Plus Camerimage 2009

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Plus Camerimage 2009
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Il festival Plus Camerimage si tiene in Polonia - sino al 200 a Toruń, poi a Łódź - da diciassette edizioni ed è fra le non molte manifestazioni cinematografiche rivolte al mondo dei direttori di fotografia. Una figura fondamentale per la riuscita di qualsiasi opera cinematografica, ma che solo nel caso di grandi autori riceve l'attenzione che merita. Questo festival è anche importante perché, fra le varie sezioni che mette in campo, c'è anche un concorso riservato al cinema nazionale.
Maialini
Maialini
Vi abbiamo visto, ad esempio, Świnki (Maialini) di Robert Gliński il cui giovane interprete ha ottenuto il premio quale migliore attore all'ultimo Festival di Karlovy Vary. Il regista, invece, aveva il massimo premio, sempre nel festiva ceco, alcuni anni or sono con Czéść Tereska (Ciao, Teresa, 2001). Ancora una volta questo cineasta mostra un forte interesse, quasi un ossessione, nei confronti delle devianze minorili. Se nel film del 2001 era una ragazzina marginalizzata ad arrivare all'omicidio di un handicappato, qui sono di scena i giovinetti che si prostituiscono a ricchi stranieri, nella fattispecie tedeschi, per raccattare qualche euro. Al centro della storia c'è l'imberbe Tomek, ottimo studente con il sogno di vincere un concorso di astronomia. Viene da una famiglia modesta, sua madre lavora in ospedale e teme di essere licenziata, il padre è disoccupato e s'illude d'avere un avvenire come allenatore di calcio. Attorno una schiera di ragazzi e ragazze il cui unico scopo sono l'abbigliamento alla moda e le serate in discoteca. Piccoli obiettivi per il raggiungimento dei quali la prostituzione, maschile e femminile, costituisce una comoda scorciatoia. Le famiglie sono distrutte, la mancanza di lavoro è acuta, i salari sono da fame, neppure la Chiesa è in grado di rispondere in modo serio alle richieste di questi adolescenti che, quasi inconsapevolmente, scivolano nel crimine e nella disperazione. Il film soffre dei medesimi difetti che segnavano l'opera precedente: un gusto per la depravazione giovanile non sempre controllato da uno sguardo lucido che sappia evitare la caduta nel compiacimento. Questi porcellini, è il termine polacco con cui sono indicati quanti praticano la prostituzione infantile, sono troppo fotogenici, ben curati e patinatamente viziosi (in senso cinematografico) per destare vero orrore e sano disgusto. Sembrano quasi i personaggi di uno spot pubblicitario sul vizio. Allo stesso modo i genitori sono ugualmente prevedibili e frutto di cliché troppo abusati. In poche parole ciò che manca al film è una vera ripulsa di un fenomeno orribile e sanguinario, così come la regia non è in grado di mettere in campo un'analisi seria sia delle psicologie, sia delle ragioni materiali che stanno dietro a questo degrado diffuso e inquietante.
La mia carne il mio sangue
La mia carne il mio sangue
Le cose sono andate ancora peggio con Moja Krew (La mia carne, il mio sangue) di Marcin Wrona storia di un pugile costretto ad abbandonare il ring dopo che è stato accertato che i colpi che ha preso hanno compromesso in modo definitiva la sua salute. Gli resta poco da vivere e decide di avere un figlio ad ogni costo. Dopo aver tentato una fallimentare riconciliazione con una sua ex, decide di chiedere in sposa una vietnamita, immigrata illegale, che accetta anche se con molti dubbi anche perché è già incinta di un connazionale. Quando l'ex boxeur, che nel frattempo passa da una risa all'altra e da un incontro mercenario a un incidente d'auto, viene a sapere del figlio in arrivo va su tutte le furie, poi ci ripensa e fa sposare la donna con un suo collega, anch'egli ritiratosi e con cui ha un rapporto d'amore e odio (lo ha trovato a letto con la prima fidanzata). Finale strappalacrime con gli sposi e il moribondo che si abbracciano ubriachi piangendo. E' un melodramma banale, con interpreti completamente privi dello spessore richiesto dalla parti, voragini nella sceneggiatura, banalità nel racconto e nella descrizione ambientale.

