Antalya: 43mo Arancia d’Oro Film Festival – 2° Eurasia Film Festival - Pagina 4

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Antalya: 43mo Arancia d’Oro Film Festival – 2° Eurasia Film Festival
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Isabella

Altro punto interessante la presentazione di tre film cinesi. Isabella di Ho-Cheung Pang, cui i giurati della Berlinale 2006 hanno assegnato il premio per la migliore colonna sonora, ha per sfondo la Macao del 1999, nei mesi che precedono la restituzione della colonia portoghese all’amministrazione della Repubblica Polare Cinese. Qui un poliziotto violento e corrotto riceve la visita di una ragazzina che dice di essere sua figlia. Si forma in questo modo una strana coppia fra la fanciulla e l’adulto, maturo e disincantato. Potrebbe essere una metafora del cambiamento che si appresta a subire la colonia, vecchia di quattro secoli, con il passaggio all’amministrazione della Cina del boom economico. Potrebbe, ma le tracce sono davvero labili e ciò che domina è il tentativo d’inserirsi in un contesto da commedia malinconica in un ambiente che assomiglia molto a quelli che fanno da sfondo ai film d’azione hongkonghesi. Il risultato non è molto convincente e il film soffre di eccessiva lunghezza e frequente ripetitività delle situazioni. Straordinaria, come di consueto, la maestria nell’uso della macchina da presa e la perizia della fotografia.
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Il banchetto
Ye Yan (Il banchetto) di Xiaogang Feng, vincitore di un premio all’ultima Mostra di Venezia, è la versione cinese, in salsa duelli – balletto e scenografie ammalianti, dell’Amleto di William Shakespeare. La proposta è suggestiva e la confezione straordinariamente ricca in mezzi ed invenzioni linguistiche, ma il risultato segna una perdita netta della complessità psicologica del testo in favore di un’esaltazione d’azione e ambientazione. Si ammira la geometria della composizione interna delle immagini, la meraviglia degli scontri fra spadaccini con i personaggi che volano, sorgono dalla terra o scendono dal cielo, ma alla fine si resta con l’impressione di avere fra le mani un bel guscio vuoto.
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Il fiore del gelsomino
Mo li Hua Kai (Mo Il fiore del gelsomino, 2004) di Yong Hou percorre la strada, ormai trasformata in qualche cosa di simile ad un genere vero e proprio, della saga familiare come ritratto delle grandi e drammatiche trasformazioni avvenute in Cina dalla fine degli anni trenta agli anni ottanta. Lo sfondo è quello di Shanghai fra il 1937 e gli anni novanta, vissuto da quattro donne che animano i tre capitoli in cui il film si articola: nonne, madri, figlie. Si inizia con la giovane Mo che s’inebria per il cinema essendo stata scelta come attrice debuttante da un produttore che ne fa la sua amante. Cacciata dalla madre, che l’ha allevata da sola, ritorna a casa dopo l’occupazione giapponese della Cina, quanto il cinematografaro fugge a Hong Kong. Qui scopre di essere incinta e vi trova uno zio, accasatosi con sua madre, che tenta di possederla, ma si fa scoprire causando il suicidio dell’amante. Una quindicina d’anni dopo Mo è una matura, piacente signora la cui figlia aderisce alla rivoluzione culturale e sposa un militante comunista duro e puro. La coppia va a vivere nella vecchia casa e la cosa fa impazzire di gelosia la giovane, che accusa il marito di concupire la madre. Il giovane, sconvolto, si uccide, mentre la falsa accusatrice finisce in manicomio. Poco prima di questa melodrammatica tragedia la coppia aveva adottato una bambina che sarà allevata dalla nonna. Passano gli anni ed ora la ragazzina è diventata donna, mentre Mo è ormai un’anziana. Altre tragedie, con un matrimonio sfortunato della giovane, la nascita di una figlia destinata ad essere allevata senza padre e morte dell’anziana protagonista. In poche parole, un melodramma di quelli che non dovrebbero dispiace agli estimatori del cinema di Raffaello Matarazzo con, in più, qualche pennellata sociale. Un film ben costruito, esagerato negli effetti sentimentali, più attento ai personaggi che al contesto, ma non disprezzabile.