14 Aprile 2016
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Festival Internazionale del Film di Cannes 2016 |
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In Juste la fin du monde (Solo la fine del mondo) del francese Xavier Dolan il regista commette un errore di fondo, quello di pensare che il passaggio di un testo teatrale allo schermo cinematografico - in questo caso il copione omonimo scritto dall’attore, regista e drammaturgo Jean-Luc Lagarce (1957 – 1995) nel 1990 mentre era ammalato di AIDS – non richieda altro ingrediente stilistico se non l’uso insistito, ossessivo del primo piano. E’ una scelta che isola gli attori dal contesto e, malgrado i dialoghi fluviali, li rende ben poco rappresentativisi. Uno scrittore ammalato terminale ritorna in famiglia, ma madre, sorella, cognata e fratello non hanno tempo per prestare attenzione alle sue ultime parole. L'incontro si chiude come si era aperto: nell’indifferenza e chiusura in se stessi dei familiari. La scelta fatta dal regista approda a un film passabilmente noioso ed esteticamente inutile, un esempio da non seguire nel rapporto fra palcoscenico e grande schermo.
Bacalaureat (Il diploma) di Cristian Mungiu, vincitore della Palma d’Oro 2007 con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (4 luni, 3 saptamani si 2 zile), conferma il momento felice attraversato dal cinema rumeno. Il film ruota attorno ai pochi giorni in cui si svolgono gli esami di diploma nella cittadina transilvana di Cluj. Qui un medico che ha fatto di tutto, assieme alla moglie, affinché sua figlia sia accolta in una prestigiosa università inglese. Il professionista appartiene alla generazione che, come dice lui stesso, ha fatto di tutto perché il paese si trasformi, dopo il buio della dittatura di Nicolae Ceaușescu, in una nazione moderna. La studentessa, per aver diritto alla borsa di studio che le aprirà la via della Gran Bretagna, deve ottenere una votazione con un minimo di diciotto ventesimi in ogni materia. Il giorno prima dell’esame la ragazza subisce un’aggressione a scopo di rapina con il malvivente che le rompe un braccio. Ora ha difficoltà a scrivere e la prova, stabilita a livello nazionale, non può essere rinviata. Fa l’esame, ma sia per il trauma subito poche ore prima, sia per altre regioni ottiene la sufficienza, ma con un punteggio inferire a quello richiesto per la borsa di studio. A questo punto il padre muove le sue conoscenze per farle alzare il voto e finisce coinvolto in un’inchiesta per corruzione che riguarda gli alti personaggi a cui si era rivolto. La cosa disgusta ancor più la ragazza che, di fatto, rinuncia alla possibilità di andare a studiare all’estero. Nel frattempo anche la famiglia, già in equilibrio precario causa un’amante del professionista, si sfascia completamente rivelando un panorama di macerie morali e materiali che, forse, serviranno per una nuova nascita. Il film offre un quadro spietato e terribile della Romania dei nostri giorni. Ciò che più colpisce è l’inutilità degli sforzi per rimuovere ogni illegalità in un sistema che sembra aver fatto della corruzione l’unica regola rispettata da tutti. Un panorama dominato da cumuli d’immondizia, appartamenti fatiscenti, uffici pubblici e ospedali degni del terzo mondo. La regia rappresenta questa realtà senza nascondersi dietro a veli o pretesti e lo fa con la semplicità di un realismo sconvolgente. Una menzione particolare meritano le prestazioni di un cast – da Adrian Titieni a Maria Drăguş a Lia Bugnar – di grandissima efficacia.
Hymyilevä Mies (Il giorno più felice nella vita di Olli Mäki) del finlandese Juho Kuosmanen, un attore qui al primo lungometraggio, presentato nel programma di Un Certain Regard è un film in bianco e nero che racconta fatti che risalgono all’estate del 1962, quando un pugile dilettante fu chiamato a misurarsi con l’americano di colore che deteneva il titolo di campione del mondo dei pesi piuma. Ne uscì sconfitto al secondo round e riprese mestamente la via della provincia e del mestiere di panettiere. Il film è molto ben costruito anche se lo sguardo sul mondo dello sport professionista pecca di non poca approssimazione.
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