22 Medfilm Festival Roma

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Sito del festival: http://www.medfilmfestival.org/

MEDFILM-2016-600x377Si è appena concluso il Cinemed, Festival Cinéma Méditerranéen Montpellier che ha laureato il film spagnolo Vivir y otras ficciones (Vivere e altre finzioni) di Jo Sol, che a Roma s’inaugura il 22 Medfilm Festival dal 4 al 12 novembre nelle sale del Savoy e del Macro con circa cento film tra lunghi, corti e documentari. S’inaugura venerdì 4 alle 20.00 col premio alla carriera a Gianni Amelio del quale è in programma mercoledì 9 Il primo uomo (2011) che il regista adattò dal libro di Albert Camus.

Scorrendo il catalogo emergono nove film del concorso ufficiale, denominato Amore e Psiche. Film d’apertura, alla la presenza del regista, Brooks, Meadows and Lovely Faces dell’egiziano Yousry Nasrallah. Seguono: Chouf, di produzione francese, di Karim Dridi; il franco-algerino The Trial Garden (Il giardino del giudizio) di Dania Reymond; prodotto da Algeria, Kuwait e Usa, Kindil di Damien Ounouri; Orso d’argento alla Berlinale, il film tunisino Hedi di Mohamed Ben Attia (dal Festival di Toronto); Blessed Benefit (Beato beneficio) di Mahmoud al Massad, prodotto da Germania, Giordania, Olanda e Qatar. L’Iran, paese al quale il festival dedica uno spazio con cinque lungometraggi e cinque corti, concorre con Inversion (Ribaltamento) di Behnam Behzadi. L’Italia presenta una coproduzione con l’Irlanda, L’accabadora di Enrico Pau; la Francia un film che era alla Mostra di Venezia, Jours de France (Giornate francesi) di Jérôme Reybaud. Ben dieci i lungometraggi documentari e venti i corti. Due vengono dal Libano - Geographies di Chaghig Arzoumanian e Asphalt di Ali Hammoud - Arriva dalla Spagna Informe General II – The New Abduction of Europe (Rapporto generale II – Il nuovo sequestro dell’Europa) di Pere Portabella, dalla Grecia - Next Stop: Utopia (Prossima fermata: Utopia) di Apostolos Karakasis - da Israele - Between Fences (Tra recinti) di Avi Magrabi - dall’Iran - Passengers di Mahmoud Rahmani e dall’Algeria - Atlal di Djamer Kerkar -. L’Italia presenta la coproduzione col Belgio Delta Park di Karin de Villers e Mario Brenta; la Tunisia Zaineb hates the Snow (Zaineb odia la neve) della regista Kaouther Ben Hania. Chiude una produzione della Palestina, Germania e Gran Bretagna: A magical Substance flows into me (Un’essenza magica scorre in me) di Jumana Manna. Tra le occasioni offerte dal Festival l’ingresso gratuito per tre film premiati: La pazza gioia di Paolo Virzì, miglior film e migliori attrici alla Seminci di Valladolid, Toni Erdmann di Maren Ade, coronato a Cannes, Appena apro gli occhi – Canto per la libertà di Leyla Bouzid, visto nei principali Festival di tutto il mondo cominciando da Venezia 2015. Focus Tunisia e Focus Iran permettono di gettare uno sguardo sulle produzioni recenti dei due paesi. L’iraniano Dokhtar (Figlia) di Reza Mirkarimi ha vinto due premi al Festival di Mosca. Da non trascurare la sezione Le Perle, alla scoperta del nuovo cinema italiano, dove su quattordici film tra lunghi e corti, citiamo lunghi e medi: La compagna solitudine di Davide Vigore, Monte di Amir Naderi, Triokala di Leandro Picarella, Tomba del tuffatore di Federico Francioni e Yan Cheng, Il matrimonio di Paola Salerno. Tra gli eventi speciali, Letture dal Mediterraneo, sei incontri con gli autori al Macro da domenica e venerdì.


