Festival di Setubal 2009

Stampa
PDF
Indice
Festival di Setubal 2009
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Conclusioni e premi
Tutte le pagine

sito ufficiale: http://www.festroia.pt/
Image
Il Festival Internazionale del Cinema di Setubal ha compiuto venticinque anni. Non pochi per una rassegna nata in un villaggio turistico posto sulla penisola sabbiosa di Troia, posta di fronte a questa cittadina portoghese. Siamo una quarantina di chilometri a sud di Lisbona, in una zona di confine con l’Allentejo, una delle regioni più povere e suggestive del paese. Qui un gruppo di intellettuali, capeggiati dal compianto Mario Ventura, ebbe l’idea di portare il cinema a forte impatto culturale in una parte del paese che quasi non aveva più cinematografi. L’esperimento funzionò anche se con lentezza e in mezzo a mille problemi, risolti grazie all’appoggio della municipalità. Così quest’anno, venuto a mancare il classico luogo di proiezione: un grande teatro in fase di completa ristrutturazione, ci si è dovuti adattare ad un tendone prefabbricato, posto nella piazza antistante la chiesa - convento del Gesù, vera meraviglia architettonica e giusto vanto del patrimonio artistico della città. La soluzione ha consentito di mantenere quasi del tutto inalterate le molte sezioni in cui si articola la manifestazione: concorso, opere prime, uomo e la natura, indipendenti americani, orizzonte cinematografico, documentari, cortometraggi, scuole di cinema,..
La banda dell'arcobaleno
La banda dell'arcobaleno
Per quanto riguarda la parte competitiva, riservata a film provenienti da cinematografie che producono meno di 31 titoli l’anno, le danze sono state aperte da Laskar pelangi (La banda dell’arcobaleno) dell’indonesiano Riri Riza, un'opera semplice, non priva di ambiguità, ma dotata di una buona dose d’interesse se non altro per il fatto di provenire da una cinematografia da noi quasi sconosciuta. La storia, ambientata nel 1974, prende le mosse dal libro omonimo di Andrea Hirata e racconta un anno scolastico in una poverissima scuola di campagna in cui, grazie alla costanza di un anziano insegnate e di una giovane docente, nasce una covata di giovani promettenti, uno dei quali arriverà a vincere una borsa di studio per la Sorbona. Il film è molto semplice, per capirci lo possiamo definire la classica produzione per famiglie, ricca di sentimenti positivi, soluzioni miracolose, esaltazione della buona volontà e dell’onestà. Non mancano alcuni richiami alla fede islamica e alla grandezza dei dirigenti politici dell’epoca, ma questo fa parte del genere. Lo stile è ugualmente semplice, con qualche caduta nel semplicismo, peccato che si può perdonare tenendo conto della buona volontà della regia.
La tempesta nel mio cuore
La tempesta nel mio cuore
Del tutto diverso Jernanger (titolo internazionale: La tempesta nel mio cuore) del norvegese Pål Jackman. Al centro del film un maturo armatore e capitano di una carretta del mare che sprofonda nell’alcool e nella disperazione tanto da prende a fucilate, ogni mattino, il sole nascente. E’ arrivato a questo stadio non sopportando la pena che gli viene dall’aver abbandonato, venticinque anni or sono, per gusto d’avventura l’unica donna che ha veramente amato. Casualmente gli capita a bordo un ragazzo, anche lui afflitto da problemi sentimentali: ha messo in cinta la fidanzata e non se la sente di diventare padre. I due finiscono col formare una strana coppia, tentano di far prendere il largo al battello morente, ma finiscono col seguire, ciascuno, la propria strada: il giovane assumendosi la responsabilità della paternità, l’anziano colando a picco con la nave. Il film è troppo lungo, rimescola continuamente e senza vera ragione le stesse situazioni, eccede nella descrizione di bevute e liti, appare prevedibile in più di un risvolto drammatico ed è eccessivo in tutto, recitazione compresa. In poche parole non una gran cosa.