Io sono tuo
Io sono tuo
Jestem twój (Io sono tuo) di Mariusz Grzegorzek parte da un testo teatrale della canadese Judith Clare Thompson (1954), scritto nel 1987, per mettere in scena un insieme di suggestioni non ben collegate che vanno da una storia melodrammatica, ad un quadro ossessivo, a un vicenda vagamente thriller. Una dentista trentenne, sposata con un manager di una grande azienda tessile, ha una rapporto sessuale con un guardiano della zona residenziale in cui abita e scopre di essere rimasta incinta. Il tipo, con un passato criminale, vuole assolutamente che tenga il figlio e, sorretto dalla madre, fa ogni cosa per riuscirci, non escluso il ricorso al tribunale. La donna, che si è riconciliata con il marito e ospita una sorella con la quale ha sempre avuto un rapporto complesso, decide di tenere il bambino, ma , arrivata sulla soglia del parto se lo vede strappare da madre e figlio che si precipitano in casa sua e la sequestrano. Ora i due possono finalmente avere un figlio e un nipote, ma la morte coglie la madre poche ore dopo che ha preso il neonato e lascia il figlio solo e incapace ad agire. Sono tanti gli elementi che s'intravvedono dietro questa storia confusa, divisa in capitoli come un telefilm e troppo affollata di personaggi, solo tre dei quali - la dentista, l'inserviente e la madre – hanno un certo sviluppo, gli altri – il marito e la sorella – offrono solo accenti e sprazzi di descrizione. In poche parole un film pretenzioso, girato in modo scolasticamente corretto, ma privo di veri motivi d'interesse sia stilistico, sia narrativo.
Zero
Zero
Zero di Pawel Borowski è il classico film a più personaggi, qui sono davvero molti, le cui vite s’incrociano siano a confluire nel finale. Si parte da un manager che assolda un paio di scalcinati investigatori privati per avere conferma dell’infedeltà della moglie, si prosegue con la storia di un ragazzo in attesa di trapianto i cui genitori non hanno i soldi necessari, si aggiungono storie di commercianti di pedofilia, produttori di film erotici, miserabili che tentano di sopravvivere vendendo giocattoli da loro stessi fabbricati, giovani delinquenti sulla via della redenzione e chi più ne ha più ne metta. La confezione è certamente professionale, ma l’affastellarsi dei materiali, collocati espressamente in una società indeterminata, non arriva a fornire il quadro di una qualsiasi realtà. In altre parole si ha l’impressione che molte cose girino a vuoto e che si tratti di un prodotto di cui è stata curato più l’aspetto esteriore che non il discorso profondo.
Rovescio
Rovescio
Rewers (Rovescio) di Borys Lankosz è un film dal taglio classico, molto ben costruito e stupendamente fotografato in un falso bianco e nero che si sposa alla perfezione con i numerosi cinegiornali d’epoca utilizzati dal regista per meglio collocare la vicenda. Siamo nel 1952, in una Varsavia governata dai comunisti più stalinisti che si possa immaginare. La timida segretaria di una casa d’edizioni che vive con la madre - una ancora una volta straordinaria Krystyna Janda - è avvicinata da un bell’uomo dai modi spicci che dice di essere un poeta . Il giovanotto la seduce con una certa facilità, ha con lei un rapporto sessuale e, subito dopo, le chiede di collaborare con la polizia politica per incastrare un professore universitario di cui è stata allieva. Lei rifiuta e lui la minaccia di gravi conseguenze per la sua famiglia causa una moneta d’oro da un dollaro che, per salvarla dalla requisizione di stato, lei ingoia ed espelle regolarmente. Disperata, la giovane lo avvelena. Quando la madre rientra in casa e trova il cadavere, decide di farlo sparire immergendolo in un bagno d’acido. L’operazione andrà a buon fine e la sopraggiunta morte di Stalin aprirà la via a un’epoca di minor terrore. Tutto questo è raccontato in un flash back rivissuto dalla protagonista mentre aspetta all’aeroporto l’arrivo dagli Stati Uniti del figlio nato da quell’atto unico e drammatico. Un uomo che assomiglia come una goccia d’acqua al padre, ma che è omosessuale. E’ un preciso ritratto di un’epoca d’indicibile terrore, in cui nessuno era sicuro di ritornare a casa la sera o di risvegliarsi nel proprio letto la mattina. I toni sono misurati e precisi, le interpretazioni perfette: oltre la già citata Krystyna Janda da segnalare la protagonista Agata Bure e la nonna costretta a letto, Anna Polony. In poche parole un film alla maniera, direbbero i francesi ,del cinèma de papa, ma di grande peso politico e morale.
