53° Festival Internacional de Cine de Gijón - Pagina 2

Stampa
PDF
Indice
53° Festival Internacional de Cine de Gijón
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
Tutte le pagine

LaCalleDeLaAmargura01Il festival, giunto alla 53ma edizione, conferma il desiderio di raccontare un cinema che difficilmente sbancherà al botteghino ma che può sperare in ottimo riscontro da parte dei cinefili. E’ fatto di originalità, di temi difficili, di ironia, di desiderio di scoprire intelligenza in opere che ne sono spesso carenti. Non a caso, anche il Galà di apertura ha poco da compartire con tanti altri Festival: si limita a presentare i vari cicli proposti attraverso brevi ma complete selezioni di immagini, talvolta accompagnate dalla presenza degli interpreti e del regista. Per l’apertura è stato scelto il film messicano La calle de la amargura (La strada dell’amarezza) di Arturo Ripstein, presentato fuori concorso all’ultima mostra di Venezia, interamente girato in bianco e nero ambientato in una delle zone più socialmente degradate di Città del Messico. Due prostitute ormai anziane, la madre di due lottatori nani di wrestling con un marito alcolizzato, furti e violenze ma sempre con il rispetto per il mondo che loro permette di sopravvivere, quello del ultraterreno fatto di bontà, pietà, speranza, desiderio di redenzione da una vita tristemente vissuta. Il regista riscrive il suo paese con toni grotteschi. Una realtà che supera i limiti del plausibile, distruggendo i confini del tema imposto dall'esterno ed apparentemente protagonista della vicenda che ben presto lascia spazio solo alle emozioni. Quello stesso paese del melodramma scatenato, delle passioni sfrenate, già interpretato da alcune delle sue opere come un profondo cocktail di situazioni antitetiche che provocano la distruzione degli uomini e della loro umanità. Per scrivere del suo film non si può e non si deve parlare solo di questo: limiterebbe la ricchezza del mondo del regista, il suo modo di descrivere ogni cosa come un triste carnevale e della morte come movimento vitale per l’universo. Racconta un paese nella sua essenza, lo fa capire attraverso i suoi personaggi. Bellissimi i due lunghi piani sequenza, particolarmente brave le protagoniste Patricia Reyes Spindola, Nora Velázquez e Sylvia Pasque. Il settantaduenne cineasta è figlio del produttore Alfredo Ripstein e ha iniziato la carriera giovanissimo come assistente Luis Buñuel (1900 -1983) di cui il padre finanziava i progetti. Sicuramente un aiuto importante per potere divenire un autore interessante e prolifico ma anche una maledizione con cui doversi confrontare. Una realtà iniziale troppo facile non può che essere contestata dai meno fortunati.
Nasty-Baby-Movie-PosterIl trentaquatrenne cileno Sebastian Silva ha studiato cinema in Cile e animazione a Montreal, debuttando nel lungometraggio con la commedia drammatica La vida me mata (La vita mi uccide, 2007). Due anni dopo, a soli trent’anni, ha realizzato forse il suo film più bello: Affetti & dispetti (La nana, 2009), un’altra commedia drammatica che ha avuto un ottimo riscontro anche in Italia. Prima, nel 2009, aveva vinto il Gran Premio della Giuria al Sundance Film Festival trionfato al festival de La Avana e ottenendo premi in un’altra decina di Festival. Nasty Baby (Brutto bambino, 2015) prosegue sul terreno di questo stile beffardo in cui mescola divertimento, dramma, thriller esagerando volutamente in alcune scene di violenza come in momenti troppo smaccati di dolcezza. I suoi innamorati sono fedeli, hanno una love story accettata da ambedue le famiglie, desiderano ardentemente un figlio. L’unico problema è che, essendo gay, hanno bisogno di trovare un’amica che si presti di funzionare come utero in affitto. La trovano, ma la donna desidera divenire madre veramente. Anzi, è lei il motore di tutta l’avventura perché vuole sentirsi l'unica genitrice del bimbo avendo a disposizione due padri che la possano aiutare. Nel corso della storia si aggiungono personaggi che complicano ulteriormente la situazione, creando momenti sempre più drammatici, ma anche positivi come l’uccisione di un uomo che gira attorno a loro ed è visto come momento di aggregazione vero, positivo nonostante che, da vivo, fosse amico di tutti. I colpi di scena non sono prevedibili ma c'è una ventina di minuti, superati i problemi per l’inseminazione, che sembrano meno riusciti. Il brutto bambino del titolo non è altro che l’immagine dell’artista da bimbo trasformata, per una sua performance, in una specie di neonato ibrido dall’aspetto raccapricciante. Il giovane artista visuale Freddy e il suo fidanzato falegname Mo sono una coppia gay di Brooklyn che vorrebbero avere un figlio con l’aiuto dell’amica Polly. La bella avventura della paternità inaspettatamente dà vita ad un senso di grande disagio soprattutto a causa di un vicino omofobo che continua ad insultarli. Anche nella cosmopolita vita di New York, presunto paradiso di raffinatezza e diversità in cui ciascuno vive secondo i principi del pensiero politicamente corretto e dove essere diversi vuol dire subire rifiuti o, quantomeno, essere fortemente ostacolati. Regista, sceneggiatore e interprete principale, Sebastian Silva, cineasta cileno che vive negli Stati Uniti e sopravvive da anni lavorando per la televisione e realizzando film sempre molto originali. In questo caso firma un lavoro non etichettabile, parte di in un genere che contamina thriller satirico e polanskiano ansiogeno ma in armonia con il corso imprevedibile della vita. Un cast molto ben scelto, personaggi minori che rubano la scena ai protagonisti, fobie raccontate senza mai considerarle malattie, omosessualità vista, ma non raccontata, secondo gli stilemi di tanto cinema commerciale o, peggio, solo apparentemente impegnato.