Brooks plaquette LD-page-001Inaugurato al cinema Savoy il 22mo Medfilm Festival che si protrarrà fino a sabato 12. Nella sala affollata, dopo alcuni premi ad associazioni che operano per l’accoglienza dei profughi, il Gran Premio del Festival, quello alla carriera di un regista che nei suoi film ha illustrato problemi e volti del Mediterraneo, è stato assegnato a Gianni Amelio. Il regista, visibilmente emozionato, ha ricordato il suo approccio col Mediterraneo a partire dal 1994 quando girò Lamerica fino al recente Il primo uomo, dal libro di Albert Camus per il quale spese due anni tra Tunisia e Marocco prima di cominciare la lavorazione. Dopo il cerimoniale protrattosi per circa un’ora, il primo film in concorso, Al Ma’ wal Khodra wal Wajh El Hassan, liberamente tradotto: Ruscelli, prati e volti attraenti del regista egiziano Yousry Nasrallah che esordì nel 1953 con Marcides e che, nel 2015, partecipò al Medfilm Festival con Baad el mawkeaa (Dopo la battaglia). Il regista, impressionato dall’affollamento della sala, ha voluto dichiarare che sicuramente il pubblico non era presente per il suo film ma per assistere alla premiazione di Gianni Amelio. Belqas, tra Alessandria e Porto Said, è un centro agricolo collegato ad alcune attività industriali. Qui si svolgono i preparativi per la festa la cui organizzazione è affidata a Yehia e ai suoi due figli, Refaat e Galal, che gestiscono una società specializzata in ricevimenti per matrimoni. Il film si apre con i preparativi per il pranzo, quindi fa marcia indietro per mostrare le vicende personali delle persone che lavorano con la famiglia di Yehia, cuochi famosi in tutta la Provincia. Il committente della festa è Farid, giovane intrallazzatore che vorrebbe controllare il paese e dintorni. Protagonisti invece, sono Refaat e Galal, cuochi provetti, e soprattutto le donne del paese che visibilmente riescono a tirare quasi tutti i fili del racconto. Refaat, leale e appassionato, s’innamora di Shadia, al suo ritorno dagli Emirati dopo un matrimonio fallito, ma non ha il coraggio di dichiararsi. Galal, sciupafemmine corteggiato da nubili e sposate, è nel mirino di Karima. Refaat è stato testimone del matrimonio clandestino di due coetanei, cosa che fa infuriare Farid e che sfocia in uno dei pochi momenti drammatici del film. Sorta di commedia che mette in scena l’eterna lotta tra il bene e il male, ha il merito di far emergere il potere che le donne esercitano su una società tradizionalmente maschilista. All’insegna di cibo, sesso, amore e libertà, Yousry Nasrallah ha scritto e diretto una commedia di circa due ore nella quale sembra divertirsi a mettere in dubbio l’autorità degli uomini mostrando una galleria di signore che quando detengono il potere economico impongono direttamente la propria volontà, e quando non lo detengono tessono sapientemente le loro tele per imbrigliare i maschi. E c’è qualcosa di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux (1688 – 1763), in questo ex critico cinematografico laureato in scienze politiche che si serve di un gruppo di attori affiatati, già visti negli altri suoi film, quali Menna Shalaby e Bassem Samra, e delle new entry Laila Eloui, Ahmed Daoud, Alaa Zenhom, per intrattenere parlando di cibo, spezie e relazioni clandestine. Dopo il passaggio nei Festival di Locarno e di Toronto, questa è l’anteprima italiana.