La casa buia
La casa buia
Dom zły (La casa buia) di Wojtek Smarzowski è un'opera bella e complessa. Siamo nel 1982, l’anno seguente al colpo di stato del generale Wojciech Jaruzelski, ma i fatti raccontati rimandano a un episodio accaduto quattro anni prima, nel 1978. La storia ruota attorno alla ricostruzione di un triplice omicidio, avvenuto in una sperduta casa in campagna ove madre e figlio sono stati uccisi a colpi d’ascia, mentre il padre e marito si è impiccato. E’ accusato dei due delitti uno specialista in allevamento d’animali, capitato per caso in quella dimora, il quale ha scoperto, nel corso di una notte a forte tasso alcolico, che vi si fabbrica clandestinamente vodka e proposto ai proprietari di formare una società per allargare il raggio del contrabbando. I due hanno finto di acconsentire poi hanno ucciso il figlio per addossare la colpa al nuovo venuto e rubargli i denari che teneva in valigia. Le cose sono andate diversamente e lui si è salvato, anche se ora è accusato di due omicidi. Sembrerebbe un film noir di tipo tradizionale sennonché l’andamento della procedura giuridica, come accade nel primo film di Theo Angelopoulos Ricostruzione di un delitto (Anaparastasi, 1970), fa emergere dal caso giudiziario l’intera società. Nella storia c’è di tutto: poliziotti corrotti, agenti della squadra politica disposti ad ogni bassezza pur di asservire le loro vittime, alcol che scorre a fiumi come unico antidoto a una società invivibile, bambini che nascono - evidente metafora della nuova società propagandata dalla dittatura militare - nel fango, nel dolore e nella povertà. Né mancano corruzione violenza, così diffuse che, quando il curato del villaggio consegna al commissario che guida la ricostruzione, un dossier con le prove delle ruberie dei politici locali, questi se ne serve per controbattere il membro della polizia politica che tenta di ricattarlo e mettere in salvo la sua carriera. Un verminaio immondo che, forse, rappresenta anche parte della società di oggi, ma che sicuramente bolla quella di ieri. Un film di non facile assimilazione, ricco com’è di simboli e momenti volutamente ambigui, ma che cresce con il passare del tempo e l’approfondirsi della memoria.

Neve bianca e russo rosso
Neve bianca e russo rosso
Xawery Żuławski, figlio del più famoso Andrzej, ha tratto Wojna Polsko-Ruska (Neve bianca e russo rosso) dal libro di debutto dell'allora diciannovenne Dorota Maslowska, pubblicato nel 2002, e diventato subito un punto fermo della controcultura urbana polacca. Per quanto riguarda il titolo da notare che esso contiene almeno due possibili richiami sia alla protagonista della fiaba dei fratelli Grimm, sia ai colori della bandiera polacca che sono, appunto, il bianco e il rosso, anche se il primo riferimento che viene in mente è alla cocaina, detta anche neve bianca. Sull'onda dell’inglese Trainspottin, diretto nel 1996 da Danny Boyle sulla base dell’omonimo libro dello scrittore scozzese Irvine Welsh (1958) pubblicato nel 1993, anche questo testo è formato da tante sequenze separate e debitamente allucinate, tese a dimostrare sia le velleità sia la rabbia di un protagonista in permanente eccitazione da cocaina. E’ un tipo di cinema che mira a trasferire in immagini le visioni da droghe e la rivolta anarchico - ribellista di molti giovani che non vedono davanti a se alcuna prospettiva, né sociale né esistenziale. Sono opere che non richiedono di essere capite razionalmente quanto vissute con gli occhi, gustate nelle immagini senza chiedere spiegazioni logiche o coerenza narrativa. Nel caso specifico l’alternarsi di sequenze, non prive di elementi disgustosi a esibizioni (sognate?) di superpotenza fisica, non approda a nulla di veramente originale. Ricalca piuttosto modelli già visti e, per buona parte usurati.
