35° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier - Pagina 4

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35° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier
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Ladder to DamascusSoullam ila Dimashk (Una scala a Damasco) del siriano Mohamed Melas è il classico film - metafora di una complessa situazione politica e sociale. In una palazzetto della capitale siriana si ritrovano vari artisti e intellettuali, ciascuno dei quali affittuario di una stanza. C’è l’attrice agli esordi, arrivata nella capitale per frequentare la Scuola d’arte drammatica, la scultrice di opere fortemente simboliche (una figura dietro le sbarre che stacca la testa dal corpo e la protende oltre la recinzione), il giovane regista alla prime armi, lo scrittore perseguitato dalla polizia. Un universo che ben incarna le forze vive, compresse e umiliate dal lungo regime di Bashar al-Asad e, prima di lui, dal padre Ḥāfiẓ al-Asad. Un dittatura legata al partito arabo socialista Baʿth e al gruppo religioso alawita, una variante del ceppo mussulmano sciita che controlla un paese in larga maggioranza sunnita. Questo regime ferocemente oppressivo è ora coinvolto in una guerra intestina su cui hanno voce grandi potenze come Russia, Francia, Stati Uniti, Arabia Saudita ed Iran. In questo clima intellettuali e artisti sono sempre stati perseguitati per il solo fatto di voler cantare al di fuori del coro, vale a dire rifiutarsi di magnificare le gesta dei potenti. Non meraviglia dunque che il film si concluda plasticamente con un inno alla libertà lanciato da una sorta di base umana che regge una scala posta sul tetto della casa e su cui si è arrampicato uno degli inquilini. Film simbolico, si è detto, generoso e grezzo quanto è lecito attendersi da un’opera più importante per i temi che agita che non per la maniera in cui li organizza.