Schermata-2016-09-04-alle-02.38.00Gettando uno sguardo sul catalogo del 22 MedFilm Festival, tra novanta titoli ne abbiamo scelti tre della sezione Le Perle: alla scoperta del nuovo cinema italiano, un lungometraggio e due mediometraggi. Il primo era fuori concorso a Venezia dove ha vinto lo Jaeger-Lecoultre Glory to the Filmmaker Award 2016 andato a Amir Naderi. Il regista iraniano, che ha girato film in Giappone e negli Usa dove da tempo risiede, ha realizzato il suo primo film italiano, Monte, con gli attori Andrea Sartoretti, Claudia Potenza, Zaccaria Zanghellini, Anna Bonaiuto. In un passato non definito, forse di epoca medievale, Agostino, la moglie Nina e il figlio adolescente, Giovanni, vivono ai piedi di un’alta montagna rocciosa che non lascia trapelare i raggi del sole. Vivono là da sempre, con altre famiglie, tentando di ricavare dal suolo, ormai sterile, di che sopravvivere. Quando le altre famiglie decidono di scendere a valle per costruirsi un futuro migliore, Nina non si muove. Vuole restare dove ha appena sepolto la figlia, e dove il cimitero custodisce le tombe dei loro trapassati. E neanche Agostino vuole abbandonare quella terra perché non ritiene giusto che i poveri debbano staccarsi dalle proprie radici. Isolati tra rocce e sterpaglie, strappando radici e tentando di cacciare una selvaggina quasi inesistente, lavorano utensili dSolitudinei legno e pupazze di panno che Agostino tenta di vendere. Non trova acquirenti. Non solo, ma gli stracci che indossa tengono a distanza le persone. E quando tenta di vendere l’unico oggetto di valore, il pettine intarsiato della moglie, viene accusato di furto e inseguito dalle guardie. Sfuggito all’arresto, la moglie e rinchiusa in un monastero. Alla fine i tre si ritrovano nella baita: laceri, affamati e quasi fuori di testa, ma decisi a rivoltarsi contro la montagna che gli toglie il sole e non consente di avere pane. E’ una sorta di poema epico che ricorda  in immagini la rivoluzione di Giotto contro la pittura bizantina, il film dura 105 minuti e decanta all’inizio e nella parte centrale la solitudine dei tre in un’epoca di floridi commerci e di serena vita monasteriale. Nella parte finale, quando l’isolamento, l’incomprensione dei potenti e la miseria, uniti alla caparbietà di ancorarsi alla propria terra, li spingono sull’orlo della follia, il racconto s’inasprisce e trova nella ripetizione, che è anche un atto di fede, la risposta al destino avverso.
A differenza di Amir Naderi, che ha appena compiuto settant’anni, gli altri sono giovani usciti dal Centro Sperimentale di Cinematografia. Davide Vigore, 27 anni, dopo corti e videoclip ha girato nel 2015 Fuorigioco sulla vita dell’ex calciatore Schillaci. Qui presenta La compagna della solitudine, 53 minuti sulla vita di un anziano architetto e insegnante universitario, interpretato da Massimo Chiappini. Erede dei Borghese, vive con una trentenne e il figlio di circa dieci anni. Ognuno ha la propria vita. Con tutte le malattie della vecchiaia lo vediamo spesso sottoporsi a controlli e analisi e a intrattenersi con coetanei, ma è essenzialmente solo nel prestigioso appartamento con vista su Roma e nelle sue passeggiate.
1. una foto del film tomba del tuffatore di yan cheng federico francioni-2Tomba del tuffatore invece dura 30 minuti ed è firmato da due ex allievi del CSC: Federico Francioni e Yan Cheng. Prendendo spunto dalla siluetta del tuffatore dipinta su una tomba greca, i due vagano sulla Costiera Amalfitana tra presente e passato, tra itinerari turistici e miti greco-romani, in una mescolanza di immagini che include persone che si tuffano da un ponte, frammenti di eventi e di spettacoli, resti di antichi templi, reperti archeologici e scorci di panorami marini.


