Festival Internazionale del Film di Cannes 2018 - Pagina 6

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2018
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Le figlie del soleIl fenomeno delle soldatesse curde che si sono battute, dando un contributo importante, accanto agli uomini per sconfiggere ISIS, è uno dei fatti di rilievo delle recenti tragedie mediorientali. Eva Husson non rende giustizia a queste donne con un film brutto e sbagliato. Les Filles du Soleil (Le figlie del sole) è mal costruito perché gronda falsa propaganda e sembra uno di quelle pellicole americane arrivate sul nostro mercato all’inizio degli anni cinquanta, storie in cui i buoni erano tutti da una parte e dove ad ogni raffica di mitra cadevano decine di giapponesi, razzisticamente definiti musi gialli o, più tardi all’epoca della guerra di Corea (1950 -1953), a morire erano altrettanti combattenti nord coreani. Un testo anche sbagliato in quanto sorvola sui molti problemi che queste combattenti hanno dovuto affrontare all’interno delle loro forze armate per affermarsi in un universo totalmente maschile.  La regista pensa di cavarsela introducendo nel film una corrispondente di guerra che ha perso un occhio e che qui si schiera a fianco delle combattenti regalando agli spettatori un pistolotto finale fasullo quanto retorico. In poche parole un film di pessima propaganda che non aiuta minimamente a capire la complessità di uno scontro che non è solo fra estremisti religiosi e popolazione locale, ma, e soprattutto, tra visioni diverse dell’Islam.
three-faces-2018-001-woman-inside-car-and-girl-ORIGINALPer fortuna ci siamo riconciliati con il cinema attraverso 3 Faces (3 volti) dell’iraniano Jafar Panahi, un cineasta che non può lasciare il paese in quanto condannato a 6 anni per motivi politici con l’interdizione a realizzare film per altri 20 anni. Nonostante questa pesante sentenza è riuscito a filmare in maniera semiclandestina This Is Not a Film (Questo non è un film, 2011), Closed Curtain (Tende chiuse, 2013) e Taxi Teheran (2015), titoli che hanno ricevuto riconoscimenti a Berlino, Cannes e Venezia. Questa sua ultima fatica sembra realizzata in modo più diretto, quasi che il nuovo clima che si respira nel paese abbia contagiato anche il suo lavoro. Un regista, Jafar Panahi stesso, e una star della televisione arrivano in un piccolo villaggio di montagna ove si parla turco. Sono sulle tracce di una ragazza che ha annunciato di volersi suicidare se il padre non le permetterà di frequentare la scuola di cinema. Il contrasto fra i due cittadini e i paesani non potrebbe essere più violento. Gli stranieri dapprima sono accolti con entusiasmo, ma non tardano ad entrare in conflitto con usi e mentalità loro estranei. A dominare sono le credenze più arcaiche e i rituali legati a una vita che sembra ferma al Medio Evo. Alla fine riusciranno a partire portando con loro la ragazzina che vuole fare cinema, ma dovranno superare non pochi ostacoli alcuni dei quali, ad esempio la promessa della sepoltura presso l’università del prepuzio di un giovane da poco circonciso onde facilitare la  carriera di medico, rientrano in pieno nei rituali semi magici in auge nel piccolo borgo. Con questo film il regista ritrova la verve e l’inventiva che ne hanno fatto uno dei maggiori cineasti iraniani e conferma una genialità che le angherie del regime non sono riuscite a sopire.