28° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier - Pagina 4

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28° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier
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Il documento deve essere blu
Hirtia ve fi albastra (Il documento deve essere blu) di Radu Muntean, già in concorso al Festival di Locarno, racconta in flash back la morte di un soldato che si unisce ai rivoltosi nei giorni del gran caos ed è ucciso perché scambiato per uno dei sostenitori del regime. Il film ha il pregio di fornire un quadro variegato e approfondito del gran caos seguito alla caduta del tiranno, i salti della quaglia fatti da molti, l’incapacità dei rivoltosi a dare un senso immediato e preciso alle loro scelte. Un film interessante più che bello.
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Tempi e venti
Beş vakīt (letteralmente: Cinque tempi, ma il titolo internazionale è Tempi e venti), è la quarta opera del turco Reha Erdem. L’ambientazione è quella di un piccolo villaggio collinare nel nord dell’Egeo e il film è cadenzato in cinque parti come i momenti del giorno (alba, mattino, mezzogiorno, pomeriggio, sera). Tanti quante le chiamate alla preghiera che il fedele osservante deve rispettare durante il giorno. In questo caso lo scorrere del tempo diventa sinonimo del fluire della vita, dell’alternarsi di gioie e dolori, speranze e delusioni, ingiustizie e risarcimenti. Il tutto come una sorta di grande, maestoso, lento scenario che ruota attorno a tre ragazzini, due studenti e un pastorello, alle loro prime pulsioni amorose e al confronto con le difficoltà di un’esistenza ferma nel tempo. Una sinfonia cadenzata dalla scoperta della vita che nasce e della morte che cancella ogni cosa. E’ un cinema dal ritmo lento, in cui nulla sembra accadere se non le piccole cose di tutti i giorni, ma che, in realtà, pullula d’emozioni e sentimenti.
La strada è la stessa aperta dalla nuova generazione di cineasti turchi, quella che ha il maggiore esponente in Nuri Bilge Ceylan (Uzak - Distante, 2002 - e Mayis sikintisi - Le nuvole di maggio, 1999 -). E' un clima culturale che, in questo caso, si avvicina molto a quello che segna le opere d’Ermanno Olmi (L’albero degli zoccoli, 1978) o quelle di Franco Diavoli (Il pianeta azzurro, 1981). Un modo di raccontare che riflette sulla normalità della vita per distillarne i succhi più profondi.