Il Generale Nil
Il Generale Nil
Il generale August Fieldorf, detto Nil, ha comandato il Kedyw (Comando dell’armata di sabotaggio interno) incaricato di condurre la guerra partigiana in Polonia, segnatamente a Varsavia, durante l‘occupazione nazista nel corso della seconda guerra mondiale (1949 - 1945). Divenne famoso per alcune azioni coraggiose e spericolate, come l’uccisione di uno dei comandanti delle SS in città. L’esercito ai suoi ordini era fedele al governo polacco in esilio a Londra per cui, quando il paese fu invaso dall’Armata Rossa e assegnato all’aria d’influenza dell’Unione Sovietica secondo la spartizione fatta a Jalta (4 - 11 febbraio 1945), lui e i suoi uomini furono deportati per un paio d’anni in Siberia con l’accusa di essere nemici dell’URSS. Rientrati in patria, molti espatriarono, alcuni rientrarono nei ranghi, mettendosi al servizio del nuovo regime, Nil si mise da parte e non accettò né le offerte di collaborare, né gli inviti nei nostalgici della vecchia Polonia. Questo non lo mise al riparo dalle aggressioni staliniane: imprigionato, torturato, sottoposto a un processo farsa, fu impiccato all’inizio di febbraio del 1953, poche settimane prima della morte di Stalin. Ryszard Bugajski è partito dalla biografia di questo militare, riabilitato solo né 1989 e i cui persecutori non sono mai stati sottoposti a giudizio, per completare la trilogia iniziata nel 1981 con Przesluchanie (Interrogatorio) e proseguita, nel 2006, con il film per la televisione Smierc rotmistrza Pileckiego (La morte del capitano di cavalleria Pilecki) e oora conclusa con Generał Nil (Il Generale Nil). Anche la nuova fatica ha un taglio molto televisivo sia nelle immagini sia nell’andamento, e assume i toni della classica biografia di un martire cui si oppongono feroci aguzzini. E’ un tipo d’approccio che non consente sfumature, né narrative, tantomeno stilistiche. Vi si ritrovano molti stilemi del cinema carcerario e momenti, le sequenze delle torture, di cui si farebbe volentieri a meno. Col che non s’intende sminuire neppure in misura marginale la necessità di denuncia dei crimini staliniani e del regime realsocialista, solo rilevare che questo tipo d’approccio finisce col rendere meno efficace e persuasiva la stessa operazione di denuncia, marcando una sorte di autogol nei confronti di chi ha immaginato e condotto in porto l‘intera operazione.

Libanon
Liban
Concorso principale
Rana d’oro: Lebanon (Libano); direzione della fotografia: Giora Bejach; regia: Samuel Maoz.
Rana d’Argento: Dom zły (La casa scura); direttore della fotografia: Krzysztof Ptak; regia: Wojtek Smarzowski.
Rana di bronzo: Rewers (Rovescio); direttore della fotografia: Marcin Koszałka; regia: Borys Lankosz.
Concorso film polacchi
Miglior film: Wojna Polsko-Ruska (Neve Bianca, russo rosso); direttore della fotografia: Marian Prokop; regia: Xawery Żuławski.
Concorsi studenti
Girino d’oro: Brzydkie słowa (Parolacce); direttore della fotografia: Weronika Bilska; regia: Marcin Maziarzewski.
Girino d’argento: Przez szybę (Attraverso il vetro); direttore della fotografia: Jakub Czerwiński; regia: Igor Chojma.
Girino di bronzo: Napszúrús (Colpo di sole); direttore della fotografia: Maly Róbert; regia: Horváth Lili.
Premio Panavision
United We Stand (Uniti staremo in piedi); direttore della fotografia: Arsen Sarkisiants; regia: Alejandro Pedregal.
Menzione speciale: Pami michomor (La signora fungo); direttore della fotografia: Paweł Tarasiewicz; regia: Paweł Tarasiewicz.
Premio dell’associazione dei cineasti polacchi
Brzydkie słowa (Parolacce); direttore della fotografia: Weronika Bilska; regia: Marcin Maziarzewski.
Concorso documentari narrativi
Rana d’oro: Hagilgul (Il bambino sicuro); direttore della fotografia: Yaron Orbach; regia: Nati Baratz.
Premio canale Discovery centro Europa
The Two Horses of Genghis Khan (Le due case di Genghis Khan); direttore della fotografia: Martijn van Broekhuizen; regia: Bayambasuren Davaa.
Menzione speciale: Slepé lásky (Amori ciechi); direttore della fotografia: Juraj Chlpík; regia: Juraj Lehotský.
Concorso documentari brevi
Rana d’oro: Salt (Sale); direttore della fotografia: Murray Fredericks; regia: Michael Angus, Murray Fredericks.
Menzione speciale: Nyarma; direttore della fotografia: Alexandr Filippov; regia: Edgar Bartenev.
Premio Discovery Centro Europa: Poste Restante (Fermo posta); direttore della fotografia: Jacek Petrycki; regia: Marcel Ƚoziński.
Concorso video musicali
Miglior video: The Hickey Underworld “Blonde Fire”, direzione della fotografia: Nicolas Karakatsanis, regia: Joe Vanhoutteghem.
Migliore fotografia per un video musicale: Depeche Mode “Wrong”; direttore della fotografia: Shawn Kim; regia: Patrik Daughters.