Festival di Salonicco 2005 - Pagina 3

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Festival di Salonicco 2005
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Glykia mnimi (Dolce memoria) di Kryakos Katzourokis è pieno di buone intenzioni, persino troppe. Irina ritorna in Grecia dopo una lunga assenza, per rivedere il fratellastro. Perde il terno e inizia per lei una vera e propria odissea: finisce in una strada solitaria di campagna, chiede un passaggio e la stuprano, l’abbandonano sanguinante nella neve e le rubano la valigia in cui trasportava un carico di droga, quale prezzo per pagarsi il viaggio. Riesce ad arrivare a stento ad Atene dove deve vedersela con quelli che aspettavano la merce, oltre a difficoltà familiari e via elencando. Troppa carne al fuoco che devia l’attenzione da quello che sembrava essere un possibile, interessante centro del discorso: il dramma dei molti che, a seguito dell’implosione dei paesi ex-socialisti, approdano in occidente, sottovalutandone i pericoli e senza alcuna vera difesa dalla voracità del capitalismo selvaggio. Il film è girato bene – il regista, qui al primo lungometraggio, ha vinto il gran premio al Festival del documentario di Salonicco, edizione 2003 – anche se la struttura narrativa appare confusa e, a tratti, slabbrata. In questi casi si suol dire: molte qualità potenziali, aspettiamo la prossima prova.
Se parliamo di I politon thavmaton (Pianeta Atene), di Dimitri Athanitis, è solo per citare un esempio della commedia leggera greca, dei suoi limiti e presunzioni narrative. Siamo nell’agosto del 2004 e varie storie s’intrecciano sullo sfondo delle Olimpiadi. Ci sono i due giovani giapponesi che hanno deciso di sposarsi in occasione del grande evento sportivo e scoprono che l’albergo prenotato non esiste e l’agenzia di viaggi a cui si sono affidati è scomparsa nel nulla, c’è la ragazza venuta da Mosca per guadagnare qualche dollaro prostituendosi, c’è la giornalista televisiva in crisi perché il suo compagno non vuole figli, l’atleta che cerca di primeggiare nonostante i molti problemi che lo affliggono, i turisti americani spaesati. Queste vicende sono cadenzate dallo svolgersi delle gare e si sfiorano, prima di approdare a soluzioni diverse. Il film è prevedibile nello sviluppo, stilisticamente banale e scorre senza lasciare memoria. Un modesto prodotto mercantile che scimmiotta altri testi già visti e migliori.
Il bilancio complessivo della manifestazione conferma un deciso spostamento d’interesse verso il commercio dei film, con molte tavole rotonde, incontri e discussioni dedicate alla produzione e alla distribuzione. L’ambizione è di trasformare una parte consistente del Festival in una sorta di mercato rivolto soprattutto ai paesi balcanici. L’idea potrebbe persino funzionare, ma non si comprende perché a pagarne il prezzo debba essere l’eccellente livello qualitativo raggiunto in passato da questa manifestazione. Ancora una volta la destra mediterranea mostra orecchie sensibilissime, quando sente il tintinnio dei quattrini, peccato che non è altrettanto attenta alla cultura intesa in senso pieno.