Kindil el Bahr affOggi il Festival ha presentato tre dei film del concorso ufficiale, Premio Amore e Psiche, un lungometraggio e due mediometraggi. Del primo, Inhebbek Hedi (Hedi), abbiamo scritto dalla Seminci di Valladolid. Il secondo, Kindil el Bahr (Kindil), 40 minuti, diretto da Damien Ounouri, è una vera sorpresa. Già selezionato per la Quinzaine di Cannes, il film avrebbe potuto essere premiato al Festival di cinema fantastico di Sitges. Il regista franco-algerino residente ad Algeri, infatti, narra una storia inverosimile, tra realtà e leggenda, come se si trattasse di un evento reale. Un giorno di festa sulla spiaggia in mezzo a tanti bagnanti. Una giovane donna, Nfissa, è accompagnata dalla madre e dalle sue due figlie. In attesa del marito, decide di bagnarsi al largo. Dopo molte evoluzioni in acqua si trova circondata da alcuni giovinastri che l’insultano e la maltrattano. E quando lei decide di difendersi, viene linciata. Non trovando la moglie, il marito chiede alle autorità di effettuare ricerche, ma il mare è grosso e nessun natante prende il largo. Le ricerche riprendono il giorno dopo con motoscafi e sommozzatori, ma dopo la tempesta il mare ha restituito diciannove cadaveri e l’ispettore di polizia che conduce le indagini non ritiene che le morti siano dovute alla tempesta. Circola la leggenda di una donna medusa che toglie il respiro agli uomini ed è convinto che la donna ricercata si sia trasformata in medusa. Chiede all’uomo di appostarsi sulla spiaggia, senza entrare in mare, per attirare la moglie. E a sua insaputa nasconde sommozzatori armati di arpioni, pronti a catturare la donna medusa. Storia surreale, avvalorata da riprese nelle quali Nfissa nuota lungamente sott’acqua provocando onde elettriche ed emettendo grida strazianti. Chiaramente da inserire nel genere fantastico dove i quaranta minuti di tensione, la splendida interpretazione di Adila Bendimerad e il rigore narrativo le varrebbero un sicuro successo. Nello stesso tempo, l’aggressione dei bulli che adducono morali socio-religiose contro le libertà individuali della donna nella società islamica, è ben descritta nella presentazione del catalogo che qui riportiamo. Un fantasy orrorifico che ‘riflette l’idea del corpo femminile quale luogo di aggressione sessuale e violenza e, sotto certi aspetti, come il fulcro di altre frustrazioni sociali, economiche, ideologiche degli uomini’.
le-jardin-d-essaiDania Reymond, nata in Algeria nel 1982, si è formata in Francia. Dopo il corto Jeanne (2012) presenta il mediometraggio Le jardin d’essai (Il giardino di prova), 42 minuti, girato nel Parco Tropicale di Algeri. Le prove sono quelle che il regista Samir chiede a giovani che vogliono diventare attori. Dopo un breve inizio che ricorda Salam Cinema (1995) di Mohsen Makhmalbaf nel quale facendo il casting di giovani debuttanti ne descrive aspirazioni e condizioni sociali, il film si sviluppa su due piani: i tentativi e le difficoltà di fare cinema in Algeria attraverso l’apporto spontaneo di giovani il cui lavoro non trova sbocco, e il racconto parallelo, di un antico sultano in una città assediata che, allo stremo dell’assedio, mette ad asciugare sugli spalti lenzuola bianche e getta agli assedianti le ultime pagnotte di pane. Dimostrando di avere acqua e pane in abbondanza, il sultano convince il nemico a togliere l’assedio. Così i giovani cineasti algerini, realizzando corti, medi e lungometraggi di finzione o documentari sollecitano il governo a sostenere il loro cinema. 


