvolto in uno scherzo crudele. Da questa morte l’aumento dell’odio della ragazza per il coetaneo e il sospetto che sia stata lei a tentare di ucciderlo. Alla fine tutto si chiarirà con tanto di ascesa al cielo dell’annegato ove la madre, morte nel frattempo, lo attende a braccia aperte. La prima parte del film sembra virare al gotico, con sfumature thriller, tuttavia ben presto il racconto deraglia inzeppato com’è di sequenze oniriche e filosofemi religioso – naturalistici non proprio profondi. In poche parole è un’insalata tutt’altro che appetitosa e una mistura d’ingredienti non facilmente assimilabili. Quasi da dimenticare.
U.R.

israelePer la sezione opera prima è stato presentato il film israeliano Anachnu lo levad (Siamo vicini) diretto da Lior Har-Lev, autore che dimostra di essere cinefilo e di conoscere molto bene quanto realizzato dai suoi predecessori. Questo può essere visto come un pregio od un difetto, come un limite o una possibilità in più. Siamo, comunque, di fronte ad una commedia classica in cui è facile vedere citazioni di vari film. Interpreti sono Efrat ben Yaakov, Ohad Knoller e Ronny Blitz, nessuno eccelso ma tutti dotati di buona comunicativa. Peccato che troppo spesso sia completamente prevedibile quello che sta per succedere. Eddie lavora nella Security di uno shopping center; è tranquillo, educato, solitario, senza apparente interesse per il sesso e l’amore nonostante abbia più di  trent’anni. Per il suo lavoro, deve risultare quasi invisibile fino a quando non c’è qualche persona sospetta da fermare e controllare. Il grigiore si stempera nel suo credo di quanto riporta un libro su di un’antica profezia che prevede la fine del mondo a giorni e in cui l’unico posto sicuro sarà l’isola di Pasqua. Utilizza tutti i suoi risparmi per pianificare il viaggio, ma quando è pronto psicologicamente a partire, ferma una ladruncola di cui si innamora, ricambiato. May, questo il suo nome, è intelligente e ruba più per protesta che per necessità. Nei cinque giorni prima della fatidica data, sboccia il vero amore: Eddie dovrà scegliere se rimanere e abbandonare la sua speranza di sfuggire l'apocalisse imminente, o vivere fino quando sarà possibile questo grande amore. Non sveliamo il finale ma, non essendo un giallo, la risposta è fin troppo facile.
affiche-presume-coupable_jpg_500x630_q95Présumé Coupable (Presunto colpevole) è sicuramente uno dei più interessanti thriller proposti a Setùbal. Basato sulla vera storia di Alain Marécaux, è un esempio in cui l’accanimento giudiziario possa trasformare in mostri degli innocenti. L’uomo e sua moglie vive assieme ai due figli in un misero sobborgo di Boulogne-sur-Mer. Una tragica notte del 2001 irrompe la Polizia, lo trattano come un pericoloso malvivente e scopre di essere stato accusato di appartenere ad una pericolosa banda di pedofili franco belgi che, tra l’altro, avevano usato anche i propri figli nei filmati porno. Assieme a lui, altre dodici persone ma per lui l’accusa è anche di avere abusato del figlio. Domande non invasive fatte ai ragazzini con l’aiuto degli psicologi portano a risposte che il giudice inquirente valuta come accuse pesanti. La madre dell’uomo muore, la moglie lo lascia, i figli vengono affidati ai nonni. Pur avendo un avvocato che gli crede, nonostante l’assoluta mancanza di prove, rimane in prigione. Fa un lunghissimo sciopero della fame, si rivolge alle autorità e, alla fine, ogni accusa decade. Il film è tratto dal libro Chronique de mon erreur judiciair scritto da Alain Marécaux stesso, come tragico diario di un’avventura che non deve essere dimenticata e deve fare riflettere sull’infallibilità che certi magistrati credono di avere. Splendida la prova di Philippe Torreton, che, per vivere meglio il personaggio, ha realmente perso più di venti chili. Il film gira tutto attorno a lui ed il suo personaggio è perfettamente delineato; gli altri sono appena accennati e questo è l’unico difetto di quest’opera diretta ottimamente da Vincent Garenq, lo stesso della discreta commedia Baby Love.

