17 Novembre 2015
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53° Festival Internacional de Cine de Gijón |
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Umrika (America, 2015) è uno dei due film indiani – l’altro era Masaan di Neeraj Ghaywan – presentati con successo nella Sezione Ufficiale del Festival. Secondo lungometraggio del regista di Delhi in a day (Delhi in un giorno, 2011) - premiato dal pubblico al Sundance Film Festival - commedia sottile e intelligente sui temi, stereotipi e incomprensioni tra culture e paesi diversi e lontani. Anche in questo caso non delude e dimostra come il cinema occidentale ed il suo modo di raccontare, se ben mescolato con i temi e le atmosfere asiatiche, possa rendere appetibile ed interessante storie particolari. Lo sceneggiatore e regista Prashant Nair, pur essendo nato in India, è di nazionalità francese. Ha trascorso la sua infanzia in Svizzera, Sudan, Siria, Zambia e Austria a seguito della famiglia. Laureato in ingegneria, si è dedicato a progetti sociali per dodici anni, vivendo a New York, Praga e Parigi. Il suo primo lungometraggio realizzato con un budget di soli ottantamila dollari, è uscito nelle sale in India nel 2012 ed è entrato nella top 10 dei film indipendenti del paese. Ha vinto numerosi premi e ha partecipato a più di trenta festival cinematografici. L’idea per il suo secondo film gli è venuta in mente a Bombay dove stava scrivendo un’altra sceneggiatura. La vita di un tranquillo villaggio in India, a metà degli anni '80, cambia radicalmente quando Udai, uno dei suoi più giovani abitanti parte per gli Stati Uniti in cerca di fortuna. Presto, le sue lettere piene di entusiasmo e speranza, con incollate immagini di un mondo che tutti sognano, fanno felice la sua famiglia e gli amici, ma quando queste terminano in maniera brusca senza alcuna spiegazione, il fratello più giovane decide di seguire le sue orme lo fa assieme a Lalu, il suo migliore amico. Il viaggio diventerà una vera avventura iniziatica che li porterà in mondi inaspettati, abbandonando il sogno americano per trovare il proprio immaginario. La storia è molto bella e racconta di realtà difficili, da capire se non si conosce la disperazione delle persone che abbandonano tutto solo con la speranza di avere una vita migliore. Nemmeno una traccia del melodramma indiano, ma una struttura narrativa di grande bellezza.
Black (Nero) di Adil El Arbi e Bilall Fallah acquista un terribile valore documentaristico di una realtà che stiamo vivendo in questi giorni dopo gli attentati di Parigi: la zona di Bruxelles dove è ambientato il film è la stessa in cui si stanno cercando i terroristi. Il degrado sociale, la povertà, bande giovanili che si dividono il mercato della delinquenza, amori e sgarri che finiscono anche con la morte. E’ una realtà che si conosce solo quando, forse, è troppo tardi per cercare di porre rimedio. Il film è diretto da due giovani e promettenti autori di origine marocchina che hanno studiato presso l'Institut Saint-Luc di Bruxelles, dove si sono incontrati e da allora ha formato una coppia inscindibile che ha realizzato alcuni corti presentati e premiati in vari festival. Questo è il loro secondo lungometraggio, l’opera del debutto è stata Image (Immagine, 2014), che raccontava di una giovane giornalista che vuole documentare le strade malfamate di Bruxelles e che quasi subito coinvolta nella vita di un ragazzo marocchino. Temi sociali che i due conoscono molto bene, realtà dai tragici contenuti, amore che può sbocciare ovunque. E’ un riuscito esercizio di realismo senza compromessi che documenta una Bruxelles lontana mille miglia da quella turistica che conosciamo, è la storia d'amore impossibile tra giovani. I due appartengono a bande di strada che si contendono il territorio, sono disposte a tutto pur di ottenere un po’ di denaro e il rispetto della gente che li attornia, meglio dire il terrore. Mavela ha quindici anni ed è di origine africana, è un Black Bronx e vive nel quartiere Matonge, Marwan un nordafricano che fa parte dei 1080 nel Distretto di Molenbeek - Saint-Jean. Si incontrano e si innamorano in un commissariato al punto di intraprendere una relazione clandestina mettendo in discussione la lealtà alle rispettive bande, cosa che li espone a un grave conflitto, non solo morale, poiché uno sgarro può essere pagato con la vita loro o dei loro genitori. Realistico e romantico, al tempo stesso, il film presenta un ritratto della capitale belga credibile e, a tratti, sconvolgente. Un buon documento del disagio e della la possibilità di capire come nascono certe realtà che possono terrorizzare il mondo.
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