MV5BZGFhZWFhOWItMmJiOC00NDNjLTlmYTctMGZiODliZjY5Njk4XkEyXkFqcGdeQXVyMzU1OTM4NDU. V1 UY268 CR50182268 AL Nella sezione Focus Iran del Festival, Abad va Yek Rooz, (La vita e un giorno), è il film dirompente e drammatico dell’esordiente Saeed Roustayi, 27 anni, nativo di Teheran. Tra Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti e Un tram che si chiama Desiderio (A Streetcar Named Desire, 1951) di Elia Kazan, mette in scena la radiografia di una famiglia miserabile e dilaniata nel sud di Teheran. Girato quasi interamente in un interno, descrive i maneggi del figlio maggiore, Morteza, contabile in uno snack, che vuol far sposare la sorella minore, Somayeh, a un ricco afghano. Lei, pur di non restare zitella, sembra accettare la proposta di matrimonio. In realtà il fratello sta cedendo la sorella in cambio di una forte somma che gli permetterebbe di aprire un Fast Food. Tuttavia si tratta di una famiglia numerosa, orfani di padre e con una madre cretina e malata. Tanto stupida da nascondere la droga del figlio tossicodipendente Mohsen, ritenendo che dalla vendita possa ricavare denaro per l’istruzione dell’adolescente, Navid. Il film si apre con Mohsen che telefona a un compratore, e col fratello che gli toglie le dosi da vendere. Può essere un agente sotto copertura, gli dice, e infatti è così, ma trovandolo pulito, lo rilasciano. Sembra quindi che Morteza sia il responsabile della famiglia, ma salvando il fratello ha salvato la casa da una perquisizione. E si affretta a far sparire la droga e a far pulizia. Ora vorrebbe sbarazzarsi del fratello, aprire il ristorante e vivere con la sua amante, ma ha molte sorelle, tutte frastornate dall’imminente partenza di Somayeh. Azam, sposata con uomo agiato, va spesso in vacanza a Dubai e a Kish Island, è occupata dall’acquisto di una nuova auto, ma viene continuamente nella vecchia casa. Shanaz, separata dal marito che le passa un mensile, ha un figlio grande che ha ricevuto un piccolo sfregio al volto e si sta muovendo per denunciarlo e ottenere un forte risarcimento. E poi c’è un’altra sorella, compulsiva, che va e viene inventandosi sempre nuovi lavori. Chi soffre più di tutti, però, è Navid, ragazzo geniale, all’inizio dell’adolescenza, che rischia di essere coinvolto dalle miserie di casa e del rione, e che è triste per la partenza di Somayeh. Scritto e diretto da Saeed Roustayi, che ha all’attivo tre corti girati tra il 2012 e il 2014, il film dura 115 minuti pieni di litigi e di tensioni. E gli scontri verbali sembrano spesso sovrapporsi, tanto da far intuire che i sottotitoli inglesi debbano essere molto sintetici. Coraggioso e singolare questo quadro di miserie realizzato nell’Iran post rivoluzionaria, è un film poco visto dopo la sua partecipazione in Iran al Fajr Film Festival del febbraio scorso.
blessedbenefit 01-h 2016Gioioso, invece, l’esordio di Mahmoud al Massad in un lungometraggio di finzione. Giordano di 47 anni, attivo da vent’anni con corti e documentari premiati in molti Festival, concorre nella sezione ufficiale al Premio Amore e Psiche con Inshallah Istafadit (Beato beneficio). Commedia di 83 minuti prodotta da Germania, Giordania, Olanda e Qatar, narra di Ahmad, operaio edile, condannato a tre mesi di carcere per aver utilizzato un anticipo per aiutare il cugino a vendere dieci computer portatili sperando di ottenere un piccolo ricavo. Problemi di dogana, però, ritardano la vendita. Non potendo restituire la somma, l’operaio viene detenuto per frode. Sarà un inferno la galera? Proprio no! Ahmad, di mezza età, scaltro e sereno, diventa amico di tutti, e spesso arbitro di piccoli diverbi. Non solo, ma lontano da tante preoccupazioni, libero da telefonini che squillano, e col cibo assicurato, scopre una nuova libertà. Come Totò di Dov’è la libertà…? (1954) di Roberto Rossellini, Ahmad gode della breve vacanza che gli offre il carcere, ma già si preoccupa di quando sarà rimesso in libertà. Decisamente più divertente del film italiano, e questo è sicuramente l’intento del regista e sceneggiatore, il film si avvale di alcuni attori eccellenti: Ahmad Traher, Maher Khammash, Odai Hijazi, Nadeem Rimawi.