Inaspettatamente
Inaspettatamente
Giornata fiacca per quanto riguarda la sezione competitiva. Etzba Elohim (Inaspettatamente) dell'israeliano Igal Bursztyn è il classico racconto su una strana coppia, in questo caso quella formata da due robivecchi che percorrono le strade di Tel Aviv. Shabtai si dà arie da capo, indugia in frequenti sieste costellate di sogni erotici nei confronti di una diva della cosmesi e della moda. Il suo pseudo cugino Herzel fatica per due e prova una devozione infinita nei confronti del capo, del quale ama, in segreto, la figlia. Quando, per una serie di circostanze incontrano realmente la donna sognata, questa si innamorerà di Herzel che la rifiuterà per lealtà verso l'amico – padrone. Dopo qualche incomprensione i due ritorneranno a fare coppia e a girare la città alla ricerca di mobili vecchi da rivendere. E' un film semplice, i cui valori stilistici non siamo in grado di identificare appieno, avendolo visto in una proiezione particolarmente accidentata. Ciò che possiamo dire è che si tratta di un'operazione non originalissima, che pesca a piene mani in un filone capeggiato dall'indimenticato I santissimi (Les valseuses, 1974 ) del francese Bertrand Blier. I due attori cui sono affidati i ruoli principali rispondono bene alla chiamata, costruendo un duo simpatico e accattivante, ma nulla più.
Mammut
Mammut
Mammoth (Mammut) dello svedese Lukas Moodysson non conferma le doti di questo regista intravviste in Fucking Åmal - Il coraggio di amare (1998). Qui il regista ha voluto allargare lo sguardo al mondo intero, mettendo in scena due storie dalle ambientazioni opposte. La prima ha per protagonista una coppia americana, lei è un chirurgo di pronto soccorso, lui un geniale creatore di siti web. Mentre la moglie rimane a New York con la figlia, affidata per la maggior parte del tempo ad una tata filippina, lui parte per un viaggio in Thailandia al fine di chiudere la vendita di un suo lavoro ad un'industriale locale. Le trattative vanno a rilento e l'informatico è costretto a rimarne in Estremo Oriente più del previsto, un prolungamento durante il quale ha un'avventura con una giovane prostituta che lascerà di soppiatto per rientrare in famiglia. Nel frattempo la domestica filippina, che ha lasciato in patria due figli, viene a sapere che uno dei piccoli è in fin di vita causa le percosse subite da un pedofilo a cui si era accompagnato nella speranza di guadagnare un po' di soldi utile a abbreviare il soggiorno americano della madre. Il film dovrebbe mettere a confronto due realtà parallele e inconciliabili: la fragile tranquillità dei ricchi occidentali e la drammatica precarietà del terzo mondo. Riesce nell'intento in modo molto parziale, licenziando un testo più simile ad un catalogo di immagini turistiche che al prontuario di un mondo drammatico e sconclusionato. In poche parole un film sostanzialmente mancato.