F.F.


the_paradeParada (La parata) del serbo Srdjan Dragojevic è una commedia drammatica che ruota attorno alla condizione degli omosessuali nei paesi nati dall’esplosione dell’ex Jugoslavia. A Belgrado si sta per organizzare il primo gay pride della storia del paese. L’annuncio scatena le ire d’ipernazionalisti e fascisti di vario tipo che iniziano a picchiare gli organizzatori, distruggere i loro uffici, minacciare chiunque li sostenga. In questo clima un gangster di mezza età, ex combattente delle più feroci milizie serbe, vuole sposare una ragazza che pretende un matrimonio organizzato da un famoso regista teatrale, notoriamente omosessuale, che convive con un veterinario grassoccio. Per soddisfare la fidanzata, l’ex miliziano accetta di organizzare il servizio di sicurezza per la manifestazione rosa. Per farlo mette assieme un gruppo di ex nemici – ustascia, estremisti islamici, cetnici - che si uniscono in un manipolo stile I magnifici sette  improbabile quanto fantasioso. Lo scontro con i giovani di destra sarà la causa delle morte del teatrante, ma l’anno successivo il corteo sarà ancor più numeroso, anche se le violenze diventeranno particolarmente feroci. L’idea di affrontare il nodo drammatico dell’omofobia in un paese preda a un sentire anti gay diffuso e violento, con toni da commedia non era male e l’opera raggiunge qualche risultato di buon rilievo. Ci sono gag e snodi narrativi sicuramente spassosi, anche se su tutto incombe una visione quasi caricaturale del terzo sesso. E’ vero che anche militanti ultranazionalisti e vecchi combattenti sono visti con uno sguardo tendenzialmente farsesco, ma si ha l’impressione che il regista non sia riuscito a sottrarsi del tutto alla peggiore rappresentazione stereotipa degli omosessuali. Nel complesso un film divertente, sferzante, ma non privo di manchevolezze.
a-pas-de-loup-la-locandina-del-film-234074A pas de luop (A passo felpato) del belga Olivier Ringer è la lunga, troppo lunga, cronaca della fuga di una bimba dai genitori che non le dedicano sufficiente attenzione. Dopo un fine settimana in campagna, Cathy finge di salire in auto, ma rimane nel bosco ove vive per alcuni giorni in compagnia di vari animali. E’ quello che si suole definire un film poetico cui non è lecito chiedere verosimiglianza o logica realista. Ciò che sta a cuore al regista, che utilizza moglie e figlia come attrici, è richiamare la necessità di dare spazio alle fantasie e alle esigenze dei piccoli. L’intero film è accompagnato dalla voce off della piccola che descrive fatti e sentimenti sino a un lieto fine che non dice molto. Se l’intento è lodevole, lo sviluppo narrativo non lo è altrettanto l’opera, che rimane più un manifesto di buone intenzioni che non un testo compito e originale.
U.R.

