Festival Internazionale del Film di Cannes 2018 - Pagina 4

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Festival Internazionale del Film di Cannes 2018
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2760065.jpg-c 215 290 x-f jpg-q x-xxyxxPlaire, aimer et courire vite (Mi piace e funziona subito, ma il titolo per il mercato internazionale sarà Sorry Angel: Mi dispiace Angelo) di Christophe Honoré è il classico film francese pieno di lunghi discorsi e chiacchiere para filosofiche. Ambientato all’inizio degli anni novanta in un momento in cui l’AIDS sta mietendo le prime vittime ed è considerato una malattia quasi sconosciuta e inguaribile, racconta gli amori e i triboli di uno scrittore omosessuale contagiato dal male che assiste alla morte di amici e amanti sino a preferire il suicidio alla lunga agonia imposta dalla malattia. Longo due ore e un quarto costellato di incontri occasionali fra gay, riflessioni più o meno profonde sul senso della vita, discussioni sull’arte e a citazioni dirette del drammaturgo Bernard-Marie Koltès (1948 – 1989) e del cineasta François Truffaut (1932 – 1984) di cui il regista ci mostra le tombe in una sequenza ambientata nel cimitero di Montmartre. Una citazione che rimanda alla solidarietà omosessuale, lo scrittore, e alla visione cinematografica dei due artisti. Questo dovrebbe già far comprendere al lettore il livello, molto intellettualistico, del film e l’intenzione del regista di fare sfoggio di cultura, omosessuale o meno. Lungi da noi il negare la profondità della tragedia che ha colpito la comunità gay, in particolare quella francese, a lasciare perplessi è lo sfoggio di riflessioni colte o pseudo-colte a cui è ridotto un fenomeno terribile che non ha avuto solo aspetti culturali, ma profonde ragioni politiche e sociali come ha testimoniato un altro film, 120 Battement par Minute (120 battiti al minuto) di Robin Campillo, visto qua lo scorso anno e distribuito anche in Italia.
Guerra FreddaAssai più interessante, per quanto riguarda il rapporto fra cultura e società, è stato invece Zimna wojna (Guerra fredda) del polacco Pawel Pawlikowski di cui abbiamo molto apprezzato, nel 2013, Ida. Questa volta al centro del discorso c’è una coppia di musicisti che passano dalle celebrazioni staliniste della fine degli anni quaranta e dei primi cinquanta, alla fuga, in tempi diversi, in occidente. Lui si muove per primo e approda a Parigi ove sopravvive animando un complesso jazz che suona in locali fumosi e affollatissimi. Lei lo raggiunge all’inizio degli negli anni sessanta grazie a un matrimonio compiacente con un italiano. Vivono assieme una breve stagione d’amore, ma mal si adattano ai ritmi e alle convenzioni della vita occidentale. Lei ritorna in patria ove, grazie al clima politico parzialmente mutato, prosegue la carriera di cantante, anche se con poche soddisfazioni e molti condizionamenti. Lui, incapace di rinunciare all’amore, si riconsegna alle autorità polacche, è condannato a molti anni di prigione e rinchiuso in un lager. La cantante riesce a farlo liberare, ma per entrambi la vita è impossibile per cui l’unica soluzione è il suicidio in una chiesa di campagna diruta. Il film è girato in bianco e nero, come il precedente, e questo aggrava il senso di malinconia e tristezza che segnano quegli anni nei paesi dell’est Europa. La recitazione dei due attori principali è davvero ai massimi livelli a conferma delle enormi risorse artistiche di cui dispone questa cinematografia.