Plus Camerimage 2009 - Pagina 2

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Io sono tuo
Io sono tuo
Jestem twój (Io sono tuo) di Mariusz Grzegorzek parte da un testo teatrale della canadese Judith Clare Thompson (1954), scritto nel 1987, per mettere in scena un insieme di suggestioni non ben collegate che vanno da una storia melodrammatica, ad un quadro ossessivo, a un vicenda vagamente thriller. Una dentista trentenne, sposata con un manager di una grande azienda tessile, ha una rapporto sessuale con un guardiano della zona residenziale in cui abita e scopre di essere rimasta incinta. Il tipo, con un passato criminale, vuole assolutamente che tenga il figlio e, sorretto dalla madre, fa ogni cosa per riuscirci, non escluso il ricorso al tribunale. La donna, che si è riconciliata con il marito e ospita una sorella con la quale ha sempre avuto un rapporto complesso, decide di tenere il bambino, ma , arrivata sulla soglia del parto se lo vede strappare da madre e figlio che si precipitano in casa sua e la sequestrano. Ora i due possono finalmente avere un figlio e un nipote, ma la morte coglie la madre poche ore dopo che ha preso il neonato e lascia il figlio solo e incapace ad agire. Sono tanti gli elementi che s'intravvedono dietro questa storia confusa, divisa in capitoli come un telefilm e troppo affollata di personaggi, solo tre dei quali - la dentista, l'inserviente e la madre – hanno un certo sviluppo, gli altri – il marito e la sorella – offrono solo accenti e sprazzi di descrizione. In poche parole un film pretenzioso, girato in modo scolasticamente corretto, ma privo di veri motivi d'interesse sia stilistico, sia narrativo.
Zero
Zero
Zero di Pawel Borowski è il classico film a più personaggi, qui sono davvero molti, le cui vite s’incrociano siano a confluire nel finale. Si parte da un manager che assolda un paio di scalcinati investigatori privati per avere conferma dell’infedeltà della moglie, si prosegue con la storia di un ragazzo in attesa di trapianto i cui genitori non hanno i soldi necessari, si aggiungono storie di commercianti di pedofilia, produttori di film erotici, miserabili che tentano di sopravvivere vendendo giocattoli da loro stessi fabbricati, giovani delinquenti sulla via della redenzione e chi più ne ha più ne metta. La confezione è certamente professionale, ma l’affastellarsi dei materiali, collocati espressamente in una società indeterminata, non arriva a fornire il quadro di una qualsiasi realtà. In altre parole si ha l’impressione che molte cose girino a vuoto e che si tratti di un prodotto di cui è stata curato più l’aspetto esteriore che non il discorso profondo.
Rovescio
Rovescio
Rewers (Rovescio) di Borys Lankosz è un film dal taglio classico, molto ben costruito e stupendamente fotografato in un falso bianco e nero che si sposa alla perfezione con i numerosi cinegiornali d’epoca utilizzati dal regista per meglio collocare la vicenda. Siamo nel 1952, in una Varsavia governata dai comunisti più stalinisti che si possa immaginare. La timida segretaria di una casa d’edizioni che vive con la madre - una ancora una volta straordinaria Krystyna Janda - è avvicinata da un bell’uomo dai modi spicci che dice di essere un poeta . Il giovanotto la seduce con una certa facilità, ha con lei un rapporto sessuale e, subito dopo, le chiede di collaborare con la polizia politica per incastrare un professore universitario di cui è stata allieva. Lei rifiuta e lui la minaccia di gravi conseguenze per la sua famiglia causa una moneta d’oro da un dollaro che, per salvarla dalla requisizione di stato, lei ingoia ed espelle regolarmente. Disperata, la giovane lo avvelena. Quando la madre rientra in casa e trova il cadavere, decide di farlo sparire immergendolo in un bagno d’acido. L’operazione andrà a buon fine e la sopraggiunta morte di Stalin aprirà la via a un’epoca di minor terrore. Tutto questo è raccontato in un flash back rivissuto dalla protagonista mentre aspetta all’aeroporto l’arrivo dagli Stati Uniti del figlio nato da quell’atto unico e drammatico. Un uomo che assomiglia come una goccia d’acqua al padre, ma che è omosessuale. E’ un preciso ritratto di un’epoca d’indicibile terrore, in cui nessuno era sicuro di ritornare a casa la sera o di risvegliarsi nel proprio letto la mattina. I toni sono misurati e precisi, le interpretazioni perfette: oltre la già citata Krystyna Janda da segnalare la protagonista Agata Bure e la nonna costretta a letto, Anna Polony. In poche parole un film alla maniera, direbbero i francesi ,del cinèma de papa, ma di grande peso politico e morale.
La casa buia
La casa buia
Dom zły (La casa buia) di Wojtek Smarzowski è un'opera bella e complessa. Siamo nel 1982, l’anno seguente al colpo di stato del generale Wojciech Jaruzelski, ma i fatti raccontati rimandano a un episodio accaduto quattro anni prima, nel 1978. La storia ruota attorno alla ricostruzione di un triplice omicidio, avvenuto in una sperduta casa in campagna ove madre e figlio sono stati uccisi a colpi d’ascia, mentre il padre e marito si è impiccato. E’ accusato dei due delitti uno specialista in allevamento d’animali, capitato per caso in quella dimora, il quale ha scoperto, nel corso di una notte a forte tasso alcolico, che vi si fabbrica clandestinamente vodka e proposto ai proprietari di formare una società per allargare il raggio del contrabbando. I due hanno finto di acconsentire poi hanno ucciso il figlio per addossare la colpa al nuovo venuto e rubargli i denari che teneva in valigia. Le cose sono andate diversamente e lui si è salvato, anche se ora è accusato di due omicidi. Sembrerebbe un film noir di tipo tradizionale sennonché l’andamento della procedura giuridica, come accade nel primo film di Theo Angelopoulos Ricostruzione di un delitto (Anaparastasi, 1970), fa emergere dal caso giudiziario l’intera società. Nella storia c’è di tutto: poliziotti corrotti, agenti della squadra politica disposti ad ogni bassezza pur di asservire le loro vittime, alcol che scorre a fiumi come unico antidoto a una società invivibile, bambini che nascono - evidente metafora della nuova società propagandata dalla dittatura militare - nel fango, nel dolore e nella povertà. Né mancano corruzione violenza, così diffuse che, quando il curato del villaggio consegna al commissario che guida la ricostruzione, un dossier con le prove delle ruberie dei politici locali, questi se ne serve per controbattere il membro della polizia politica che tenta di ricattarlo e mettere in salvo la sua carriera. Un verminaio immondo che, forse, rappresenta anche parte della società di oggi, ma che sicuramente bolla quella di ieri. Un film di non facile assimilazione, ricco com’è di simboli e momenti volutamente ambigui, ma che cresce con il passare del tempo e l’approfondirsi della memoria.