Frutto proibito
Frutto proibito
La sezione competitiva inizia a presentare le sue scelte più interessanti. La prima, Kielletty Hedelmä (Frutto proibito), porta la firma del finlandese, nato a Cipro, Dome Karukoski. E' una lucida e appassionante denuncia dei guasti del fanatismo religioso di matrice cristiana, nel caso specifico quello di una comunità, molto numerosa in Finlandia, che segue alla lettera le parole della Bibbia e ai cui membri è proibito guardare la televisione, ascoltare musica ritmata, ballare, truccarsi, bere alcol, usare contraccettivi e avere rapporti sessuali prima o fuori dal matrimonio. Maria e Raakel sono cresciute in questo ambiente, chiuso ed opprimente, e ora, compiuti i diciotto anni, vogliono sperimentare ciò che c'è oltre i recinti della congrega. Maria, in particolare, stimolata dall'esempio di una sorella lesbica che ha rotto con i genitori e vive a Helsinki con la compagna, approfitta della possibilità di un lavoro estivo per conoscere amori giovanili, cosmetici, bevande ad alta gradazione e musica. Raakel è inviata dalla comunità per indurla alla ragione, ma si farà coinvolgere nella voglia di libertà al punto da rifiutare il ritorno alle leggi della setta, anche quando l'amica china il capo e ritorna sui suoi passi. Il film è molto ben costruito, drammaticamente intenso, privo di retorica, ma, proprio per questo lucido nella descrizione della crudele ferocia che anima le norme che si sono dati questi fanatici. E' molto indovinato anche l'andamento del racconto, che non approda ad un facile lieto fine, ma mostra come sia proprio chi ha più dubbi e meno impeto trasgressivo a vincere le barriere che gli sono state costruite attorno. Un ottimo lavoro e un racconto appassionante.
La ragione per cui
La ragione per cui
Darum (La ragione per cui) dello svedese Harald Sicheritz, qui impegnato in una produzione austriaca, propone un caso molto originale che ruota attorno al tema della fama e dell'ossessione del successo. January Haigerer è un giornalista sulla cresta dell'onda reso famoso da alcune inchieste sul mondo degli assassini seriali. Tuttavia, la sua brama di successo lo spinge a progettare un piano folle. Ha scritto un libro che intende presentare come l'opera di un assassino catturato e condannato. Per raggiungere quest'obiettivo commette un omicidio uccidendo l'avventore di un bar scelto a caso. Si costituisce, sicuro di una pesante condanna che renderà il suo libro particolarmente ambito dai lettori, ma ha fatto i conti senza l'oste, in quando l'uomo che ha ammazzato era un omosessuale ammalato terminale di AIDS e, poiché lui aveva già scritto in favore dell'eutanasia, il suo avvocato e le associazioni per la morte volontaria fanno di lui una bandiera sino ad ottenere l'emissione di una condanna quasi simbolica. Ora il libro non ha più futuro e non resta che gettarne il manoscritto. Il discorso sulla brama di successo spinta sino all'autodistruzione è più enunciata che raccontata in modo cinematograficamente maturo, ma rimane la forza di una storia originale e, in qualche modo, emblematica.
La promessa mancata
La promessa mancata
Nedodrzaný Slub (La promessa mancata) del ceco Jiri Chlumský, qui impegnato in una produzione slovacca, appartiene alla categoria, quasi un genere, delle biografie dei sopravvissuti all'olocausto. Un giovane ebreo, ottimo giocatore di calcio, riesce a dribblare, miracolosamente e con non poca fortuna, i peggiori orrori della deportazione, la selezione verso le camere a gas sino a finire intruppato in una banda partigiana composta da russi antisemiti che lo accolgono senza conoscere la sua appartenenza etnico – religiosa. Il film è costruito bene, ma allinea situazioni già viste molte volte e sviluppa un discorso non privo di salti logici – nonostante sia tratto da una storia vera – e privo di una reale volontà di approfondimento.
Cambio
Cambio
Diverso il caso di Schimb valutar (Cambio) del rumeno Nicolae Margineanu. In una città di provincia un giovane operaio perde il posto per la chiusura della fabbrica in cui lavorava. Rifiuta di ritornare a lavorare nei campi con il suocero e convince la moglie a vendere ogni cosa ed emigrare in Australia. Per riuscirci occorre trasformare in dollari i leu ottenuti dall’alienazione dei beni di famiglia, cosa che può essere fatta solo a Bucarest. Qui è subito derubato e costretto a rimontare da zero la scala sociale. Grazie all’aiuto di una prostituta dal cuore d’oro ci riesce, ma al prezzo di trasformarsi in truffatore e ladro. Quando, imbottito di valuta, sta per salire sull’aereo per Sidney, un banale incidente rimetterà tutto in discussione. Il film vale, soprattutto, per la straordinaria e lucida descrizione del degrado morale, economico ed ambientale di un paese ex-comunista, piombato nelle fauci del capitalismo più animale. La descrizione dei tuguri in cui vivono migliaia di rumeni, la ferocia della vita di tutti i giorni, l’alluvione di crimini che costellano la quotidianità, tutto questo concorre a dare al racconto il valore di un quasi documentario e alla storia il ruolo di un esempio, fra i tanti, della barbarie in cui è piombata la Romania al pari dei molti altri paesi, un tempo appartenenti al blocco sovietico. Lo stile è quasi televisivo, con luci che imitano quelle naturali e personaggi che nulla hanno di eccezionale se non il peso delle disgrazie che li opprimono.