SCISSOR-STILL-8Molte le opere prime di giovani registi iraniani al Festival e non poche le sorprese. Oggi è la volta di un trentenne di Shiraz, Karim Lakzade’h, autore di sei corti e qui, nella sezione Focus Iran, col suo primo film, Gheychin (Forbici). Rama, giovanotto zelante e permaloso, ha 28 anni. Durante un diverbio con la fidanzata la colpisce a un occhio con un paio di forbici. Incarcerato, dovrà subire la legge del taglione: perdere un occhio. Il padre, personaggio influente, paga una forte cauzione che gli consente di portare il figlio a casa per un giorno e di preparare una cena in famiglia. Rama ne approfitta per contattare un amico cineoperatore che gli fornisce documenti falsi e cinepresa per farlo partire al suo posto con una mini-troupe che si reca verso sud, non lontano dalla frontiera. Per farlo dovrà tramortire il padre, che riterrà di aver ucciso, e abbandonare i compagni di viaggio e affidarsi ai contrabbandieri che lo porteranno in una piccola isola del Golfo Persico. Lì dovrà attendere un’imbarcazione che di notte lo trasferirà in un altro paese. Nell’isola semideserta, il caldo è soffocante e l’attesa della nave, sono sfibranti. Un’anziana donna gli dà acqua potabile e pesce. Oltre a lei c’è un vecchio marinaio che parla un dialetto incomprensibile, un bambino, e una giovane donna misteriosa dal volto completamento coperto. Passano alcuni giorni. Rama aiuta il vecchio nella pesca e a scambia poche parole con le due donne. La notte che appare l’imbarcazione per il suo trasferimento, la giovane misteriosa gli dice di essere incinta e di voler partire con lui.   Racchiuso in 85 minuti e illustrato con due lunghi flashback, il film è pieno di tensione e si avvale di tre ambientazioni: quella tradizionale della cena in famiglia e del rispetto delle leggi, quella moderna durante il viaggio in treno con la troupe, quella magica e misteriosa, la più lunga, su l’isola dove Rama si sente dapprima prigioniero, poi libero e disorientato, sempre in ansia e in attesa di una soluzione alla quale non sembra più credere. Interpretato da Abas Ghazali, il film segna l’esordio di un regista da non perdere d’occhio.
udN0iEE6yUO7oTCcwN4lDQ mediumDiverso il discorso per il film Marg-e Mahi (Morte del pesce) di Rouhollah Hejazi, 37 anni, nativo di Abadan. Al suo quarto film, il regista ha scritto e diretto uno psicodramma di cento minuti nel quale esplodono tensioni in un luogo circoscritto. La scena è quella della casa dell’anziana madre, deceduta improvvisamente, dove si ritrovano figli e nipoti in una giornata d’inverno. A parte il tentativo dei genitori di nascondere ai bambini la morte della nonna, restano le ultime volontà della defunta che ha chiesto di essere seppellita soltanto tre giorni dopo la sua morte e di non avvisare i parenti prima del funerale. Tocca al figlio maggiore dirimere i contrasti tra sorelle che vogliono rispettare i desideri della madre e coloro che trovano la cosa inammissibile adducendo anche considerazioni di carattere igienico. Si raggiungerà il compromesso di portare la salma nella serra, ma i tre giorni di veglia fanno emergere vecchi problemi e propizieranno inattesi e mal sopportati rancori. Guidati da Babak Karimi, presente al MedFilm insieme col regista e con quasi tutti i registi dei film iraniani, gli attori si cimentano tra grida e lacrime in un film che si potrebbe definire diligente. 


