35° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier - Pagina 3

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35° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier
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Cest eux les chiensC’est eux les chiens (I cani sono loro) del marocchino Hicham Lasri è un film politicamente forte, ma espressivamente non del tutto convincente. Majhoud è stato imprigionato nel 1981 con l’accusa di aver (forse) partecipato alle grandi proteste popolari innescate dall’aumento vertiginoso - oltre il cinquanta per cento – dei prezzi di farina, olio e burro, generi alimentari fondamentali per la cucina araba. A quanto veniamo a sapere lui era tutt’altro che un rivoluzionario, anzi preferiva la bottiglia e le donne facili a qualsiasi forma d’impegno politico. In qualsiasi modo siano andate le cose, in galera c’è rimasto sino ad oggi, magari passando anche per ospedali psichiatrici ove ha subito devastanti elettroshock. Quando lo incontriamo vaga sconclusionatamente per le strade e s’imbatte in una troupe televisiva i cui responsabili, mancando argomenti più stimolanti, decidono di seguire quello strano personaggio che non ricorda neppure il suo nome, ma solo il numero di matricola ma è caparbiamente determinato a ritrovare moglie e figlio. A quest’ultimo vuole portare un regalo: una rotella d’equilibrio per una biciclettina che gli aveva regalato da bambino e questo senza rendersi conto che il figlio è ormai un quarantenne. Inoltre la famiglia ha preso tutt’altra strada dopo che le autorità hanno inviato un certificato di morte del detenuto, cosa che sembra rientrasse nelle abitudini di repressori propensi a far sparire dalla scena persone che ritenevano scomode. Il film è tutto in questo lunga ricerca, con telecamera al seguito, di un’identità. Un tema non privo d’interesse, che il regista compromette in parte con un andamento nervoso e ondivagante delle immagini, sino al limite del fastidio fisico. Più che ad un racconto correttamente organizzato e politicamente motivato sembra di assistere a riprese effettuate su un qualche corpo in balia delle onde. In poche parole ottime intenzioni, esecuzione discutibile.


Rang and tattesSfondo decisamente sociale e forte denuncia politica anche quelli scelti dall’egiziano Ahmad Abdalla per Farsh w ghatta (Stracci e brandelli). Il film parla parla, non solo metaforicamente, degli stracci che marcano il quartiere della spazzatura de Il Cairo, mentre i brandelli sono quelli faticosamente messi assieme da un evaso dal carcere che ha la ventura di assistere all’uccisione di un militante copto. Nei primi giorni della protesta popolare che portò alla caduta di Hosni Mubarak ci fu l’apertura, apparentemente immotivata e caotica, delle carceri. In questo modo ritornarono in circolazione non solo i detenuti politici, ma anche migliaia di criminali comuni. L’ex presidente Mohamed Morsi, ora sotto processo, è stato accusato per aver dato il via a quella fuga di massa, su suggerimento del movimento estremista Hamas, con lo scopo di procurarsi manovalanza ben disposta a servire le mire dei Fratelli Mussulmani. Questa è l’accusa che gli è stata rivolta dai militari, anche se non tutti gli aspetti della vicenda appaiono sufficientemente illuminati. In ogni caso ciò che ne derivò fu il via libera a migliaia di violenti che si impadronirono di non poche istituzioni pubbliche e costrinsero gli abitanti di numerosi quartieri alla creazione di gruppi autodifesa. A pagare il prezzo delle violenze furono soprattutto i copti il cui quartiere, in buona parte adibito a recupero dell’immondizia, fu devastato a più riprese con centinaia di morti e feriti. Uno degli evasi assiste casualmente alla morte di un militante copto che ha registrato con un telefonino le fasi più drammatiche delle violenze e il film segue l’odissea di questo poveraccio che ha deciso di consegnare una lettera ai familiari del morto e far pervenire ai mezzi d’informazione il video girato dal militante. In quelle immagini ci sono le prove delle responsabilità di chi ha aperto strumentalmente le porte delle carceri. Il breve filmato arriverà a destinazione, purtroppo nello stesso momento in cui squadracce criminali, appoggiate da polizia ed esercito, compiranno l’ennesimo massacro uccidendo donne e bambini. Fra i morti ci sarà anche il giovane che aveva generosamente tentato di far conoscere la mondo la verità. Il film, costruito come un reportage semi amatoriale, ha una forte valenza politica, ben superiore alla sua consistenza estetica, ma sarebbe ingenuo e sbagliato sperare nel contrario in momenti politicamente caldi come quelli che ha attraversato e sta attraversando il paese del Nilo.

Les impecablesMolto interessante anche Kusursuzlar (Le impeccabili) del turco Ramin Matin. Il progetto del film è stato fra i vincitori delle Borse d’Aiuto 2010 offerte dal Festival ad autori che si accingevano a dirigere film, ma non avevano ancora trovato le risorse necessarie. La storia si svolge in una località balneare del sud della Turchia dove due sorelle vanno a passare una vacanza nella casa ereditata dalla madre. Lentamente, momento dopo momento scopriamo i contrastanti sentimenti che attraversano le due donne e danno vita a un grumo di odio e amore, complicità e avversione, competitività e solidarietà. Tutto nasce, ma sarà rivelato solo nell’ultima sequenza, da rancori passati – una delle due è andata a vivere per lungo tempo negli Stati Uniti e non è ritornata neppure per il funerale della madre – ma e soprattutto per ciò che è capitato all’altra non molto tempo prima di quello della vacanza. Aggredita da un uomo che l’ha ferita e violentata è stata salvata dalla sorella che ha pugnalato a morte lo stupratore. Questo terribile ricordo ha innestato nelle due un groviglio di sentimenti contrastanti che ora sfociano in decine di piccoli episodi come la scelta dell’una di darsi ad uno sconosciuto in una cabina balneare senza proferire parola e trasformando l’incontro sessuale in qualche cosa di molto simile a uno scontro fisico. O la scelta dell’altra di mettere in imbarazzo la sorella facendole credere che il vicino di casa, un prestante proprietario di un bar, ha un debole per lei, mentre si tratta di un giovane già felicemente accasato. Questo quadro complesso e, a tratti, contradditorio è teso a far emergere, sono parole del regista, il quadro della condizione della donna in Turchia. Lodevole intenzione colta solo parzialmente, nel senso che il groviglio delle psicologie è talmente forte e focalizzato da relegare in secondo piano qualsiasi altro elemento, anche quelli di maggiori peso simbolico. In definitiva, un film interessante e originale ma che non coglie tutti gli aspetti che erano nelle intenzioni del suo autore.
U.R.