stoccolmaStockholm Östra (Stockholm East) e' opera prima di buona fattura che parte da una situazione classica e poco originale, per portare avanti con un certo interesse i problemi psicologici legati ad un evento tanto tragico quanto inatteso, legato ad un momento di distrazione che risulta fatale. Johan guida verso l'ufficio, una bimba per andare a scuola usa la bicicletta poiche' con la madre in auto arriverebbe in ritardo, l'uomo di colpo vede schiantarsi sul parabrezza qualcosa: e' la bimba che, dopo poche ore, muore in ospedale. E' figlia di vicini che nemmeno si conoscono, accomunati da questo dolore che non condividono tra loro, i genitori per la perdita della ragazzina, l'uomo perche' si sente colpevole. La madre e l'investitore si staccano dai loro partner e, dopo un anno, quando giunge la completa assoluzione per l'investitore, quest'ultimo  cerca di avvicinare i genitori della vittima. Incontra casualmente la donna alla stazione, tra loro nasce simpatia, amicizia, amore. Quando la donna scopre chi e' questo dolce amico, e' gia' rimasta incinta di lui. Diretto dallo svedese Simon Kaijser da Silva, particolarmente attivo in televisione, rischia di terminare nel melodramma piu' scontato, ma la bravura della coppia fedifraga Mikael Persbrandt e Iben Hjejle permette al film di guadagnare una stiracchiata sufficienza. Quello che disturba e' come viene narrata questa maternita' non desiderata, il mancato aborto, la bugia della donna nei confronti del marito: si poteva fare sicuramente meglio.
kauwboyKauwboy (Kauwboy) e' stato presentato in competizione tra le opere prime, ma non avrebbe sfigurato nemmeno tra i thriller. Diretto dall'olandese Boudewijn Koole, e' tutto raccontato attraverso gli occhi e le emozioni di un ragazzino di dieci anni che vive nell'attesa del ritorno della madre, cantante cowntry, da una lunga tournee negli Stati Uniti. Decide di farle un regalo per l'imminente compleanno e, trovato un uccellino abbandonato, lo addotta e lo segue nella crescita di nascosto dal padre che non lo permetterebbe. Ha come complice una compagna di pallanuoto di poco piu' grande di lui, che dapprima lo odia ma poi diviene la sua migliore amica. Tra mille peripezie, l'animaletto cresce ma, scoperto dal padre, viene lasciato in liberta'. Lui lo ritrova e lo aiuta: ma non tutto quello che si vede e' sempre la verita'. La bravura dei Koole e' di essere riuscito a raccontare la solitudine del bambino in maniera positiva, con lui che si trasforma con l'uccellino in quel padre che lui non sente di avere. Si sostituisce alla madre che lo ha lasciato solo, come vorrebbe facesse il padre con lui. Ma il dolore, alla fine, unisce i due nello stesso, identico dolore vissuto in maniera partecipe ma, tutto sommato, positiva. Bravissim Rick Lens e Loek Peters, bella la vicenda di cui si immagina il finale che, quando drammaticamente giunge, non e' inatteso ma commuove lo stesso.

F.F.


temps_dune_seconde1Ossit sawani (Incroci casuali) della regista libanese Lara Saba è un film molto ben costruito che intreccia, in tempi lineari e all’indietro, le storie di tre personaggi. Nour è una giovane studiosa che vive con i genitori e una nonna andicappata, tutto le va abbastanza bene sino al momento che padre e madre muoiono in un incidente d’auto, causato da un manager che correva in ospedale ove sua moglie incinta, India, era stata ricoverata dopo aver subito uno scippo da parte di un ragazzino. Il ladro è Marwan, un adolescente drogato e alcolizzato con una madre, anche lei dipendente da alcol e droghe, mantenuta da un amante volgare e manesco. Tre personaggi legati dalla figura del dottor Karim che li assiste nelle varie occasioni in cui finiscono in ospedale. E’ un film a mosaico, molto ben architettato che si pone l’obiettivo di fornire uno spaccato di una società complessa, multietnica e attraversata da contraddizioni insanabili. Il quadro che ne emerge è quello della pesante opposizione fra ceti sociali e fra poveri e ricchi. Il tutto è amministrato sulla falsariga di una sceneggiatura articolata e precisa, con incastri non banali fra le varie storie e con passaggi temporali ugualmente esatti e funzionali.
crulic-drumul-spre-dincoloCrulic della rumena Anca Demian è un film molto originale, basato su una voce narrante e su disegni, meglio, pitture animate commentate da una voce narrante. La storia è di una tragedia di giustizia. L’11 luglio 2007 fu rubato il portafoglio a un importante giudice polacco, lo stesso giorno furono prelevati dal suo conto corrente 500 euro, mediante due prelievi effettuati con la carta di credito contenuta in quel borsellino. Del furto fu accusato il trentatreenne romeno Claudiu Crulic che dimostrò facilmente di essere del tutto estraneo al fatto, poiché quel giorno era in Italia. Nonostante l’esibizione del biglietto d’autobus e della lista dei passeggeri non fu creduto e incarcerato a Cracovia. Per protesta decise di fare lo sciopero della fame. All’inizio di gennaio del 2008 il medico del carcere decretò si avviasse un’alimentazione forzata, mediante inserimento di una sonda nell’intestino. L’operazione, condotta con inesperienza e faciloneria, portò alla perforazione di un polmone del degente, cosa che ne causò la morte fra atroci sofferenze qualche settimana dopo. Questo drammatico tragitto è percorso con immagini e disegni che fanno rivivere le tappe del calvario cui su sottoposto questo poveraccio, capitato nelle maglie di una giustizia ingiusta e insensibile. E’ un film davvero originale, uno dei pochissimi ad usare l’animazione in funzione drammatica. Il risultato è forte e positivo nonostante qualche ingenuità nel disegno e nello sviluppo del racconto.

