Antalya Film Festival 2007

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Antalya Film Festival 2007
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{ImageIl Festival del film di Antalya, stupenda cittadina balneare nel sud dell’Anatolia turca, ha tre facce. Alle classiche selezioni internazionale e nazionale, giunte entrambe alla 44ma edizione, da tre anni si sono affiancate una sezione, detta Eurasia, dedicata alle opere che possono funzionare da ponte fra i due continenti, e un mercato che, quantomeno nelle intenzioni, dovrebbe funzionare da terreno d’interscambio fra i circuiti commerciali dei paesi mediterranei e orientali. Molte buone intenzioni, ma grandi difficoltà di realizzazione, in una situazione in cui persino i grandi festival stentano a trovare molte opere di valore quindi scelgono di accaparrarsi tutto il possibile, restringendo ancor più il campo si ricerca delle rassegne meno forti, Lella sostanza una manifestazione come questa assume un valore particolare soprattutto per la possibilità che offre di visionare la più recente Il Festival del film di Antalya, stupenda cittadina balneare nel sud dell’Anatolia turca, ha tre facce. Alle classiche selezioni internazionale e nazionale, giunte entrambe alla 44ma edizione, da tre anni si sono affiancate una sezione, detta Eurasia, dedicata alle opere che possono funzionare da ponte fra i due continenti, e un mercato che, quantomeno nelle intenzioni, dovrebbe funzionare da terreno d’interscambio fra i circuiti commerciali dei paesi mediterranei e orientali. Molte buone intenzioni, ma grandi difficoltà di realizzazione, in una situazione in cui persino i grandi festival stentano a trovare molte opere di valore quindi scelgono di accaparrarsi tutto il possibile, restringendo ancor più il campo si ricerca delle rassegne meno forti, nella sostanza una manifestazione come questa assume un valore particolare soprattutto per la possibilità che offre di visionare la più recente produzione nazionale. Va detto subito che l’inizio non è stato particolarmente promettente.
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Beatitudine
Mutluluk (Beatitudine) di Abdullh Oğuz, noto distributore e produttore di spot e telefilm passato alla regia nel 2003 con Asmali konak: Hayat, mescola moltissimi generi. Inizia come il classico film di campagna con tanto di Aga, un figura a mezzo fra il proprietario terriero e il podestà di fascista memoria, fanciulle violentate e famiglie cadute nella vergogna che possono redimersi solo con la morte dell’oltraggiata. Tuttavia, dopo una manciata di sequenze, si trasforma in una storia d’amore, non meno prevedibile, fra carceriere e prigioniera, per finire come un film psicologico – sociale volto alla condanna dei costumi ancestrali e al trionfo della mentalità moderna. Tutto inizia con una ragazza trovata esanime e svestita sulla riva di un fiume. E’ ovvio che abbia subito il peggiore degli affronti, perciò la famiglia, secondo la tradizione, deve costringerla a suicidarsi o ucciderla. Poiché la giovane, per quanto trattata come un animale, non hs nessuna voglia di suicidarsi, il capo del villaggio, l’Aga, la affida al figlio affinché la porti ad Istanbul e là, nel caos della grande città, la faccia sparire. L'uomo è appena tornato dal servizio militare portandosi dietro gli incubi per le violenze cui ha partecipato nel corso della guerra contro i curdi per cui, al momento dovuto, non se la sente di ucciderla e scappa con lei inseguito dagli scherani del padre. I due fuggitivi si imbattono in un professore, in crisi matrimoniale, che veleggia fra la costa turca e le isole greche. Il colto ed elegante navigatore li prende a bordo della sua barca da sogno ed inizia ad insegnare loro le regole di una vita meno brutale. Ovvio che fra la coppia esploderà un amore appassionato, mente l’anziano riprenderà il mare ancor più saggio. Il film si muove su un tessuto che, più che al melodramma, guarda al fumetto, non dimenticando d’infarcire il racconto con spruzzate di socialità (la carneficina curda), modernità spicciola e, soprattutto, stupendi panorami destinati a promuovere il turismo verso la Turchia e, in seconda battuta, la Grecia, visto che si tratta di una coproduzione fra i due paesi. Stupisce che dietro a questa marmellata mal assortita s’intraveda la firma di Zülfü Livaneli, da un cui racconto il film è tratto, ottimo musicista e autore di film non trascurabili (Sis – La nebbia, 1993).
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Volti nascosti
Antichi, terribili costumi sono anche al centro di Sakli Yüzeler (Volti nascosti), opera terza della regista Hendan İpekçi. Il film intreccia tempi e ambienti in modo non sempre lineare. Si parte dalla Germania di oggi dove, nella vasta comunità turca, vive un gruppo familiare guidato da una donna autoritaria e rispettata che guarda con diffidenza ad un parente divenuto capo di una banda di criminali. Sarà proprio questo boss ad innescare la tragedia, quando scoprirà che la nipote, che credeva di aver ucciso perché colpevole di aver avuto un figlio senza essere sposata, è ancora viva. Per cancellare l’onta che, a suo dire, incrina la rispettabilità del clan decide di mettersi in caccia della sopravvissuta. Solo che dietro a tutta la vicenda c’è un documentarista che ha girato un film in cui è raccolta la testimonianza della sopravvissuta ed ora vuole proseguire il discorso girando il seguito della storia. L’intreccio narrativo non è chiarissimo e mescola verità e finzione, passato e presente per approdare ad un finale di tipico inseguimento poliziesco in cui i buoni tentano di arrivare prima dei cattivi a salvare la donzella. L’intento è lodevole si tratta di denunciare la vergognosa tradizione in favore dei delitti d’onore che in Turchia, come nell’Italia di quaranta anni or sono, infligge pene minime a chi uccide per vendicarsi di adulteri o offese morali. Una didascalia finale ci informa che le cose stanno cambiando e che nuove leggi sono state emanate per adeguare le pene alla gravità dei reati. L’operazione ricorda quella di cui è stato protagonista molto cinema degli anni cinquanta: utilizzare moduli narrativi codificati, in questo caso il poliziesco, per veicolare tesi socialmente rilevanti. Nel caso specifico un ostacolo alla piena riuscita dell’operazione è nella complessità della struttura prescelta, un groviglio di piani narrativi che in non pochi passi rendono difficile la comprensione del discorso. Come dire molta buona volontà per un risultato parziale.