Il mondo è grande e la salvezza è dietro l'amgolo
Il mondo è grande e la salvezza è dietro l'amgolo
Vstat e goljam i spaseniedebne otvsjakade (Il mondo è grande e la salvezza è dietro l’angolo) del bulgaro Stephan Komandarev è una sorta di bella favola balcanica basata sul lungo ritorno a casa - via Ungheria, Italia, Serbia - di un giovane immigrato che ha perso la memoria, in Germania, dopo un incidente d’auto in cui sono morti i genitori. Il nonno - uno straordinario Miki Manojlovc - parte dal lontano villaggio Natale e lo costringe a ritornare a casa pedalando su un tandem. E’ un’immersione nei ricordi e nel passato che finirà col dare i suoi frutti: non solo il recupero delle radici culturali profonde, ma anche la scoperta di un amore. Il film viaggia su due piani: l’oggi in bicicletta e il ricordo del passato, con le vessazioni del regime che scambia un gruppo di giocatori di backgammon - l’anziano è considerato il re di questo gioco, titolo che, nel finale cede al nipote - per i partecipanti a una congiura politica. Ci sono molte riflessioni amare sul presente, come il torturatore di un tempo che compare, non invecchiato, come un personaggio politico di oggi. Come dire: il regime è finito, ma l’opportunismo e il trasformismo continuano. Dati interessanti, che funzionano da contorno a quello che appare il vero asse del film: la forza delle tradizioni, l’umanità dei ricordi, la saldezza dei rapporti amicali e familiari anche sotto le più feroci tempeste politiche. E’ un buon testo, forse eccessivamente ottimista, ma realizzato con grazia e intelligenza.
La sorella di Katia
La sorella di katia
Het Zusje van Katia (La sorella di Katia) della regista olandese Mijke de Jong è un bel ritratto di una solitudine infantile. Il film nasce da un racconto, dallo stesso titolo, di Andrés Barba e ruota attorno ad una tredicenne che vive con madre e sorella. Le due donne sono arrivate ad Amsterdam dalla Russia in cerca di una vita migliore, ma non hanno trovato altro se non prostituirsi e lavorare in un club di spogliarello. Questo fallimento ha esacerbato i loro caratteri e le ha portate a insultarsi di continuo, salvo improvvise e torrenziali riconciliazioni. L’adolescente si colloca fra le due adulte quasi come una barriera umanissima: svolge le più umili faccende di casa, assiste la nonna affetta da demenza senile, cerca disperatamente affetto e comunicazione. Un giorno incontra un ragazzo americano che predica la Bibbia per strada e intesse con lui un rapporto di affetto e solidarietà, ma quando tenta di rendere ancor più solido il legame con lui offrendogli prestazioni sessuali, unica cosa che le è stata insegnata può essere usata con gli uomini, il giovane fugge inorridito. Ora la sorella di Katia (non ha quasi nome, ma si definisce solo in questo modo) è veramente sola, sua madre è partita con un nuovo amante e l’altra è andata via con un italiano che le ha promesso mari e monti. Per alleviare in qualche modo la solitudine che sempre più la opprime, la ragazza inizia a recitare anche le parti delle altre due, partecipando a liti immaginarie in cui insulta e risponde alle offese. E’ il quadro di una distruzione umana che inizia sin dall’infanzia e di un abbandono feroce, anche se apparentemente motivato da condizioni oggettive. E’ un bel ritratto a tinte strazianti non alleviate da un lieto fine posticcio che vede le due fuggitive ritornare a casa dopo aver subito nuove sconfitte e delusioni.
Il casellante numero 47
Il casellante numero 47
Hlidac c.47 (Il casellante numero 47) del ceco Filip Renc è un melodramma a forti tinte, ambientato nella Cecoslovacchia profonda nel 1920. e tratto da un romanzo di Josef Kopta (1894 - 1962) che ha già avuto due versioni cinematografiche, una del 1937, firmata da Josef Rovensky, e una del 1951 a cura del famoso attore attore ebreo Hugo Haas (1901 - 1968). Ne è protagonista un mutilato della Grande Guerra che ha perso, quasi completamente l’udito ed è ossessionato dal ricordo degli orrori cui ha preso parte. Per compensarlo in qualche modo gli offrono con un posto di casellante ferroviario. Nel nuovo incarico lo accompagna la giovane moglie, subito concupita dal becchino del paese. Lei accetta la relazione, ma si ribella quando il locale sacrestano vuole avere un rapporto con lei minacciando di svelare il suo tradimento al marito. L’amante infuriato aggredisce il reduce, nel frattempo diventato oste, e lo uccide a coltellate. Finale cupo con l’assassino condotto in galera e la vedova che piange sulla tomba del coniuge. Ci sono tutti gli elementi per un melodramma sanguinolento e il regista vi pesca a piene mani tentando di nobilitare l’operazione con una fotografia seppiata che dovrebbe ricordare i vecchi dagherrotipi. E’ un’operazione più cervellotica che realmente ispirata imbottita di scene madri ed effetti grandguignoleschi.
Terribilmente felice
Terribilmente felice
Frygteling lykkelig (Terribilmente felice) del danese Henrik Ruben Genz mescola cinema nero ad atmosfere americane sulla vita di provincia, condendo il tutto con qualche suggestione alla Claude Chabrol. Un poliziotto è inviato da Copenhagen una minuscola cittadina dello Jutland del sud quale unico responsabile della locale stazione di polizia. Il trasferimento ha un tono punitivo, causa la cattiva condotta professionale dell’agente che, anche per questo, è stato abbandonato dalla moglie. Nel piccolo villaggio, poche case sui lati di una strada fangosa come nel migliore western classico, lo accolgono alcuni abitanti, sospettosi, sgradevoli e depositari di non pochi scheletri nascosti negli armadi. L’agente deve confrontarsi, in particolare, con un marito violento che picchia la moglie, anche se questa rifiuta di denunciarlo preferendo stuzzicare sessualmente il tutore della legge. Questo comportamento sarà la causa di un paio di omicidi in cui l’agente è coinvolto in prima persona. Quando le cose sembrano aggiustasi, visto che è arrivato l’ordine di trasferimento nella capitale, saranno i capi della piccola comunità a ricattare il poliziotto sino a costringerlo a restare, cosa che lui accetterà senza molto dispiacere. Il film, alla base cui base c’è un romanzo dallo stesso titolo di Erling Jepsen (1956) edito nel 2004, è girato in modo molto professionale con un utilizzo assai efficace del paesaggio. E’ una storia in cui confluiscono temi individuali, metafore sociali, citazioni del grande cinema americano. Un po’ troppa carne al fuoco, che rischia di compromettere il bilancio di un’opera per molti versi interessante e ben costruita da cui sgorga uno sguardo originale su una situazione ricca di suggestioni e rimandi. Da segnalare, in modo particolare, l’intreccio fra notazioni psicologiche e un modo di raccontare tipico del cinema nero, con atmosfere cupe, improvvise aperture tragiche, paesaggi desolati.

