38a Settimana del Film Magiaro - Pagina 2

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38a Settimana del Film Magiaro
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I figli della gloria
Giusto il contrario della grandiosa pomposità di Szabagság Szerelem (Figli della gloria), una superproduzione di tipo hollywoodiano in cui Krisztina Goda racconta - in più di due ore dense di scontri, cannonate e battaglie stradali - la storia d’amore fra una rivoluzionaria e un giocatore della nazionale ungherese di pallanuoto, la squadra che vincerà le olimpiadi di Melbourne. E' un superspettacolo in cui la tragedia collettiva si trasforma in semplice sfondo. Altre opere si sono rivolte a questo particolare snodo storico. Budakeszi Srácok (Il ragazzo di Budakeszi), del veterano Pál Erdóss, ha per sfondo un ospedale di una cittadina di provincia. Qui un ragazzino, allevato dalla madre con molti sacrifici, dopo che il padre è scomparso in una delle molte purghe volute dai sovietici, vive i giorni turbinosi della rivolta come un’innata ricerca della giustizia. Proprio quando le cose stanno volgendo al peggio per i ribelli, imbraccerà mitra e bandiera nazionale e andrà verso la morte. E’ un’opera professionalmente corretta, ma aggiunge poco o niente a quanto già conosciamo, né si fa apprezzare per scelte espressive particolarmente originali. Peccato, perché quest’autore aveva dato, in passato, prove molto promettenti come in Adj kirákatoná! (Principessa, 1983) e Homo Novus (1990). Molto interessante anche il materiale documentario riunito da Gyula Gulyás in Questo è il tempo, un video di circa mezz’ora in cui si sviluppa una profonda indagine su quei giorni drammatici partendo da fotografie amatoriali e professionali.
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Fine
Il ricordo di quella lontano dramma non è stato il solo tema affrontato dai cineasti magiari, alcuni dei quali hanno firmato opere d’ottimo livello. Konyec – Az utolsó scekk a pohárban (Fine) è un bel film di Gábor Rohonyi in cui si raccontano, fra l’ironico e il drammatico, i triboli di una coppia di pensionati. I due si erano conosciuti nel pieno delle repressioni post 1956 (lei si nascondeva e lui, l’agente che doveva scovarla, l’aveva salvata) e oggi, oppressi dalle difficoltà economiche, decidono di mettersi a rapinare banche e uffici postali. La loro storia è s’intreccia con quella di una poliziotta incinta di un collega finito in uno scandalo piccante per essere stato fotografato, mentre faceva sesso con una prostituta. Finale è a sorpresa e il film è molto simpatico in costante equilibrio fra riso e malinconia, sociologia e farsa. La performance dei due protagonisti, Földi Teri e Keres Emil, ha dello straordinario. Sempre in tema di problemi causati agli anziani dalla nuova economia c’è da segnalare A Hét Nyolcadik Napja (L’ottavo giorno della settimana) di Judit Elek in cui si racconta la discesa agli inferi di un’anziana stella del balletto (interpretata dalla sempre straordinaria Maja Komoroswska) che, rimasta vedova, si vede spogliare d’ogni bene da un’avvocatessa disonesta. Ciò che conta è il quadro di una società in cui la lotta per arricchirsi travolge ogni argine morale e distrugge qualsiasi remora umana. E’ un film lodevole nelle intenzioni, assai meno riuscito sul piano della costruzione estetica e della coerenza stilistica.
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Oppio
C’è stato, poi, un gruppo di film particolarmente importanti. Iniziamo con Ópium - Egy Elmebeteg Nő Naplója (Oppio – Diario di una pazza) di János Szász, vincitore del premio decretato dai critici internazionali. E’ il 1913 e, in un ospedale psichiatrico più simile ad un girone infernale che ad una casa di cura, si scontrano uno psichiatra morfinomane e un direttore fedele ai vecchi metodi. fatti di bagni in acqua gelata, scosse elettriche, camicie di forza. L’oggetto della contesa è una giovane ricoverata che sfoga la sua schizofrenia scrivendo compulsivamente su ogni cosa che le capita a tiro. In realtà il confronto si traduce ben presto in uno scontro fra l’analista e la paziente, metafora di un più ampio fronteggiarsi di follia come creatività libera e metodo quale gabbia in cui rinchiudere e neutralizzare ogni immaginazione. Il terreno di comunicazione fra i due finirà per essere solo quello del sesso e l’atto estremo del medico, la lobotomizzazione della poveretta, avrà anche il segno di un gesto d’amore. E’ una soluzione intrisa di dolore e cupamente illuminata dalla fiamme del rogo che brucia ciò che la donna aveva scritto, riferimento ad altri falò di libri. Il film muove su due strade: un’atmosfera da incubo, elemento caro a questo regista di cui ricordiamo uno straordinario Woyzeck (1994), e una tenebrosa ricostruzione dello scontro fra libertà della fantasia e oppressione. Ne nasce un’opera cupamente intelligente, un monito e un grido di dolore di grande forza. L’interpretazione di Kristi Stubǿ è oltre ogni lode.