6O0B1923 Donatella-Finocchiaro-In concorso per il Premio Amore e Psiche del Festival due film d’autore della sezione ufficiale: Varoonegi (Inversione) dell’iraniano Behnam Behzadi, del quale abbiamo scritto da Un Certain Regard di Cannes, e l’italiano L’accabadora di Enrico Pau, film di prossima uscita dopo la partecipazione ai Festival di Ajaccio, Galway, Shanghai e a quello della Maddalena, IsReal, Festival di Cinema del Reale. Scritto da Enrico Pau e Antonia Iaccarino, era stato già presentato a teatro dal regista, che è anche attore e scenografo. Ora, coprodotto con l’Irlanda, è un film di circa novanta minuti, interpretato da Donatella Finocchiaro. Ambientato negli anni 40 durante la guerra, ha come protagonista una figura mitica della cultura sarda, la donna chiamata a dare la dolce morte a malati incurabili. Attiva soprattutto nelle campagne, era persona rispettata, ma evitata ed estranea alla vita sociale. Nella tradizione era una donna anziana e appartata: nel film ha trentacinque anni, si chiama Annetta e già da bambina ha ereditato dalla madre la professione. E c’è un momento in cui confessa di aver avuto la sensazione di cadere in una fossa dalla quale non è più emersa. Il film si apre con Annetta che arriva a Cagliari alla ricerca della nipote Tecla. Un sacerdote la invia da una famiglia agiata che sta abbandonando la villa per trasferirsi nella casa di campagna e sottrarsi ai bombardamenti. Le lasciano le chiavi dell’antica residenza, e cibo. Dovrà custodirla, e sarà sola tra tante stanze e corridoi. Tra allarmi, bombe e corse al rifugio, Annetta trova Tecla in un bordello. La invita a trasferirsi in villa, ma la nipote rifiuta. All’origine c’è il fatto che era stata Annetta a mettere fine alle sofferenze della madre di Tecla, e quando questa lo aveva saputo, essendo rimasta orfana, era partita per la capitale. Difficile, dunque, riconquistare la fiducia della nipote, che sarà poi vittima dei bombardamenti ed entrerà in un coma profondo. Al suo capezzale, Annetta conosce un medico straniero, che incontrerà ancora. Lui si prodiga per salvare vite umane, mentre lei ne soffoca l’ultimo respiro. Tuttavia i due si capiscono, sempre mantenendo le distanze perché lei non familiarizza, non sorride, parla pochissimo e si muove come una vestale. E’ il terzo film di Enrico Pau, dopo Jimmy della collina adattato dal romanzo di Massimo Carlotto e interpretato da Barry Ward che qui veste i panni del medico. L’opera conta anche su Carolina Crescentini, nel personaggio di una pittrice sarda, su Sara Serraiocco (Tecla), e su Anita Kravos, Camilla Soru, Federico Noli e Piero Marcialis. Ruoli importanti giocano la musica di Stephen Rennicks e la fotografia di Piers McGrail, in un film che per alcuni versi ricorda la forza della tradizione e della natura descritti da Amir Naderi in Monte, ma qui siamo a un’altra latitudine e a un diverso tipo di solitudine che isola la protagonista dal contesto sociale. Per ancorare il film alla realtà storica, il regista ha inserito alcune immagini della processione di Sant’Efisio girate da Marino Cao nel maggio del 1943, tuttavia il racconto resta in bilico tra cronaca e leggenda, veicolato dalla sapiente interpretazione di Donatella Finocchiaro, vestale suo malgrado, esclusa da affetti e da relazioni amorose.


photo 6001 11666641Al Festival si sono visti due film nuovi di zecca. Dalla Tunisia Thala mon amour (Thala amor mio) di Mehdi Hmili nella sua prima visione fuori dalla Tunisia; dall’Iran Khaneyee dar Khiyaban-e Chehelo Yekom (Una casa sulla 41° Strada) di Hamid Reza Ghorbani, in uscita in questi giorni a Teheran.  Nativo di Tunisi e laureato a Parigi, Mehdi Hmili è al suo quarto film dopo X Moment (2009), Li-La (2011), La notte di Badr (2012). Poeta popolare per le sue opere di protesta contro il regime di Ben Ali, il regista ha girato un film ambientato durante la rivoluzione del 2011. Thala è la città di tredicimila abitanti dove Mohamed ritorna dopo essere fuggito dal carcere dov’era detenuto per motivi politici. Stordito da un contrabbandiere che lo vuole rapinare e che lo carica sul suo carro, il giovane riesce a superare le strade strettamente vigilate dalla polizia. Liberatosi, si mette alla ricerca di Hourya, la sua ragazza che era stata violentata in carcere quando lui veniva torturato. La madre e la sorella di Hourya gli sbattono la porta in faccia. Nascosto da un ex agente del regime in cerca di redenzione, Mohamed torna in strada attirato da colpi di arma da fuoco. I giovani sono in rivolta. Lui si nasconde, e appena la polizia se ne va, raccoglie un ferito e lo porta al pronto soccorso. Ripreso con un cellulare, si ritrova su Facebook. Hourya, che lo riteneva morto, si è sposata con Adel, vive a Kasserine e lavora in una sartoria. Quando una collega le indica il video, lei, che continua a militare a insaputa del marito, riesce a salire su un’ambulanza diretta a Thala. A casa della madre trova il marito che si era preoccupato per la sua assenza. Ciononostante si reca sul luogo della veglia del giovane che è appena morto e scorge Mohamed. Quando se ne va, lui la segue. E’ un incontro senza parole, un abbraccio tra fantasmi. Qualcosa si è rotto per sempre. Impossibile tornare indietro. Prodotto da Tunisia, Francia e Germania, il film dura 80 minuti articolati su due racconti che confluiscono nel finale rivelando la natura e le relazioni dei personaggi, ripresi sullo sfondo della rivoluzione che ha cambiato la loro vita. Sensibili e misurati gli attori, Ghanem Zrelli, Najla Ben Abdallah e molti altri.
