Festival di Setubal 2011 - Pagina 5

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Festival di Setubal 2011
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Fra le molte sezioni che hanno composto il cartello del Festival, merita una particolare attenzione quella riservata alle opere prime in cui si sono visti alcuni titoli di valore più o meno alto, citiamone alcuni. Svinalängorna (Oltre) segna l’esordio alla regia dell’attrice svedese Pernilla August. La storia è un classico nella cultura e nel cinema nordici: la rabbia e i sensi di colpa in cui si dibattono i figli di genitori violenti e alcolizzati. Qui è il caso di Lena, una Noomi Rapace ben lontana dai manierismi della trilogia Millennium, cui annunciano le gravissime condizioni della madre. E’ l’occasione per un percorso indietro nel tempo con ricordi d’infanzia punteggiati di botte, appartamenti sfasciati, vomito ed escrementi seminati per casa da un padre, d’origine finlandese, in perenne stato alcolico. Non manca la morte per overdose del fratellino e il progressivo degrado della genitrice, anch’essa indulgente con la bottiglia. E’ un film robusto, ben costruito, a tratti commuovente che conferma le profonde distanze fra la cultura protestante e quella mediterranea. Loro hanno solo lo psichiatra, i cattolici hanno anche e principalmente la confessione, una differenza di non poco conto.
Ostavljeni Abbandonato) del bosniaco Adis Bakrac ritorna sui drammi legati alla guerra che ha portato alla dissoluzione della Iugoslavia, in particolare gli stupri etnici. La diciannovenne Amila subisce torture e violenza sessuali sino a quando partorisce, da sola e in una foresta, il piccolo Alen. Il bimbo è affidato a un istituto per ragazzi abbandonati e ora, tredicenne, è in lizza per essere adottato. Tuttavia lui recalcitra, perché gli hanno sempre raccontato che è figlio di un inglese e di una giornalista francese. Il suo sogno è andare a Parigi per ritrovare la madre, nel frattempo non disdegna di farsi complice di un commerciante che usa i piccoli ospiti dell’istituto per furti e rapine. L’arrivo di un nuovo direttore, aperto e umano, lo costringerà a guardare in faccia la realtà e a prendere atto di essere il prodotto di uno stupro di guerra. La storia non è particolarmente originale, ma il disegno dei personaggi funziona narrativamente bene, così come il qadro di una situazione segnata da ferrite non rimarginabili.

Rimaniamo in terra ex – iugoslava con Sedamdeset i dva dana (72 giorni) di Avô Djuradj, figlio del noto attore Rade Serbedzija. Il racconto parte da un fatto di cronaca: un paio di famiglie, imparentate fra loro, hanno vissuto per anni con la pensione americana concessa a un militare che aveva combattuto con gli alleati nel corso della seconda guerra mondiale. Per avere questo beneficio avevano coccolato una capricciosa vecchietta, madre del defunto. Quando la vegliarda muore, la sostituiscono con un’altra. Come si sarà capito siamo dalle parti, meglio dovremmo esserlo, della commedia macabra spruzzata d’irriverenza balcanica. L’uso del condizionale è imposto dalla totale incapacità del giovane regista di dominare e organizzare in qualche misura una materia che gli sfugge dalle mani a ogni piè sospinto. Ne emerge una commediaccia slabbrata, pasticciata, piena d’incongruenze, del tutto trascurabile.

Anche l’idea su cui si regge Girlfriend (Fidanzata) dell’americano Justin Lerner poteva dare vita a un’opera interessante. Un ragazzo affetto dalla sindrome di Down vive e lavora con la madre, quando questa muore lasciandogli un po’ di denaro, dà sfogo all’amore verso una ragazza – madre, sua vicina di casa. La storia finirà, forse, positivamente, ma non prima di aver percorso un calvario fatto di violenza da parte di altri, imbrogli della concupita e pasticci vari. L’uso del condizionale è legato alla frammentarietà con cui la regia conduce il discorso, spezzando non pochi fili logici e approdando a un pseudo lieto fine del tutto appiccicaticcio.