29 Ottobre 2013
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35° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier |
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Il cinema greco di qualità si sta muovendo, con sempre maggior rigore, sul terreno del minimalismo narrativo. Lo scorso anno, ad esempio, abbiamo visto e ammirato, To agori to fagito tou pouliou (Il ragazzo che mangiava mangime per uccelli), opera prima di Ektoras Lygizos, quest’anno è la volta di Penny Panayotopoulou che, in September (Settembre), racconta la storia di Anna, una donna sola che lavora all’Ikea e che ha come unico compagno di vita un cane a cui dedica attenzioni maggiori di quelli che riserva agli esseri umani. Quando l’animale muore, lei piomba in un lutto insuperabile che tenta di arginale con l’affetto, corrisposto in modo parziale, verso una vicina di casa nel cui giardino ha sepolto la carcassa del quadrupede. In realtà le invidia la condizione familiare della donna, la tallona in modo oppressivo e, quando il marito dell’amica la caccia di casa, si ritrova ancor più sola e disperata di prima. Per buona parte del film la regista semina indizi che sembrano portare a una passione lesbica, ma li contraddice utilmente approfondendo sempre più la psicologia e la solitudine della protagonista. Una sola nota parzialmente stonata: un finale in cui la donna sembra ritrovare la gioia di vivere dall’incontro con un cane randagio pronto a prendere il posto di quello defunto. Scarto parziale, in quanto il fatto svela per intero tendenze e disperazione umana della protagonista che cerca solo un briciolo di calore. Opere come questa richiedono interpreti di grande capacità e Kora Karvouni, con il suo fisico filiforme e lo sguardo intenso riesce a dare alla storia una complessità e uno spessore davvero straordinari. Un film apparentemente flebile, ma che approfondisce l’abisso psicologico in cui vive una donna che non ha più alcun rapporto con l’umanità che la circonda.
Only in New York. Peace after Mariage (Solo a New Work. Pace dopo il matrimonio) dell’attore e regista d’origine giordana Ghazi Albuliwi è una piacevole commedia basata sul turbolento incontro fra un ragazzo palestinese e una giovane israeliana. Lei cerca un marito con cui contrarre un matrimonio del tutto formale, indispensabile ad ottenere la cittadinanza american. Lui deve fare i conti con un’enorme sessualità repressa (i suoi compagni abituali sono le bambole gonfiabili e i film pornografici) e con l’insistenza dei genitori che voglio si sposi al più preso. Ovviamente fra i desideri di parenti e amici non è affatto compresa l’unione con una cittadina d’Israele. Nonostante queste difficoltà, non poche delle quali all’origine di situazioni decisamente comiche, i due finiranno per amarsi e mettersi assieme. E’ una piccola pace fra ebrei e arabi realizzata con molta più buona volontà che realismo. Il film rende omaggio a due persone diverse e coraggiose costruendo un universo di speranza che ha ben poche possibilità di essere realizzato realmente.
Lavaya Bazaharaim (Funerale a mezzogiorno) dell’israeliano Adam Sanderson mette al centro del discorso, ambientato in anni cinquanta non meglio precisati, una tragica solitudine femminile. Quella della giovane e gracile moglie di un corpulento meccanico a cui si è legata più per quieto vivere che per amore. Il rapporto con il marito, un uomo pratico sino a rasentare l’insensibilità, la lascia del tutto insoddisfatta, così quando le si presenta l’occasione di gettarsi fra le braccia di un bel militare di passaggio lei non esita un secondo. L’amplesso, spiato da un ragazzino suo vicino di casa che lei aveva in qualche misura acceso, ha un esito drammatico: l’adolescente fugge inorridito e deluso e muore cadendo in una caverna mal celata. Il funerale del morticino si celebrerà a mezzogiorno, ma già poche ore dopo la donna, armata di un paio di valige, si sta allontanando dal domicilio coniugale. Il film ritrae in modo realistico il panorama di un piccolo villaggio rurale dominato da pregiudizi e antipatie verso che vi arriva, tale è la protagonista del film, venendo dal di fuori della cerchia di conoscenze e parentele. E’ un bel testo su diffidenza e pregiudizi rurali che ha il solo difetto di non offrire alcuna motivazione all’ostilità di vicini e compaesani che vada oltre una generica diffidenza verso gli sconosciuti percepiti, in modo quasi automatico, come nemici. In questo senso la figura più interessante e, seppur parzialmente, motivata è quella del preside della scuola, uso trattare gli alunni come reclusi o militari che debbono obbedire a qualsiasi ordine e ai quali vanno impartite disposizioni a voce altissima. E’ questo un labile segno di un tema, quello sulla militarizzazione strisciante dello stato d’Israele, che in non poche occasioni ha superato i limiti della pur doverosa cautela che segna una nazione in permanente stato di guerra.
U.R.
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