still a house on 41st street h 2016Il film iraniano, (86 minuti), invece, ci porta all’interno di un conflitto familiare, uno dei temi più frequentati dal cinema del paese, ed è l’opera prima dell’ex assistente di Asghar Farhadi. Scritto da Azita Iraie, narra della disputa tra due fratelli per motivi di soldi e della morte accidentale di uno di loro. L’altro si nasconde provocando lo scontro tra la moglie e la cognata. Sarà l’anziana madre a tentare di mettere pace. Per farlo, incontra il figlio e lo consiglia di costituirsi per placare l’ira della cognata e dell’orfano dodicenne che non si da pace e non rivolge più la parola alla cuginetta. Entrato in prigione, le acque si calmano. Poi la madre decide di vendere il negozio, l’oggetto della disputa, e col ricavato paga la cauzione per la liberazione del figlio che va a vivere in un altro quartiere. Quando la cognata viene a conoscenza del fatto, reagisce sdegnata: decide di andare a vivere col figlio in un’altra città. E proprio allora appare il colpevole. Gioco d’attori, di affrontamenti e rivalse, mostra anche aspetti inediti della legge vigente in Iran. Illustra interessi che penalizzano affetti familiari, e scontri caratteriali sullo sfondo dell’attuale Teheran. Gli interpreti: Mahnaz Afshar, Ali Mosaffa, Soheila Razavi, Sara Bahrami, Arash Majidi.


inversionPREMI

Le sei giurie del Festival hanno assegnato i seguenti premi:
° CONCORSO AMORE E PSICHE
Premio per il miglior film a INVERSIONE di Behnam Behzadi (Iran).
Il premio speciale della giuria a KINDIL di Damiem Ounouri (Algeria, Kuwait, Usa).
Il premio Espressione Artistica alla migliore regia a IL GIARDINO DI PROVA di Dania Reymond (Francia, Algeria).
° CONCORSO OPEN EYES
Miglior documentario: TRA RECINTI di Avi Mograbi (Israele).
Menzione speciale a UN’ESSENZA MAGICA SCORRE IN ME di Jumana Manna (Palestina).
° CONCORSO MITHEXIS
Miglior corto: UMMI di Nikos Avgoustidi (Grecia).
Premio Cervantes: LA BALLATA DELLE RANE di Leonor Telles (Portogallo)

menzione speciale per ESTATE di Ronny Trocket (Belgio/Francia).

Premi Collaterali
° CONCORSO PIUCULTURE
INVERSIONE di Behnam Behzadi (Iran).
° PREMIO GIURIE UNIVERSITARIE
Miglior film, INVERSIONE.
Menzione speciale per KINDIL di Damien Ounouri.  
Miglior documentario: ZAINEB ODIA LA NEVE di Kaouther Ben Hania (Tunisia).
Miglior corto: UMMI di Nikos Avgoustidi (Grecia).
Menzione per AIDA di Maysoon El-Massry (Egitto).
° GIURIA ITS ROSSELLINI
Miglior film: KINDIL di Damien Ounouri.
Miglior documentario: ATLAL di Djamel Kerkar (Algeria).