Matrimonio in una notte bianca
Matrimonio in una notte bianca
Brúóguminn (Matrimonio in una notte bianca) dell’islandese Baltasar Kormákur è una piacevole commedia con un retrogusto amaro. Jon, un professore di mezz’età, sta per sposare, in seconde nozze, una sua allieva che ha la metà dei suoi anni. La madre della futura sposa è molto avversa al matrimonio e pretende che il docente restituisca, prima della cerimonia, l’ingente prestito gli ha fatto. Inoltre pesa su tutti il ricordo della precedente moglie del futuro sposo, che si è uccisa proprio il giorno delle nozze. Altri problemi arrivano dal progetto di costruire un campo da golf sull’isola in cui la storia è ambientata. Speculazione in cui il docente è coinvolto in qualche modo. A complicare ancor più le cose arriva, col ruolo di testimone, un amico dello sposo amante più della bottiglia che di ogni altra cosa. Fra equivoci, litigate, pasticci vari la commedia approda a un lieto fine non privo di amarezza e malinconia. E’ un bel film, a tratti molto divertente, interpretato da un manipolo di attori che sfiorano la perfezione e orchestrato su un ritmo che non lascia tregua. Quest’opera è stata candidata al Premio Oscar nella sezione film in lingua non inglese e ha ottenuto un grande successo sia in patria sia nei paesi in cui è stata distribuita. Risultati meritati e su cui non c’è nulla da eccepire.
Bathory
Bathory
Le sezioni collaterali hanno presentato molti titoli, alcuni dei quali dotati di un certo interesse. Citiamone uno per tutti: Bathory, ultima fatica dello slovacco Juraj Jakubisko. E’ la storia, letta con molta libertà e originalità, della famosa contessa Erzsébet Báthory (1560 – 1614) resa mitica dalla leggenda secondo cui avrebbe fatto uccidere decine di vergini per bagnarsi nel loro sangue, sicura che, in questo modo, avrebbe mantenuto un’eterna giovinezza. Il regista legge, invece, questo personaggio come una sorta di figura rinascimentale, immersa nella violenza dell’epoca, ma anche aperta alle arti e all’influenza della cultura italiana. Un personaggio quasi positivo, i cui crimini, storicamente accertati, non sono maggiori di quelli commessi da chi le sta attorno o la fronteggia. Lo stile è quello consueto di quest’autore e mescola elegante trovarobato a invenzioni surreali (ottima quella del monaco inventore che scopre il paracadute, i pattini a molla e un’infinità di altre diavolerie), il tutto servito da una fotografia raffinata e da una costruzione drammatica che alterna momenti grandguignoleschi a spazi di quieto sentimento. Non un film originale, ma la conferma della genialità di questo autore.

