Settimana del cinema magiaro 2006

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Settimana del cinema magiaro 2006
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A Budapest fra polemiche e immagini disperate

ImageLa 37ma settimana del cinema magiaro si è aperta all’insegna della rovente polemica innescata dall'articolo, pubblicato sul settimanale Elet és Irodalcom (Vita e letteratura), in cui si rivelava che István Szabó, all'epoca non ancora ventenne, aveva fornito informazioni alla polizia politica sui suoi compagni di corso alla scuola di cinema. Erano gli anni immediatamente successivi alla rivolta antisovietica del 1956 e la classe di cui faceva parte il regista di Mephisto (1981) sarebbe passata alla storia come quella che sfornò alcuni fra i maggiori autori del nuovo cinema magiaro degli anni sessanta: Pál Gabor, Imre Gyöngyössy, Ferenc Kardos, Zsolt Kézdi-Kovács, István Gaál e János Rózsa. Nel corso della manifestazione c'è stata una conferenza stampa a cui hanno partecipato alcuni di quegli ex-compagni di scuola, che hanno confermato la loro solidarietà al collega e offerto varie testimonianze sul clima dell'epoca. Zsolt Kézdi-Kovács, in particolare, ha rivelato che anche lui ha fornito informazioni alla polizia politica e ricordato che lo ha fatto dopo essere stato imprigionato e minacciato d’espulsione dalla scuola di cinema.

In quanto al contenuto reale di queste delazioni, ha assicurato di aver evitato di coinvolgere i più compromessi, come Pál Gábor, che nel 1979 dirigerà Angi Vera, un duro atto d'accusa sulle persecuzioni e delazioni di quegli anni, e Imre Gyöngyössy, il regista de La domenica delle palme (1969), altro testo vigoroso contro la repressione e l'intolleranza. Il primo era sorvegliato in modo particolare, essendo stato ritratto, armi alla mano, mentre partecipava all'assalto della sede del Partito Comunista, il secondo aveva trascorso già tre anni in prigione, avendo come compagni di prigionia alcuni degli esponenti che, negli anni ottanta, saranno riabilitati e chiamati a reggere importanti settori del Partito Comunista Magiaro. Zsolt Kézdi-Kovács ha anche ricordato come i rapporti, forniti da lui e dagli atri, erano talmente vaghi che due anni dopo l'ingaggio, considerata l’irrilevanza dei loro scritti, furono tutti licenziati dalla stessa polizia politica. Quale senso dare a questi scoop a cinquanta anni di distanza? Molti propendono per la versione secondo cui il piccolo partito di centro – sinistra SZDSZ (Alleanza dei Liberi Democratici), a cui la direzione della rivista é vicina, avrebbe cercato di guadagnare consensi facendosi portatore di una campagna moralizzatrice che dovrebbe metterlo al riparo dal pericolo di non raggiungere il quorum necessario ad ottenere rappresentanza parlamentare alle elezioni del prossimo 9 aprile. Altri individuano il vero obiettivo dell'operazione in un attacco alla chiesa cattolica e, in particolare al cardinale László Paskai, ex primate d'Ungheria, a cui la rivista ha dedicato, nel numero uscito proprio nei giorni in cui si teneva la Settimana, un lungo articolo con analoghe accuse. Il prelato, che ha fatto parte del movimento Preti di Pace, ha sempre cercato di stabilire rapporti di dialogo con il potere kadariano, al contrario del cardinale Minzenty. Quest’ultimo è vissuto 15 anni rinchiuso nell'ambasciata Americana di Budapest, dove si era rifugiato all'arrivo dei carri armati sovietici. La polizia lo voleva arrestare perché si era schierato al fianco dei rivoltosi, anche se, da bravo ultraconservatore, lo aveva fatto per chiedere l'abolizione della riforma agraria e la restituzione dei latifondi alla Chiesa e ai proprietari terrieri. C’è, infine, chi propende per la semplice ricerca di notizie sensazionali capaci di far aumentare la declinante tiratura della pubblicazione. C'é un pizzico di verità in ciascuna di queste interpretazioni, ma resta un fondo limaccioso in una campagna scandalistica che esplode a cinquant'anni da quei tragici fatti e senza alcun’intenzione di avviare una seria indagine storica. Sempre a proposito d’István Szabó c’è da ricordare che la Settimana ha presentato anche il suo ultimo film, Rokonok (Parentela), il primo che ha realizzato in Ungheria dopo quattordici anni di lavoro all’estero. Alla base c’è un romanzo di Zsigmond Móricz (1879 – 1942), un classico della letteratura magiara. Vi si raccontano le speranze e le delusioni, sino al suicidio, di un giovane avvocato, nominato assessore alle finanze di una cittadina di provincia dai potenti locali, che lo considerano innocuo e malleabile. Il funzionario prende sul serio l’incarico, denunciando corruzione, soprusi e ruberie. Caduto in disgrazia, é vittima di una congiura tendente a dipingerlo come un profittatore e un disonesto. Non gli resterà che il suicidio. Il film non é fra i migliori di questo regista, eccede nei dialoghi e soffre l’interpretazione di un attore, István Kopjáss, molto stimato, ma, in questo caso, incapace di restituire la complessità del personaggio. Fra i titoli in cartellone, che comprendevano l’intera produzione del 2005, tre hanno raccolto i maggiori consensi.