34° Festival Cinéma Méditerranée di Montpellier - Pagina 3

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dietro la collinaIl cinema turco sta attraversando un momento di particolare felicità creativa, come conferma Tepenin ardi (Dietro la collina), opera prima del giovane, è nato nel 1974, Emin Alper. Un gruppo di persone s’incontrano in campagna per un banchetto a base di carne di capra. C’è il patriarca, proprietario della casa e del terreno circostante, il figlio che tenta ti convincerlo a vendere tutto e andare a vivere in città, i nipoti, un mezzadro, che cura terra e gregge, e sua moglie, debitamente relegata in cucina. Sembrerebbe un’allegra rimpatriata senonché aleggia sul gruppo l’inquietudine e la paura nei confronti di un gruppo di nomadi che vivono sull’altro versante della collina e che, a detta dei convitati, si sono macchiati di furti e aggressioni. Non vedremo mai, se non come siluette lontane, questi supporti invasori, ma la loro ipotetica presenza e alcuni incidenti – spiegabili in mille modi – indurranno il gruppo ad armarsi e a intraprendere una marchia verso lo scontro con questi misteriosi diversi. Bastano queste poche righe per rivelare come il film sviluppi una forte metafora dell’immigrazione e, più in generale del rapporto conflittuale far coloro che si ritengono normali e quanti vivono in mondi e adottato partiche di altro tipo. In altre parole siamo in presenza di un apologo sulla conflittualità fra immigrati e residenti e fra quanti praticano religioni o stili di vita differenti. Il film è segnato da una straordinaria maturità stilistica e affronta, in maniera apparentemente indiretta, temi e snodi di grande attualità. Lo fa con una narrazione lenta, costruita più sull’accumulo di dettagli che non su una sequenza di eventi. Fra le note di rilievo la presenza, saltuaria, ma incombente di un gruppo di militari, emblema sia del ruolo dominante svolto dall’esercito sulla vita politica turca, sia del perenne stato di conflitto armato fra soldati e militanti curdi. Davvero un bel film.

parataParada (La parata) del serbo Srdjan Dragojevic è una commedia drammatica che ruota attorno alla condizione degli omosessuali nei paesi nati dall’esplosione dell’ex Jugoslavia. A Belgrado si sta per organizzare il primo gay pride della storia del paese. L’annuncio scatena le ire d’ipernazionalisti e fascisti di vario tipo che iniziano a picchiare gli organizzatori, distruggere i loro uffici, minacciare chiunque li sostenga. In questo clima un gangster di mezza età, ex combattente delle più feroci milizie serbe, vuole sposare una ragazza che pretende un matrimonio organizzato da un famoso regista teatrale, notoriamente omosessuale, che convive con un veterinario grassoccio. Per soddisfare la fidanzata, l’ex miliziano accetta di organizzare il servizio di sicurezza per la manifestazione rosa. Per farlo mette assieme un gruppo di ex nemici – ustascia, estremisti islamici, cetnici - che si uniscono in un manipolo stile I magnifici sette  improbabile quanto fantasioso. Lo scontro con i giovani di destra sarà la causa delle morte del teatrante, ma l’anno successivo il corteo sarà ancor più numeroso, anche se le violenze diventeranno particolarmente feroci. L’idea di affrontare il nodo drammatico dell’omofobia in un paese preda a un sentire anti gay diffuso e violento, con toni da commedia non era male e l’opera raggiunge qualche risultato di buon rilievo. Ci sono gag e snodi narrativi sicuramente spassosi, anche se su tutto incombe una visione quasi caricaturale del terzo sesso. E’ vero che anche militanti ultranazionalisti e vecchi combattenti sono visti con uno sguardo tendenzialmente farsesco, ma si ha l’impressione che il regista non sia riuscito a sottrarsi del tutto alla peggiore rappresentazione stereotipa degli omosessuali. Nel complesso un film divertente, sferzante, ma non privo di manchevolezze.

sorreggini con le tue paroleFed Me With Your Words (Nutrimi con le tue parole) dello sloveno Martin Turk ruota attorno ai temi della solitudine e la ricerca di Cristo nell’animo di un giovane che pensa di aver ritrovato Gesù in un barbone italiano incontrato casualmente. Ne è certo in quanto il senzatetto scrive come il Messia e pronuncia frasi che sembrano tratte di peso dai Vangeli. Da notare che il giovane è un esperto di grafologia. Questa vicenda mistica è vissuta attraverso gli occhi di suo padre e suo fratello, giunti in Italia dalla Slovenia dopo che lui aveva cessato di dare segno di se. E’ un film misticheggiante, formalmente molto curato, sorretto da una buona fotografia e da uno stile decisamente tradizionale. E’ una di quelle opere che affrontano temi tanto specifici da raccoglie l’interesse, soprattutto, di chi ha sensibilità e familiarità con essi. Quest’opera, osservata con distacco, convince poco per lo spiritualismo un po’ semplicistico che l’attraversa. In conclusione è un prodotto ben confezionato, ma incapace di suscitare un generale coinvolgimento. Forse il primo titolo, fra quelli visti sinora, che suscita più delusione che adesione.

U.R.