Frutto proibito
Frutto proibito
Conclusioni.
E' stata un'edizione organizzativamente molto difficile. I tagli alle sovvenzioni alla cultura hanno segnato anche l'amministrazione pubblica e gli sponsor portoghesi, per cui il festival si è visto ridurre significativamente il già scarso bilancio di cui dispone. A questo si è aggiunta la mancata disponibilità del grande teatro comunale in cui solitamente la manifestazione si svolge. L'edificio sta subendo una radicale ristrutturazione che ne rende problematica la disponibilità anche per la prossima edizione (giugno 2010). Nonostante queste difficoltà possiamo parlare di un'edizione nella norma che ha presentato un ventaglio di opere sicuramente interessanti e questo in un momento in cui sul cinema, a livello mondiale, gravano pesanti nubi di crisi. Come si suol dire: rimanere in piedi quando infuria la tormenta è già un ottimo risultato.

I premi della 25ª EDIZIONE DEL FESTIVAL INTERNACIONAL DEL CINEMA DI SETÚBAL

Premio del pubblico: Vstat e goljam i spaseniedebne otvsjakade (Il mondo è grande e la salvezza è dietro l’angolo) di Stephan Komandarev (Bulgaria).

Premio della sezione L'Uomo e la Natura: 14 Kilómetros (14 chilometri) di Gerardo Olivares (Spagna).
menzione speciale: Tummien perhosten koti (La casa delle farfalle nere) di Dome Karukoski (Finlandia).

Premio del Comune di Setúbal – Sezione indipendenti nordamericani: Entre nos (Tra noi) di Paola Mendonza e Gloria La Morte (Usa).
menzione speciale: A l'ouest de Pluton (All'ovest di Plutone) di Myriam Verreault e Henri Bernardet (Canada).

Premio opera prima: Der Freund (L'amico) di Micha Lewinsky (Svizzara).
menzione speciale: Sipur gadol (Un problema di peso) di Eva Sorhaug (Norvegia).

Premio FIPRESCI: Het zusje van Katia (La sorella di Katia) di Mijke de Jong (Olanda).

Premio SIGNIS: Vstat e goljam i spaseniedebne otvsjakade (Il mondo è grande e la salvezza è dietro l’angolo) di Stephan Komandarev (Bulgaria).
menzione speciale: Mammoth (Mammut) di Lukas Moodysson (Svezia).

Premio CICAE:Kielletty Hedelmä (Frutto proibito) Dome Karukoski (Finlandia).

PREMIO Mário Ventura: Cyril Paris e Frédéric Hazen, per la sceneggiatura di Un bisu pour le monde (Un bacio per il mondo) (Francia).

Premio al miglior film - Delfino d'Oro: Kielletty Hedelmä (Frutto proibito) Dome Karukoski (Finlandia).

Premio speciale delle giuria - Delfino d'argento: Laskar pelangi (La banda dell'arcobaleno) di Riri Riza (Indonésia).

Premio alla migliore regia – Delfino d'argento : Stephan Komandarev, autore del film Vstat e goljam i spaseniedebne otvsjakade (Il mondo è grande e la salvezza è dietro l’angolo).
Premio alla migliore interpretazione femminile: Amanda Pilke interprete del film Kielletty Hedelmä (Frutto proibito) di Dome Karukoski (Finlandia).

Premo alla migliore interpretazione maschile: Samuel Spisak interprete del film Nedodrzaný slub (La promessa mancata) di Jiri Chlumský (Slovacchia).

Premio alla migliore sceneggiatura – Delfino d'argento: Henrik Ruben Genz e Dunja Gry Jensen per il film Frygtelling Lykkelig (Terribilmente felice) di Henrik Ruben Genz (Danimarca).

Premio alla migliore fotografia – Delfino d'argento: Karel Fairaisl, per la fotografia del film Hlidac c.47 (Il casellante n°47) di Filip Renc (Repubblica Ceca.