53° Festival Internacional de Cine de Gijón - Pagina 3

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53° Festival Internacional de Cine de Gijón
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F1494 d-ardennen

Nel secondo giorno del Festival sono stati presentati altri titoli interessanti. D’Ardennen (Le Ardenne, 2015) è un film belga ambientato nel mondo parallelo degli emarginati dove rubare, drogarsi, uccidere vengono considerati comportamenti accettabili ed accettati. Tuttavia, oltre l’apparenza di un’opera che si occupa del disagio vissuto anche tra due fratelli, questo segna il debutto nel lungometraggio del giovane Robin Pront. E’ un thriller in grado di creare forte tensione con un finale prevedibile solo se non ci si è lasciata sfuggire nemmeno una scena. Dopo una rapina fallita, Kenneth è catturato mentre la sua ragazza ed il fratello Dave riescono a fuggire. Quattro anni più tardi è rilasciato e torna a casa sperando di iniziare una nuova vita, non sapendo che suo fratello e la ragazza hanno ora una relazione e hanno completamente abbandonato delinquenza, alcol e droga. Kenneth inizia a lavorare nella grande stazione di lavaggio auto in cui è impiegato il fratello. Le cose sembrano andare bene ma subito litiga col titolare e fa licenziare anche Dave. Tuttavia i veri problemi arrivano quando scopre che si è creata una nuova coppia e che la sua ex - fidanzata aspetta un figlio. La tragedia incombe su ciascuno e la violenza scoppia all'ombra delle Ardenne, paesaggio dei momenti più felici dell’infanzia dei due giovani. Di più non è lecito dire, sicuramente il finale non lascia indifferenti. La prima caratteristica di questo regista, co - sceneggiatore assieme al bravissimo Jeroen Perceval, è che sceglie una chiave narrativa che è un esempio di ottimo livello neo-noir, visto in una chiave violenta e spietata, che può essere definito come un incrocio tra Il cinema di Quentin Tarantino e quello dei fratelli Dardenne. L’autore è belga con origini tedesche, ed è noto per concedere poco al pubblico che costringe a ricevere parecchi pugni allo stomaco. Bello ma, sicuramente, impegnativo sia per i temi trattati ma, soprattutto, per alcune immagini di rara violenza.
283987Je suis un soldat (Io sono un soldato, 2015) è diretto in maniera convincente da Laurent Larivière. Presentato nella sezione Un Certain Regard a Cannes, vuole essere esempio di quel socio realismo, con la precarietà del lavoro che mina la classe operaia e incarna un thriller proletario la cui influenza principale è il cinema dei fratelli Dardenne. Il regista ha diretto sei cortometraggi premiati in vari festival, ha realizzato spettacoli teatrali e questo è il suo primo lungometraggio. Il punto di partenza è il senso di vergogna che la crisi ha diffuso in questa parte del mondo. Bella la frase detta dalla protagonista: noi non siamo in grado di realizzare i nostri sogni, ma questo male è comune a tutta la società. A trent'anni, Sandrine è rimasta senza lavoro e senza casa, vale a dire senza un posto al mondo in cui potersi sentire viva ed esistere. Di fronte a un quadro così desolante torna da sua madre sperando di riuscire a costruire una nuova esistenza. Qui abita anche sua sorella insieme marito e figlia perché, pur lavorando entrambi, non riescono ad avere una vita indipendente e vivono anche loro una fase di difficoltà economica. Per contribuire ai costi della famiglia, la ragazza inizia ad aiutare suo zio in un allevamento di cani che sembra essere una copertura per il traffico di animali importati dall'Europa orientale. Si guarda in giro, capisce i meccanismi di questo commercio e inizia a guadagnare in maniera illegale frodando lo Stato e lo zio. In questo modo corre il rischio di essere inghiottita da una pericolosa spirale. Buona l’idea iniziale ma fin troppo ripetitivo lo sviluppo che sembra volere raccontare in maniera, fin troppo verista, la pulizia dei canili - stalla, la morte di tanti cuccioli, i traffici tra persone pericolose e il lavoro di un veterinario che falsifica i certificati di vaccinazione. I fan di Johnny Holiday saranno felici di ascoltare Quand revient la nuit e scoprire che uno dei suoi versi dà il titolo a questa pellicola che racconta due storie: la vergogna di vivere un’esistenza che non si accetta ed il violento traffico di cuccioli. Il regista ha detto: per me il titolo è molto importante perché è un'allegoria che evoca il film.  I cani, protagonisti del crudele traffico, secondo le intenzioni del autore servono a mettere in primo piano qualcosa di poco conosciuto, un traffico da quindici milioni di dollari il terzo, per valore, dopo quelli di armi e droga