L arbitroLa sezione competitiva comprendeva anche il film italiano L’arbitro di Paolo Zucca che ha inaugurato le Giornate degli autori di Venezia ed è entrato anche nel circuito commerciale. Riportiamo il giudizio che ne ha dato il nostro Furio Fossati nella sua recensione all’uscita del film. Il regista per la sua opera prima è andato sul sicuro sviluppando l’omonimo cortometraggio, vincitore nel 2009 del David di Donatello e del Premio Speciale della Giuria a Clermont-Ferrand, il più importante festival del cortometraggio in Europa. Bianco e nero in ambedue i casi, forse più interessante il corto in cui un budget inesistente aveva costretto il quarantunenne autore a inventarsi inquadrature più originali per ovviare alla mancanza di location e per l’utilizzo di apparecchiature di ripresa meno sofisticate di quelle ora a sua disposizione. Una per tutte, quando i tifosi inferociti guardano verso l’obiettivo riempiendo coi loro volti furibondi scena che nel film attuale è sostituita da una più semplice e meno efficace inquadratura del gruppo sullo sfondo del campo di calcio. La scelta di mantenere come direttore di fotografia Patrizio Patrizi ha comunque permesso un ulteriore coesione stilistica e narrativa tra i due lavori. Partiamo proprio dalle immagini, in un espressivo bianco e nero basato su dialoghi ed inquadrature che ricordano nello sviluppo visivo il Cinico TV di Ciprì e Maresco con un uso deformante delle immagini, ma usate unicamente per disegnare un approfondito e credibile ritratto di una Sardegna che viene raccontata come un’isola dura, selvaggia e piena di segreti difficile da penetrare. Vi è la scelta di considerare il lungometraggio come un tutt’uno col corto di cui il film è un prequel di quanto visto nel corto. Alcune scene sono prese pari pari, come il dialogo tra l’arbitro ed il presidente da cui può dipendere il suo futuro, la partita che deciderà l’esito del campionato, la festa nel paese coi sapori della sagra: scelte meditate di Zucca per dare unione ai suoi due lavori. Il titolo potrebbe ingannare poiché, pur essendo uno dei personaggi principali, l’arbitro è solo parte di una storia fatta di faide, di violenza, di sopraffazione sociale e morale. E’ importante il continuo scontro tra il proprietario terriero, giocatore e sponsor del Montecrasto, con i suoi contadini trattati come servi che giocano nel Atletico Pabarile; la squadra del ricco latifondista è sempre tra le prime della terza categoria, l’altra da sempre ultima. Questo ironizzare sul mondo del calcio, cruccio e delizia di milioni di tifosi, è particolarmente riuscita e vuole dimostrare, riuscendovi, che non esiste luogo o categoria in cui questa malattia non crei dissapori anche drammatici. Paolo Zucca, coadiuvato dalla co-sceneggiatrice Barbara Alberti, all’interno della squadra degli eterni perdenti ha inserito le maggiori varianti e l’appoggio per lo sviluppo di una love story inesistente nel corto. L’allenatore non vedente, interpretato con grottesca bravura da Benito Urgu, con un’umanità che ha il suo coronamento nella scena finale e mai raccontato con pietismo, è il personaggio che più ci è piaciuto per l’illogicità apparente ma per la credibilità di situazioni all’estremo che nei campionati dilettantistici potrebbero accadere. A lui la sceneggiatura ha regalato alcune delle scene più belle, quali ad esempio le lezioni di tattica. Questo attore è un artista a 360 gradi che nella vita ha fatto proprio tutto, dal cantante di buon successo al cabarettista, dall’intrattenitore in feste di piazza al perfetto complice di Chiambretti in Prove tecniche di trasmissione, dall’attore al tuttofare nel Circo Armando dove ha trascorso vari anni della sua vita dopo essere scappato di casa a diciotto anni; lui considera questa esperienza come la sua università dove ha imparato tutto sulla comicità. Jacopo Cullin, attore qui alla sua prima prova importante, vive in maniera perfetta il suo ruolo di emarginato andato lontano assieme alla famiglia sempre irrisa dai compaesani e tornato con le pive nel sacco. Per lui tutto cambia in meglio perché sa giocare al calcio e questo lo trasforma in un eroe. Qui il regista avvia una vera denuncia sul mondo del calcio o genericamente dello sport e dello spettacolo in cui tutto è possibile. Franco Fais interpreta sia nel corto che nel film lo stesso personaggio, il numero sei che perpetra la tragica faida familiare durante gli ultimi minuti della partita, sul campo, davanti a tutti. Mimo di grande bravura, col suo sguardo, duro e determinato, non ha bisogno di parole per essere inteso. Le storie sono tre: il tifo per le due squadre di terza categoria, la faida tra giocatori che porta alla morte, un principe del fischietto che non si accorge di essersi fatto corrompere e perde tutto. Stefano Accorsi, Geppi Cacciari e Marco Messeri sono un po’ deludenti, bravo come sempre Francesco Pannofino nel ruolo di un arbitro corrotto.
GirafadaLa passerella delle opere in concorso è stata chiusa da Girafada (come dire l’intifada della giraffa) del palestinese Rani Massalah. E’ un film ben fatto, ironico e fantastico in cui s’immagina che - nella zona sottoposta all’Autorità Palestinese, territorio che gli israeliani hanno trasformato in qualche cosa di simile a un ghetto circondato da alte mura – ci sia uno zoo che ospita anche una coppia di giraffe. Quando il maschio muore sotto le bombe degli aerei con la stella di Davide, la femmina entra in crisi e smette di mangiare anche se attende un cucciolo. Diventa allora necessario procurarle un compagno che l’aiuti a superare la solitudine. Si occupano di questo il veterinario che cura gli animali fra mille difficoltà, il figlio orfano che stravede per questi mammiferi, e una volenterosa fotografa francese. La missione sarà portata a termine rubando un maschio di giraffa da uno zoo israeliano e facendolo arrivare, attraverso mille ostacoli, in quello palestinese. Poco importa se il generoso veterinario finirà in prigione, ad attenderlo rimarranno la bella fotografa e il figlio. Nel film chi fa la figura peggiore, non poteva essere altrimenti, sono i militari di Tel Aviv e i coloni mandati a impiantare fattorie nei territori ex - palestinesi. Come capitava nei film di propaganda americana durante la seconda guerra mondiale, sono tutti brutti, violenti e stupidi. Questa prevedibile presa di posizione non compromette del tutto un racconto spiritoso, dolce e divertente. Come dire il classico film per famiglie da destinarsi alle programmazioni natalizie.

U.R.