38a Settimana del Film Magiaro - Pagina 3

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38a Settimana del Film Magiaro
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Frammento
Metafore forti anche in Tőredék (Frammento) di Gyula Maár in cui un gruppo di religiosi e alcuni laici si ritrovano in un monastero, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, mentre stanno per arrivare alcuni emissari russi con il compito di uccidere uno di loro. L’attesa è segnata da discussioni filosofiche da cui traspaiono almeno tra posizioni: quella di un religioso che vuole unire comunismo e pratica cristiana, quella di chi tenta di adattarsi alla situazione e quella, infine, d’alcuni possidenti più che disposti a trovare un accordo con i nuovi padroni. Sarà il primo ad essere ucciso, mentre gli occupanti saranno ben lieti di accordarsi con gli altri. E’ una parabola che denuncia il martirio della purezza, in nome della ragione di stato, la sconfitta della coerenza da parte dell’opportunismo. E' un testo doloroso e pessimista magistralmente interpretato e filmato in uno struggente bianco e nero.
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Il viaggio di Iska
Colori slavati e marcescenti, invece, per Iszka Uraszása (Il viaggio d’Iszka), vincitore del maggior riconoscimento della manifestazione. Il regista Csaba Bollók racconta il calvario, dalla miseria alla prostituzione, di duna ragazzina che vive in una poverissima regione della Transilvania e campa raccogliendo pezzi di metallo da rivendere per poche monete. La sua triste esistenza ha un attimo di sollievo, quando è accolta in una comunità caritatevole; breve pausa che precede un inferno ancor maggiore nel giro del traffico delle donne da destinare al meretricio in Turchia. Il film è girato magnificamente, con stile da documentario, e coglie suggestioni che vanno da Luc e Jean-Pierre Dardenne (Rosetta, 1999) ad Amos Gitai (Terra Promessa, 2004). E’ un formidabile ritratto psicologico e un panorama doloroso del degrado di questa parte del paese, vero emblema di molte regioni in cui il crollo dell’industria pesante, un tempo sovvenzionata dallo Stato, ha aperto orrende ferite sociali. Il taglio equilibra analisi psicologica e affresco sociale, in un’opera di forte impatto morale. Boldog új élet (Felice vita nuova) di Árpád Bogdán è un film molto raffinato, girato in maniera modernissima nello scenario di una città asettica, misteriosa, non identificata. Qui un giovane orfano, che non ha mai conosciuto i genitori, vive solitario in un povero appartamento. La sua esistenza oscilla fra sogni e delusioni, lampi di speranza e frustrazioni. E’ il quadro di un’esistenza smarrita, immersa in immagini gelide. Un’opera più formalmente perfetta che autenticamente ispirata.
Qualche cosa di simile accade anche in Emelet (Errore di calcolo) di János Vecsernyés. In una società non meglio definita, il potere, apparentemente democratico, si mantiene reprimendo ogni dissenso con la tortura e la violenza. Un ricco proprietario di supermercati vive, agiato e tranquillo, in questo clima cupo e oppressivo. Suo figlio, al contrario, mostra inquietudine e turbamenti morali davanti ai crimini commessi dal potere. Il padre, per assecondarlo, gli fa credere che stia partecipando ad una congiura rivoluzionaria, in realtà un’operazione di pura fantasia. Purtroppo per lui, la polizia politica crede al complotto e arresta, tortura e uccide sial il padre che il figlio. La morale è quella, ben espressa dal titolo, secondo cui non ci possono essere furbizie personali all’interno di un regime tirannico e che anche chi crede di trarne vantaggi, finiscono con l’esserne schiacciati. Il film, in bianco e nero, ha immagini costruite con una perfezione geometrica che ricorda alcuni quadri informali, ma, ancora una volta, la lucidità della confezione nasconde un disegno costruito a tavolino e assai poco partecipato. Più belle linee di sangue e carne.