suskind_0Nell’estate 1942 l’ebreo olandese Walter Süskind appena licenziato dall’acciaieria ove lavorava come capotecnico fu incaricato dal Concilio Ebraico di sovraintendere all’ammassamento delle famiglie israelite nell’Hollandische Schowburg, un teatro di Amsterdam. Il raduno, voluto dagli occupanti nazisti e accettato dai dirigenti della comunità ebrea che ancora credevano o fingevano di credere all’esistenza di normali campi di lavoro, doveva essere la prima mossa verso il trasferimento nei lager. Il manager comprese ben presto la vera destinazione dei prigionieri e iniziò a far fuggire molti bambini con vari sotterfugi. Scoperto, fu avviato a sua volta, con moglie e figlia, a un campo di sterminio ove morì pochi mesi dopo. Il regista Rudolf van der Berg, vincitore lo scorso anno con Tirza, ha dedicato a questa tragedia un film, Süskind, dal taglio tradizionale, ma dal forte impegno emotivo. Una sorta di film d’azione con personaggi che citano altre opere: il nazista alcolizzato e feroce che manda a morire l’uomo che credeva suo amico rimanda direttamente a un personaggio di Bastardi senza gloria (Inglourious Basterds, 2009) di Quentin Tarantino. E’ un’opera generosa anche se ben poco originale sia nel linguaggio sia nell’impostazione complessiva, ma che ha il merito di ricordarci un’immane tragedia e, in essa, le responsabilità di quanti s’illusero, sin quasi all’ultimo, di poter limitare i danni della barbarie hitleriana.

U.R. 

maryandjohnny_ch_kinostart_5_juli_page_1_poster1Una buona proposta tra le opere prime è stata Mary and Johnny, film svizzero realizzato con meno di 200.000 euro e tanta passione dal regista Samuel Schwarz, autentico autore di questa storia, coadiuvato da Julian M. Grünthal. E’ un bagno di folla, di musica urlata, d’immagini che si fermano come attonite, di una Svizzera molto lontana dai canoni d’immobilismo e di perbenismo a tutti i costi. A Zurigo nel 2010, poco prima della finale del Campionato del Mondo di calcio, si raduna una folla eterogenea che desidera solo divertirsi in un luna park ma anche sulle rive sia del lago sia del fiume Limmat. Si beve troppo, forse c’è chi si droga, tra tante persone ci sono i buoni, i cattivi, gli ingenui. Mary vorrebbe vedere la partita, ma il fidanzato Johnny è di cattivo umore perché ha appena perso il lavoro. Tra loro c’è forte tensione e una serie di equivoci porta a un litigio dopo il quale si dividono pur continuando a rimanere all’interno di quel caotico mondo. Durante la notte, s’incontrano personaggi di varia umanità, ma quasi tutti negativi. Tra i due esiste ancora l’amore, ma non vi è un’autentica occasione per dimostrarlo. All’alba avviene un incontro tra loro, manca la riconciliazione e si prospetta un tragico finale. Liberamente tratto da Kasimir und Karoline (1932) scritto da Ödön von Horváth, è opera imperfetta ma di sicuro interesse, a dimostrazione che il vero compito dell’opera prima low cost dovrebbe proprio essere quello di permettere ai debuttanti di osare, di tentare vie diverse narrative.bende van oss De bende van Oss (La banda di Oss) è un film olandese che interessa più per la storia raccontata che non per il risultato finale. Diretta nel 2011 dal televisivo André van Duren, la storia raramente appassiona e riesce a essere leggibile come buon esempio di thriller. Non che la tensione manchi, ma troppo spesso si ha la sensazione che il film sia stato alleggerito di varie scene e che quindi la narrazione risulti poco chiara. Del resto, il film ha tempi e durate televisive (circa due ore) che male si adattano al mezzo cinematografico. Nel 1930, la città olandese di Oss è stato coinvolta in un’incredibile ondata di criminalità dovuta alla temibile De Bende van Oss (la banda di Oss). Johanna, giovane proprietaria di avviata caffetteria, cerca di levarsi dal gioco di questa violenza aiutata dal marito ma ostacolata dallo zio autoproclamatosi capo della banda. Il marito è sedotto dal mondo della criminalità organizzata e il suo rapporto con la moglie peggiora sempre più, soprattutto quando vorrebbe convincerla ad abortire. Non è lecito aggiungere altro, Diremo solo che tutto si complica, che l’incredibile diviene materia di narrazione, che il marito è a dir poco inaffidabile. Se il film riesce a reggere, lo deve soprattutto a Sylvia Hoeks, attrice che sa trasformare fisicamente ma anche caratterialmente un personaggio particolarmente difficile senza potere contare su di una sceneggiatura autenticamente valida. Meno convincenti Matthias Schoenaerts e Frank lammer. Bella l’ambientazione, ottima la scelta di questo colore rarefatto, veramente mediocre la regia.

sennentuntscchiLo svizzero Sennentuntschi (Sennentuntschi - Maledizione delle Alpi) costruisce le atmosfere da thriller attraverso un crescendo di timori, di mezze verità, di situazioni a livello del paranormale. Diretto con mestiere dal quarantenne Michael Steiner che s’ispira a molti film precedenti, ha un certo decoro e dimostra che l’esperienza maturata in molti anni gli è stata utile per fornire attendibilità a storie che ne hanno realmente poca. Suo il soggetto, in parte anche la sceneggiatura. Dal lontano medio evo si narra che nelle Alpi svizzere gli uomini soli creavano una bambola che prendeva vita ed era loro compagna per il corso della vita: creature dalle fattezze femminili ma dallo spirito di lupi. Siamo nel 1975 in un remoto villaggio di montagna e una donna di una bellezza selvaggia appare come dal nulla. Il poliziotto del villaggio è l'unico che si avvicina alla donna muta per cercare di capire chi sia, per aiutarla, per permetterle di trasformarsi in un essere umano, nella speranza di potere capire da dove proviene, chi è, chi la ha ridotta così. Dando credito a questo mito, al villaggio pensano che lei possa provenire da Höhenalp dove i montanari fanno cose inimmaginabili pur di avere una compagnia femminile e combattere l’insopportabile solitudine. Fatti molto personali che nessuno avrebbe mai voluto svelare vengono alla luce poco: una storia di desiderio e follia che forse in molti conoscevano minaccia di trascinare tutto il paese nel baratro. La bellissima francese Roxane Mesquida interpreta con bravura un personaggio che ha molte affinità con Il ragazzo selvaggio di François Truffaut e che dimostra le sue potenzialità di attrice, l’attore televisivo austriaco Nicholas Ofczarek ha i giusti tempi per dare credibilità al suo personaggio di ragazzo semplice a cui è affidato il compito di svelare un segreto che tutti vorrebbero tenere nascosti.
kKi (Il mio nome è Ki) è interessante opera prima polacca realizzata da Lesse Dawid, autore che proviene dal documentario. E questa sua origine è ben visibile nel modo di raccontare in cui mai sembra volere giudicare, offrire una chiave di lettura soggettiva. In questa caratteristica sono da ascrivere sia i suoi pregi sia i difetti. Infatti, racconta con bravura, ma non dona autentiche emozioni nonostante la storia lo richiedesse. Ki è una giovane donna che decide di lasciare il padre del suo bambino di tre anni con cui sembra andare d’accordo e iniziare una nuova vita. La ragione di questa sua scelta è da ascriversi alla sua immaturità che non le permette di essere in pace con se stessa. Per un insieme di casualità, diventa coinquilino di Miko, un uomo serio che sembra non dare troppa importanza all’esuberanza della giovane donna che cerca di condurre una vita frizzante e intensa, non sapendo però come bilanciare il suo ruolo di madre con la necessità di lavorare, il desiderio di vivere una vita spensierata e una carriera come artista (in realtà, come modella di nudo o ballerina di lap dance con annessi momenti di prostituzione). Non è facile trattare con Ki, perché tende a colpevolizzarsi ascrivendo a se stessa la colpa per ogni frequente insuccesso. Miko, con la sua pazienza e perseveranza, con la sua capacità di divenire amico e padre del bimbo, con l’accettare che la donna continui ad avere le sue esperienze riesce piano piano a trasformare questa donna imprevedibile ma con tanta necessità di amore e di sicurezza. La bellissima trentenne Roma Gasiorowska interpreta con bravura il suo personaggio, gli altri un po’ meno.

F.F.


the_paradePremi speciali


Premio del pubblico
PARADA (La parata) di Srdjan Dragojevic (Serbia/Croazia/Macedonia/Montenegro/Slovenia)

Premio l’uomo e la natura
PEQUENO CÉU (Piccolo paradiso) di Lieven Corthouts (Belgio)

Premio opera prima
A GRALHA (La gazza) di Boudewijn Koole (Paesi Bassi)

Menzione speciale
OS DIAS QUE RESTAM (I giorni che rimangono) di Pia Streitmann (Germania.)

Premio FIPRESCI   

LAHKO NOC, GOSPODICINA (Buona notte piccola) di Metod Pevec (Slovenia/Croazia)

Premio SIGNIS

A PAS DE LOUP (Furtivamente) di Olivier Ringer (Belgio)

Premio CICAE
PORTO NU (Porto nudo) di Aku Louhimies (Finlandia.)

Premio MÁRIO VENTURA
7 DA SORTE (7 della fortuna) di Claudia Heindel (Germania)

Miglior film - Delfino d'0ro
PARADA (La parata) di Srdjan Dragojevic (Serbia/Croazia/Macedonia/Montenegro/Slovenia)

Premio speciale della giuria – Delfino d’argento
CRULIC di Anca Damian (Romania/Polonia)

Miglior regia - Delfino d'argento
BRANKO SCHMIDT per il film LJUDOZDER VEGETARIJANAC (Cannibale vegetariano) (Croazia)

Miglior attore - Delfino d'argento
MAX HUBACHER per il film DER VERDINGBUB (L'adottato) di Markus Imboden (Svizzera)

Migliore attrice - Delfino d'argento
AMANDA PILKE per il film VUOASAARI (Porto Nudo) di Aku Louhimies (Finlandia)

Miglior sceneggiatura - Delfino d'argento
OLIVIER RINGER e YVES RINGER per il film A PAS DE LOUP (Furtivamente) di Olivier Ringer (Belgio)

Miglior Fotografia – Delfino d'argento
TUOMO HUTRI per il film VUOASAARI (Porto Nudo) di Aku Louhimies (Finlandia)